Addio stepchild. La minoranza Pd accetta il diktat di Renzi

23/02/2016 di Alberto Sofia

Altro che doppia scelta lasciata ai senatori Pd. Il vertice tra Matteo Renzi e il gruppo dem di Palazzo Madama per superare lo stallo sulle Unioni Civili si rivela una semplice ratifica di una decisione già presa dal presidente del Consiglio, quando la trattativa con il Nuovo centrodestra di Alfano, di fatto, è già conclusa. E il M5S scaricato. Nessuno in casa dem oppone una reale resistenza, nonostante la decisione della fiducia al maxi-emendamento piaccia poco a giovani turchi e Sinistra dem. E, alla fine, nemmeno si vota. Anche perché per il premier non c’è altra strada che il sacrificio della stepchild adoption per blindare quel che resta del disegno di legge Cirinnà. E per non rischiare che tutto il provvedimento venga affossato tra voti segreti, i 500 emendamenti rimasti e il timore di sgambetti grillini. Non c’è più tempo da perdere: per il segretario Pd l’iter va concluso subito, con la fiducia prevista giovedì, per poi incassare in due mesi il via libera della Camera. Una bandiera da poter rivendicare e sbandierare anche in ottica elezioni 2016, di fronte alla rischiosa tornata delle Comunali.

UNIONI CIVILI, PER RENZI C’E’ SOLO LA STRADA DEL MAXI-EMENDAMENTO CON FIDUCIA

Poco cambia con la mossa del presidente del Senato Pietro Grasso, che in mattinata aveva spiazzato Zanda e i vertici dem dichiarando inammissibili tutti gli emendamenti premissivi. Non soltanto quelli leghisti, ma soprattutto quel supercanguro targato Andrea Marcucci sul quale il Pd si era incartato, dopo il niet arrivato dai 5 Stelle. Era stato il passaggio sul quale si era consumata la rottura tra dem e pentastellati, tra accuse incrociate e rimpalli di responsabilità. Di fatto, la bocciatura di Grasso – seppur tardiva – fornisce ora un alibi ai pentastellati. E a chi, come in casa Sel e tra la minoranza Pd, insiste per provare a riprendere la via parlamentare. Niente da fare, per Renzi sarebbe la «palude», il «Vietnam». E da Palazzo Chigi non c’è alcuna voglia di ritentare strade tortuose, con il rischio perenne di “incidenti” parlamentari. «Ne basterebbe uno per allungare i tempi o per far saltare tutto», spiegano in casa renziana. Tradotto, è una via che per il premier è ormai chiusa. Al di là delle dichiarazioni ufficiali con le quali lasciava libertà di decidere ai propri senatori.

UNIONI CIVILI, LA MOSSA DI GRASSO CHE IRRITA IL PD

Certo, la mossa di Grasso irrita non poco al Nazareno: «Lo avesse detto prima…», provoca Zanda, accerchiato dai cronisti alla buvette. Dalla presidenza del Senato si sono difesi: «Non c’era stata occasione, il ddl era stato rinviato di una settimana dopo che la Lega aveva annunciato in Aula il taglio di 4500 emendamenti». Schermaglie non nuove tra i vertici Pd e il presidente del Senato. Eppure, era già noto da venerdì scorso quali fossero le intenzioni della seconda carica dello Stato. Poco cambia, perché dalla strada anticipata in assemblea Nazionale, con l’apertura ad Alfano, non si torna indietro. Ormai Renzi non si fida più del M5S, semmai si fosse mai fidato. E, in questo caso, tutto il gruppo dem o quasi è con lui: «Inaffidabili», è il mantra ripetuto dai pasdaran renziani e non solo nei confronti dei senatori a 5 Stelle. Passati in poco tempo da sostenitori dei matrimoni egualitari, alle minacce al Pd per non cambiare la legge, fino alla libertà di coscienza sulla stepchild e alla retromarcia – al di là delle smentite – sulla disponibilità a votare il canguro.

LA RESA DELLA MINORANZA PD SULLA STEPCHILD ADOPTION

Ma se il premier era stato chiaro fin dal mattino sulle sorti dell’adozione del figlio del partner («Meglio un pezzo oggi che tutto mai») chi ne esce sconfitto – non è una novità – è la minoranza del Partito democratico. Partita come sempre battagliera e tornata a casa incassando poco o nulla. Proprio come sul Jobs Act, la legge elettorale, le riforme costituzionali, la legge di stabilità. «Non accetteremo lo stralcio dell’articolo 5», tuonava Roberto Speranza domenica scorso. Ma la resa dei senatori bersaniani è arrivata quasi senza combattere. Nessuno se la sente di prendersi la responsabilità di frenare ancora il provvedimento, al di là di qualche dichiarazione pubblica. «Vogliamo vedere il testo del maxiemendamento del governo prima e non dopo la sua presentazione. Non bisogna sbagliare nulla, si tratta della vita dei bambini», spiega il bersaniano Federico Fornaro. Un testo che al momento non c’è ancora, limato nei suoi dettagli tra gli uffici tecnici e legislativi di Palazzo Chigi, del Viminale e del Guardasigilli Orlando.

