Giulio Regeni, i depistaggi confermati dalla chat di Facebook

15/02/2016 di Redazione

I depistaggi delle autorità egiziane nelle indagini sulla morte di Giulio Regeni sono stati confermati da una chat dello studente italiano con la sua fidanzata. Gli orari degli ultimi messaggi inviati dal 28enne smentiscono la versione del supertestimone sui tempi dell’arresto.

GIULIO REGENI, DEPISTAGGI CONFERMATI DALLE CHAT

Scrive Fiorenza Sarzanini sul Corriere della Sera:

Carabinieri del Ros e poliziotti dello Sco stanno analizzando i dettagli sulle indagini che filtrano dal Cairo ma valutano con estrema cautela i racconti dei testimoni che si sono affacciati recentemente sulla scena. L’incrocio dei dati ricavati esaminando gli ultimi sms inviati da Giulio ai suoi amici anche attraverso una chat di Facebook, smentisce il racconto del ragazzo che aveva sostenuto di aver visto Giulio portato via da due poliziotti: lui parla delle 17,30 ma due ore dopo scrive alla fidanzata e al professore. Un nuovo depistaggio per impedire che si arrivi alla verità sulla sua fine, all’identità di quegli uomini dell’apparato statale egiziano che l’hanno torturato fino ad ucciderlo.

Giulio Regeni avrebbe scritto gli ultimi messaggi alla fidanzata el professore Gennaro Gervaso, che insegna Scienze Politiche al Cairo e con il giovane aveva una frequentazione assidua:

Alle 19,41 del 25 gennaio Regeni scrive un messaggio via Facebook alla fidanzata: «Sto andando dal dottor Hassanein», l’anziano intellettuale esperto di sindacato. Poi scrive anche a Gervasio: «Sto arrivando». Testi e orari sono stati acquisiti grazie all’esame dei cellulari della ragazza e del docente. Il giovane egiziano sostiene di aver visto Giulio mentre veniva portato via «da due agenti della polizia in borghese» di fronte alla stazione della metropolitana di Bohooth alle 17,30 cioè due ore prima della chat con la ragazza.

GIULIO REGENI, PRESO DI MIRA PER IL SUO LAVORO

Ma perché Giulio Regeni sarebbe stato preso di mira dai servizi segreti egiziani, rapito e poi torturato, anche con scosse elettriche? Il ricercatore italiani probabilmente fu tradito da alcuni dossier su di lui finiti nelle mani degli 007. Sarebbe stato attenzionato per alcuni suoi dossier universitari. Scrivono Carlo Bonini e Giuliano Foschini su Repubblica:

L’indagine egiziana, dal primo istante, ha girato e continua a girare al largo dai luoghi, dalle circostanze e dai testimoni che potrebbero aiutare a rispondere alla domanda chiave di questa vicenda e dunque dare un nome agli assassini. Quantomeno individuare in quale degli apparati di sicurezza dello Stato (servizio civile, militare, polizia, unità paramilitari) si nasconda la mano dei carnefici. E la domanda è: perché Giulio Regeni era diventato un obiettivo del Mukhabarat? Davvero si può credere che a farlo ritenere la “spia” che non era sia stata la partecipazione ad un’assemblea sindacale l’11 dicembre al Cairo, durante la quale venne fotografato? O addirittura, e con tutto il rispetto, un articolo scritto per il quotidiano “il manifesto”, circolato in rete a gennaio e quindi pubblicato postumo? È difficile crederlo. E allora, se, come appare sempre più evidente, Giulio è finito in un gioco più grande di lui, conviene allargare lo sguardo.

E allargando lo sguardo si scopre che, come riferito nella sua testimonianza alla Procura di Roma la docente Maha Abdelrahman, tutor di Giulio, il lavoro di ricerca di Regeni da poche settimane aveva cambiato il suo ‘format’:

Non più una semplice ricognizione analitica e su “fonti aperte” dei movimenti sindacali, ma una “ricerca partecipata”, embedded. Che prevedeva, dunque, una partecipazione diretta alla vita e alle dinamiche interne delle organizzazioni da studiare. Un dettaglio che assume una sua rilevanza non solo per l’aumentato grado di esposizione che questo avrebbe comportato agli occhi paranoici degli apparati di sicurezza del regime, ma perché si combina con una seconda circostanza.

Giulio Regeni a Cambridge aveva un altro referente accademico, la professoressa Anne Alexander. Il suo ambito di ricerca – spiegano ancora Bonini e Foschini su Repubblica – ha una sua particolarità:

«Indagini sull’uso delle piattaforme digitali e gli strumenti di mobilitazione in Rete nei movimenti per il cambiamento politico in Medio Oriente, al fine di creare “sfere di dissidenza” e “nuove culture di attivismo”».

(Foto di copertina da archivio Ansa)

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