Il piano del governo per far “fallire” i referendum sulle trivelle

20/01/2016 di Redazione

Il referendum sulle trivelle, autorizzato dalla Corte Costituzionale, naturalmente si farà: questo non vuol dire che dalle parti di Palazzo Chigi Matteo Renzi sia particolarmente felice di quanto deciso al palazzo della Consulta. Di qui l’impegno, certamente, per celebrare il referendum: senza che questo voglia dire offrirgli tutte le comodità possibili: in gioco, secondo Renzi, c’è sì la tutela delle convenzioni economiche con le società che scavano in Adriatico e nel Tirreno, sì; e anche, per paradossale che sia, “quella dell’ambiente”.

IL PIANO DEL GOVERNO PER FAR FALLIRE I REFERENDUM SULLE TRIVELLE

Sul Messaggero i termini della questione.

Non l’ha presa bene, Matteo Renzi, la sentenza della Consulta. Per dirla con un renziano di ferro, il via libera alla Corte costituzionale al referendum anti-trivelle «è una grossa rogna». Spiegazione: «Questa consultazione rischia di essere una zavorra per il Pd proprio a ridosso delle importantissime elezioni comunali di giugno, ci troveremo a lottare contro i governatori del nostro stesso partito…». Per dirla invece con un ministro centrista che chiede l’anonimato: «Più che un referendum sull’ambiente, questo è un problema decisamente interno al Pd. Un modo per mettere in difficoltà Renzi, come dimostrano Emiliano e Lacorazza». Di certo c’è che alla vigilia della sentenza, il premier aveva pensato di sminare la bomba referendaria varando una leggina ad hoc. Soluzione adesso scartata. Renzi ha deciso: «Non intendo impedire ai cittadini di esprimersi, il referendum si farà». Ma già toglie armi al fronte referendario. Promette: «Chiunque vinca non ci saranno nuove trivellazioni. Sia chiaro che il quesito per il quale si andrà a votare non è trivelle sì, trivelle no. Si voterà solo e soltanto sulla durata delle attuali concessioni. In gioco ci sono molti posti di lavoro. E, per paradosso, proprio la difesa dell’ambiente».

 

Se il referendum passasse, pensa il governo, il quadro sarebbe “disastroso”.

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Si teme che le società concessionarie, come la Shell e le altre, vadano verso un rapido disimpegno degli oltre 70 pozzi operativi in Adriatico e Tirreno entro le 12 miglia dalle coste. E questo senza provvedere alla “ricucitura” del sottosuolo marino e senza procedere alla bonifica dei fondali. «In più», spiegano al Mise, «si tratta di pozzi sotto pressione, ancora operativi, fermarli prima che il giacimento sia esaurito può creare danni ambientali ingenti. Oltre, naturalmente, alla perdita di circa 5.000 posti di lavoro».

Il governo, comunque, ha le intenzioni chiare: il referendum si terrà, però non è detto che debba ricevere una spinta forte verso l’affluenza. Basterà svincolarlo dall’Election Day e puntare sul proverbiale disinteresse degli italiani per le consultazioni referendarie.

Ora che «la frittata è fatta», a palazzo Chigi alzano bandiera bianca. Renzi dà il via libera alla consultazione. Lo fa essenzialmente per ragioni di opportunità politica: «Se Matteo avesse fatto una leggina anti-trivelle», spiega un renziano di alto rango, «avrebbe pagato un prezzo politico. In ottobre si voterà infatti il referendum costituzionale e Renzi vuole che alle urne vada il maggior numero di elettori, anche se in quell’occasione il quorum non è vincolante. E non sarebbe un bel vedere un governo che boicotta una consultazione e ne spinge un’altra». C’è comunque un modo per azzoppare il quesito anti-trivelle e farlo decadere «senza conseguenze»: puntare sul mancato conseguimento del quorum, epilogo frequente nella storia referendaria. Per provare a centrare l’obiettivo, al governo basterà togliere alla consultazione il traino delle elezioni amministrative. Come? Facendo votare gli italiani sulle trivelle in un giorno diverso dal 12 giugno, quando verranno celebrate le elezioni comunali a Roma, Milano, Napoli etc. La legge 352 non obbliga infatti palazzo Chigi a indire l’election day. Ma non farlo costerebbe alle casse dello Stato circa 380 milioni. «Non è però mai successo che si votassero insieme comunali e referendum», già dicono a palazzo Chigi.

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