Il nostro sguardo, sugli OGM e non solo, è critico e si rivolge al passato, al presente e al futuro

Il 31 gennaio 2016, Paolo Mieli scriveva sul Corriere della Sera un editoriale (“Il nostro sguardo rivolto al passato” – link) in cui prendeva a esempio la resistenza agli Organismi geneticamente modificati (OGM) per denunciare  un presunto atteggiamento conservatore e restio al progresso degli italiani. Report Agricolutura brevetti Ogm 3

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Forse gli italiani sono veramente conservatori, ma è curioso come da più parti, quando si incontra una resistenza a un cambiamento che presenta rischi, che rivela controindicazioni notevoli, che ha dei vincitori già noti (in questo caso le multinazionali dell’agroalimentare), mentre non sono chiari chi e quanti saranno i vinti, si bolli tale resistenza come conservatorismo. Ignorando che esiste anche il pensiero critico. Quello cioè che valuta con attenzione un cambiamento, prima di accettarlo a braccia aperte.   Così come i lavoratori che non vogliono rinunciare ai loro diritti non sono conservatori, bensì critici nei confronti delle nuove disposizioni giuslavoristiche, allo stesso modo vi sono alcuni studiosi che preferiscono approcciare gli OGM con cautela e in merito ai quali chiedono una regolazione attenta, pubblica e volta a tutelare tutti gli interessi coinvolti da tali prodotti. Quindi non solo la salute, ma anche il comparto agricolo tradizionale, biologico e di qualità, la biodiversità, l’ambiente, i costumi e le tradizioni alimentari, la concorrenza tra produttori agricoli, l’informazione dei consumatori. Già, la regolazione. Questa astrusa e bruttissima parola. Provate a stabilire limiti e a disporre regole per il mercato e vi daranno dei conservatori ottusi e draconiani. Con un approccio alquanto ambiguo, Mieli lamenta la contrarietà dell’Italia agli OGM, magnificando le potenzialità di questi ultimi, con riferimento alla lotta al virus Zika, che ha colpito il Sudamerica: “è l’ennesima conferma del fatto che, almeno fino a questo momento, gli organismi geneticamente modificati contribuiscano al salvataggio di vite umane, mentre non c’è nessuna prova che abbiano provocato danni”.

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A parte la mistificazione sul “non aver provocato danni”, su cui torneremo, è bene ricordare al buon Mieli (e non solo a lui) che nessuno in Italia è contro la ricerca sugli organismi geneticamente modificati e la biotecnologia. Del resto gli innesti in agricoltura sono esempi di biotecnologia (tutta l’agricoltura, in fondo, lo è) e mi pare che questi siano permessi e ben accolti. E anche l’insulina nasce da una ibridazione analoga a quella usata per gli OGM. Ma è proprio qui il punto: si può e anzi si deve poter studiare questi fenomeni. E laddove si possano sintetizzare farmaci, individuare vaccini o altri strumenti utili occorre sperimentarli e, se tutto va bene, anche mettere in commercio i prodotti ottenuti. Di più: la ricerca (non solo sugli OGM, ma tutta la ricerca) va sostenuta, anche economicamente. Cosa che il governo non sta facendo. Quello andrebbe denunciato. Perché quello è il vero atteggiamento passatista. Detto ciò, la produzione degli OGM per l’alimentazione umana su larga scala e per l’alimentazione animale è un’altra cosa. E non è priva di insidie. Ma cominciamo con: “non c’è la prova che facciano male!”. In primo luogo, chiederei a Mieli e a tutti voi: chi ha l’onere della prova? Se viene introdotto un alimento nuovo, sul quale vi è ancora incertezza scientifica, il fatto che ancora non sia stata dimostrata la loro nocività è sufficiente ad autorizzarne il commercio su larga scala? Non dovrebbero essere quelli che lo producono a dimostrare con certezza che non ci sono rischi?

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In fondo, con il caso della “Mucca Pazza”, non si era dimostrato che le farine animali facessero male. Lo stessa vale per altri prodotti, poi considerati dannosi, come il Glifosato, l’amianto e il Ddt. E allora può bastare “non avere le prove”? Ed è veramente così? Occorre ricordare a Mieli che non è stata ancora superata l’incertezza scientifica sugli effetti degli organismi geneticamente modificati sulla salute umana. Vi sono numerosi studi sul tema e, a un’analisi comparata, l’incertezza è ancora dominante, come notato da Sheldom Krimsky della Tufts University in un recente saggio rinvenibile anche on-line Le tecniche di combinazione del DNA comunemente adottate sono molto complesse. Sono sovente utilizzati promotori di sequenze molto potenti, spesso a carattere virale, nella costruzione dei tratti genetici; inoltre si generano, negli OGM, nuove proteine alle quali né gli umani, né gli animali sono mai stati sottoposti. Di più: non è stato valutato il rischio dell’effetto di combinare allo stesso tempo più OGM nelle nostre diete. A ciò va aggiunto che se è vero, da un lato, che gli OGM sono già consumati in molti Paesi, dall’altro, la prospettiva del “lungo periodo” non è ancora stata raggiunta.