UNIONI CIVILI, L’UTOPIA DEI TEMPI BREVI SUL DDL ADOZIONI

L’intesa che tiene unito il partito e tutti i 112 senatori resta però chiara: il maxiemendamento dovrà stralciare “solo” l’articolo 5, oltre a introdurre quegli emendamenti Lumia sui quali c’era già stata l’intesa. La paura invece è che venga stravolto pure l’articolo 3 e che, in attesa che intervenga pure la Consulta sul caso, si metta qualche paletto nella strada che già oggi porta per via giuridica il riconoscimento della stepchild. Ma non solo. Il timore è che, compromesso dopo compromesso, alla fine si accetti pure qualche altro ritocco su reversibilità e cognome unico, come richiede Area Popolare. Concessioni che Renzi, però, esclude: «Ci ha dato la sua parola», spiegano dalla minoranza al termine della riunione. Certo, per chi doveva far da scudo alla stepchild adoption, di fatto, è una sconfitta. Né basta qualche attacco mediatico, come quello di Gotor, al premier: «Renzi ha scelto di consegnarsi mani e piedi a Ncd ed è un errore. La decisione del presidente Grasso che ha giudicato inammissibili tutti i canguri e la chiara presa di posizione del M5S sono lì a dimostrare che un’altra strada era percorribile». Anche Cecilia Guerra di Retedem attacca: «Cosa dovevamo votare? Un testo ancora non c’è». Dichiarazioni buone forse per i tg, ma che non cambiano il destino della stepchild. Abbandonata nonostante gran parte delle associazioni Lgbt la rivendicassero come necessaria a non trasformare il ddl Cirinnà in un compromesso al ribasso: «Una sconfitta per tutti. Chi è il responsabile? Nessuno si senta escluso», spiegano fuori da Palazzo Madama.

In casa Pd c’è chi, come il gruppo dei “giovani turchi” di Rifare l’Italia, provano a rassicurarle spiegando che la questione verrà affrontata in secondo momento: «Depositeremo un ddl di radicale riforma delle adozioni che tenga dentro la ‘stepchild’, che deve rimanere un obiettivo del Pd in questa legislatura». Anche Zanda ci prova: «Il disegno di legge è già pronto, decideremo se depositarlo alla Camera o al Sernato». Ma è evidente che i tempi non potranno essere brevi. E che gli equilibri e le resistenze tra le forze parlamentari sarebbero le stesse anche con un altro provvedimento. ;’impressione è che «se ne riparlerà con un’altra maggioranza, in un’altra legislatura», ammettono fonti dem. Ma alla fine è una medicina amara che la sinistra Pd decide di bere. Ancora una volta.

UNIONI CIVILI, L’ALA DI VERDINI E IL BIVIO DELLA FIDUCIA SUL MAXI EMENDAMENTO

Presto potrebbe ritrovarsene di fronte un’altra: quella dell’entrata ufficiale in maggioranza dei verdiniani di Ala. Perché in passato la stampella di Ala non ha mai votato la fiducia, al massimo si è espressa contro la sfiducia al governo. Un gioco di parole utilizzato da Verdini, D’Anna e dal gruppo salvagente degli esuli ex forzisti per mascherare l’ingresso tra i partiti di governo.

Con il maxi-emendamento governativo sulle Unioni Civili si troverà di fronte a un bivio: «Siamo pronti a votare la fiducia ed entrare i maggioranza? Noi eravamo favorevoli alle Unioni Civili, ora c’è un fatto nuovo e dobbiamo decidere. Ci vedremo giovedì mattina», prende tempo Lucio Barani ai microfoni di Giornalettismo Tv. Dal Senato c’è chi prova ad aggirare la questione: «Vedremo, ancora non c’è il maxi-emendamento. E comunque si tratta di una materia etica, che riguarda tutto il Parlamento. Non un voto sul governo». Stessa spiegazione rilanciata anche tra i bersaniani, per allontanare lo spauracchio verdiniano. Ma non regge. Perché è chiaro che sul maxi-emendamento, governativo, sarà l’esecutivo a metterci la faccia. Per il via libera sulle Unioni Civili senza stepchild adoption non resta che attendere soltanto il passaggio formale della riunione di Ap, in tarda serata a Palazzo Madama. «Per me la legge è ancora indigeribile», rilancia ancora Formigoni. Ma è tra i pochi oltranzisti rimasti. «Un’intesa di massima c’è, dobbiamo lavorare per chiudere accordo», spiega non a caso Schifani. Qualche resistenza resterà, ma gran parte del gruppo starà dalla parte di Alfano. Sel invece potrebbe sfilarsi, critica sulla fiducia e su una legge ormai monca. Cambierà poco per Renzi. Perché ora il vessillo delle Unioni Civili è blindato.

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