Politici e incarichi nei cda: come viene “aggirato” il divieto

18/02/2016 di Redazione

Il Parlamento non sembra “bastare” a deputati e senatori italiani. Come ha svelato una ricerca di Openpolis, sono 138 gli esponenti politici che, oltre al loro ruolo istituzionale, ricoprono almeno un altro incarico. Tra questi, 52 ne svolgono contemporaneamente più di uno. A Montecitorio 45 risultano presidenti, 30 ad e 37 consiglieri di amministrazione di enti o società. Numeri più bassi a Palazzo Madama, ma soltanto perché i senatori sono la metà. E nel governo? Nove sono i membri di cda, due i vicepresidenti e un amministratore delegato.

POLITICI, INCARICHI E POLTRONE: TUTTI I NUMERI

I dati risalgono al 2014, qualcosa è cambiato spiega Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Rivelando però come i politici aggirino il divieto di poltrone nei cda delle aziende:

Di sicuro colui che figurava come recordman di poltrone, quel Paolo Vitelli eletto con Scelta civica, non occupa più le ben 23 che Openpolis gli ha attribuito: quantomeno perché dal settembre 2015 si è dimesso dagli incarichi di presidente e amministratore delegato del gruppo Azimut Benetti e anche da parlamentare. Precedeva, nella classifica degli onorevoli, l’avvocato esperto di diritto societario Gregorio Gitti, suo ex collega di schieramento passato al Pd. Erede di una dinastia di cavalli di razza democristiani e genero di Giovanni Bazoli, prima dello sbarco in Parlamento il registro delle imprese lo accreditava di ben 21 incarichi, a cominciare dalla presidenza della Metalcam della famiglia Tassara. Quasi il doppio rispetto agli 11 del democratico Andrea Marcucci, primatista fra i senatori (ovvero, il padre del supercanguro sulle Unioni Civili.

 

POLITICI E DIVIETO DI INCARICHI NEI CDA:  LA LEGGE VALE SOLO SULLA CARTA

Eppure c’è una legge, la numero 60 approvata il 15 febbraio del 1953, dove si prescrive – ricorda Rizzo – che i parlamentari non possono avere incarichi in società pubbliche o private per designazione governativa, né in quelle che ricevono soldi dei contribuenti o gestiscono servizi pubblici, nemmeno come consulenti. Ma non solo: il divieto vale anche per i vertici di banche e finanziarie. Ma la legge viene di fatto “aggirata”:

Il fatto è che l’applicazione dei divieti non è automatica, ma è demandata all’esame di un’apposita commissione parlamentare. Sono gli stessi deputati e senatori, dunque, a decidere se sono incompatibili o meno. E spesso con un esito scontato: come dimostrano innumerevoli casi. Nel 2009 è così accaduto che la Camera non abbia avuto nulla da dire sulla nomina del deputato Lucio Stanca al posto di amministratore delegato di Expo 2015, società pubblica al 100 per cento. Né la commissione di Montecitorio sollevò obiezioni circa la permanenza di Salvatore Sciascia e Alfredo Messina nei consigli di amministrazione di Fininvest, Mediaset e Mediolanum. Del resto, c’era già stato a sinistra un illustre precedente: la fragorosa assoluzione del senatore Vittorio Cecchi Gori dall’incompatibilità per i suoi incarichi televisivi. E poi i tanti altri onorevoli rimasti aggrappati in cima a società pubbliche, nonostante la legge del 1953. Memorabile la storia di Dario Fruscio, senatore leghista che presiedeva Sviluppo Italia Turismo ed era consigliere dell’Eni. Come pure quella di Claudio Fazzone, contemporaneamente senatore e presidente di Acqualatina, società di gestione delle acque nell’omonima provincia laziale.

POLITICI INCARICHI, COME VIENE “AGGIRATA” LA LEGGE

Senza dimenticare le “scappatoie” nelle pieghe stesse della legge:

Grazie a una di queste il parlamentare già del Pdl Denis Verdini ha potuto fare anche il presidente di una banca: il Credito cooperativo fiorentino. Le norme del 1953 contengono infatti una deroga per le coop, come la sua. Peccato che sessant’anni fa le casse rurali fossero tutt’altra cosa, e che nessuno, in tanto tempo, si fosse mai accorto che ogni differenza con le banche normali era scomparsa. Ma guarda un po ’ …

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