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Inoltre, gli OGM commerciati negli Stati Uniti, ove sono “consumati” da più tempo, sono raramente destinati all’alimentazione umana. Si tratta prevalentemente di mais, soia, colza e cotone, con impieghi mangimistici, tessili o di altro genere, ma non alimentare. Di qui, la tesi secondo cui essi sono stati già testati sull’organismo umano non è molto solida. La produzione di cibi e mangimi contenenti nuovi geni normalmente non presenti nell’alimentazione potrebbe ancora avere un impatto rilevante sul consumo alimentare. In tale ambito i rischi più evidenti riguardano la tossicità degli alimenti, l’allergenicità, i danni al sistema immunitario, nonché il trasferimento orizzontale dei geni, con conseguente resistenza antibiotica. Ma non finisce qui. L’utilizzo del metodo di modificazione genetica conduce alla diffusione e allo sviluppo di organismi nuovi, dotati di proteine e altre sostanze in grado di modificare l’ambiente circostante, mischiandosi, sovrapponendosi o dominando altre specie con caratteristiche simili. La maggior parte delle varietà transgeniche è stata progettata o per resistere agli erbicidi chimici o per produrre esse stesse sostanze insetticide. Tuttavia, nel tempo le specie infestanti sviluppano resistenza, richiedendo l’impiego di quantità ulteriori di prodotti chimici. D’altro canto, le varietà progettate per produrre insetticidi generano tossine che non colpiscono soltanto i cosiddetti insetti bersaglio ma anche gli insetti utili come le farfalle, le falene e, in genere, gli insetti impollinatori, compromettendo la diversità biologica circostante (si tratta dei cosiddetti non-target effects). La diffusione di nuovi geni nell’ambiente agricolo potrebbe così comportare un notevole cambiamento degli equilibri ecologici, influendo anche su altre specie vegetali e animali. Con effetti negativi sulla biodiversità, standardizzazione delle colture e con il rischio di compromettere la possibilità di preservare il centro di origine, ossia l’irriproducibile fonte genetica di una specie. Un quadro molto poco rassicurante, insomma. Sarà forse saggezza questa ritrosia degli italiani? Su tutte queste preoccupazioni ne incombe un’altra, molto significativa. Che riguarda gli aspetti economici. Quando si parla di OGM ci si dimentica spesso che non si tratterebbe di prodotti miracolosi regalati alla comunità per sradicare in via definitiva fame, malattie e malnutrizione. Si tratta invece di prodotti alimentari che hanno un costo (ancora elevato) e che vengono venduti sul mercato da aziende che mirano a fare dei profitti. Niente di male, ma non certo la salvezza dell’umanità. A riguardo, si deve anche notare che la possibilità per le aziende produttrici di OGM di adoperare brevetti sui beni geneticamente modificati e l’alta tecnologicizzazione del metodo produttivo conferiscono elevati poteri, legali e de facto, a tali multinazionali.

Giorgio Fidenato, Foto: LaPresse
Giorgio Fidenato, Foto: LaPresse

La difficoltà di creare un mercato concorrenziale e la ridotta varietà qualitativa dei prodotti in questione condurrebbero allo sviluppo di un commercio agricolo prevalentemente legato al prezzo, con un favor per i soggetti economici più forti e meglio organizzati e per i beni di produzione agro-industriale. La diffusione su scala mondiale degli OGM, infatti, avrebbe un impatto rilevante per i produttori alimentari, che dovrebbero affrontare concorrenti in grado di praticare prezzi più bassi a fronte di prodotti apparentemente identici a quelli tradizionali. L’elemento del prezzo, nella sana lotta concorrenziale tra produttori, rischierebbe di oscurare quello della qualità, se non per i prodotti di nicchia. Si nota, infine, che da quando gli OGM hanno cominciato a essere commercializzati, due decenni fa, il numero degli affamati nel mondo è cresciuto, e insieme a essi sono schizzati alle stelle i profitti delle aziende che producono le sementi. In paesi come l’Argentina e il Brasile, la soia transgenica ha penalizzato colture come la patata, il mais, il grano e il miglio, su cui si basa la dieta quotidiana di quei popoli.

La maggior parte delle colture GM non è destinata all’alimentazione umana, ma a produrre mangimi, prodotti tessili e biocarburanti. Parimenti, gli Ogm non hanno determinato alcun aumento di produttività: negli Stati Uniti, i dati del Dipartimento dell’Agricoltura dimostrano che non vi è stato alcun aumento della produzione di soia e mais dopo l’introduzione degli Ogm. Infine, il pericolo che le società multinazionali che producono GM tengano sotto scacco i Paesi in via di sviluppo è più che reale, se si pensa alla possibilità di produrre e mettere in commercio semi sterili o ibridi, e a quanto sarebbe strategico controllare il mercato dei prodotti agro-alimentari di tali Paesi, che costituiscono la principale esportazione nei confronti di Europa e Stati Uniti. Il buon Paolo Mieli, nel suo articolo, attacca in modo abbastanza scellerato il comparto biologico (prodotti più dannosi di quelli tradizionali) e dice che sostanzialmente gli OGM già li importiamo e ce li mangiamo. Questo è tutto da dimostrare. Magari li mangiano gli animali d’allevamento, che è diverso. Inoltre importare un prodotto finito e lavorato ha effetti diversi sull’ambiente, rispetto a coltivare un intero terreno, magari molto vasto. Per intenderci: se mangiare una salsa confezionata, ottenuta con pomodori GM, non ci fa male, non è detto che una coltivazione estesa su larga scala, degli stessi pomodori GM non faccia danni seri, alla nostra salute e non solo.

E allora ci permettiamo di dare un consiglio al noto e autorevole giornalista, ora presidente di RCS Libri: il vero progresso si raggiunge con uno sguardo critico e attento alla realtà, e avendo ben chiari gli obiettivi da raggiungere (il benessere, la felicità, ecc.) e non auspicando cambiamenti e innovazioni per il solo gusto di modificare il reale verso un futuro incerto e pieno di insidie. Quindi, forse, lo sguardo critico degli italiani è davvero da elogiare.

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