Decreto Madia, la “trasparenza” che silenzia la Pubblica Amministrazione

29/01/2016 di Redazione

Niente più informazioni sull’attività della cosa pubblica in nome della trasparenza. Si riassume così il Freedom of information act varato dal governo nella riforma della Pubblica Amministrazione. La versione tricolore della norma statunitense datata 1966 che permette al cittadino di accedere a ogni informazione dello Stato che non leda la privacy o la sicurezza Nazionale. Per l’Italia le cose sono molto diverse e il rischio di porre la parola “fine” su molti temi scottanti dell’agenda pubblica grazie alla “trasparenza” è concreto.

Trasparenza
ANSA/ MAURIZIO DEGL’INNOCENTI

TRASPARENZA, IL CONTENUTO DEL TESTO

 

Il Fatto Quotidiano propone il testo di 42 articoli e dalla sua impostazione si capisce che l’esecutivo si prepara a “oscurare” la cosa pubblica. Niente novità sui Rolex degli emiri in nome del “pregiudizio alle relazioni internazionali dell’Italia“. Gli scontrini dei politici saranno protetti dalla privacy, i bilanci di Expo potrebbero essere celati in nome del “pregiudizio alla politica di stabilità finanziaria ed economica dello Stato“. Tutto in nome della trasparenza. I difensori del provvedimento ritengono sia un “passo avanti rispetto alla legge 241/1990 perché amplia la legittimazione soggettiva dei richiedenti a tutti e non a chi può rivendicare un interesse “diretto, concreto e attuale corrispondente a una situazione giuridicamente tutelata e collegata al dato al quale si chiede di accedere”. Solo che l’amministrazione puo’ rifiutarsi di rispondere senza spiegazioni e senza subire sanzioni. Il testo dovrà ottenere il parere non vincolante del Parlamento e fare un ulteriore passaggio in Consiglio dei Ministri.

TRASPARENZA, I SETTE PASSAGGI CRITICI

Questi sono i sette passaggi principali, individuati dal Fatto Quotidiano, che mostrano quelli che sembrano limiti evidenti del decreto sulla Pubblica Amministrazione approvato dal governo. In sostanza: possono essere espresse eccezioni, se fossero illegittime non ci sarebbero sanzioni e un eventuale ricorso potrebbe costare molti soldi.

1) Gratuità dell’accesso. Il ministro Marianna Madia ha sostenuto che l’accesso civico sarebbe stato gratuito così da incentivare i cittadini a pretendere la trasparenza. Invece l’articolo 6, a pagina 5, specifica, senza spiegare come viene calcolato, che “il rilascio di dati in formato elettronico o cartaceo è subordinato soltanto al rimborso del costo sostenuto dall’amministrazione”.

 

2) Le eccezioni, elencate all’articolo 5, sono: “sicurezza nazionale, difesa e questioni militari, relazioni internazionali, politica e stabilità finanziaria dello Stato, indagini sui reati e loro perseguimento, attività ispettive, segreto di Stato“. Il rischio, concreto, è che rappresentino scappatoie per non divulgare nulla.

 

 

3) Le richieste vengono rigettate o accolte dall’amministrazione secondo un criterio soggettivo (“verosimile”) rimesso alla valutazione del dirigente.

 

4) Se non si ottiene una risposta entro 30 giorni alla propria richiesta questa viene rigettata automaticamente, senza motivazioni. Nessuno è tenuto a spiegare perché la documentazione richiesta viene tenuta “celata”.

 

5) Il ricorso al Tar costa 500 euro più l’onere dell’avvocato e sei mesi per la sentenza.

 

6) Se il dirigente ha sbagliato a non fornire l’informazione richiesta negando illegittimamente l’accesso non ha sanzioni o forme di deterrenza, in alcun caso. Non esiste quindi una forma di “dissuasione”.

 

7) La legge non abolisce le precedenti, in particolare la 241/90

(Photocredit copertina ANSA / MATTEO BAZZI)

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