“Volevo farmi suora, un prete si è fatto me”

La terribile storia di Emanuela Violani in un libro verità sulle violenze ecclesiastiche

Lasciata sola, da tutti. Violentata per anni da un sacerdote, dal quale voleva soltanto un po’ di sostegno, di compagnia, magari qualche abbraccio. E lui, invece, voleva da lei soltanto sesso, rubato nei cimiteri o nei letti delle canoniche. Emanuela Violani è uno pseudonimo, e nel libro intitolato “Diario Segreto dei Miei Giorni Feroci”, riportato in stralci da Marco Politi sul Fatto Quotidiano, racconta la sua storia quotidiana di violenze, durata cinque anni, in un paesino di campagna: fino a quando si è ribellata, ma allora era troppo tardi. E pensare che da giovane si voleva fare suora.

VIOLENZA IN CHIESA – Ragazza fragile, in una famiglia che non le dava l’affetto che sentiva di meritare, Emanuela ha fatto presto a cercare sostegno altrove.

H o iniziato a fare direzione spirituale quando avevo 18 anni e la storia è iniziata quasi subito. Il don aveva capito il mio punto debole, la carenza d’affetto e, piano piano, lavorando sulla mia psiche fragile, è riuscito a mettermi in testa che l’amore, l’affetto, è un bene che si può vendere e comprare. La nostra frase era “Cinque minuti di quello che vuoi tu in cambio di cinque minuti di quello che voglio io”. Io volevo solamente sfogarmi, parlare dei miei problemi ed essere abbracciata, volevo essere messa al centro dell’attenzione, cosa che non accadeva mai nella mia famiglia. La prima volta è stato così. “Ti porto in camera, ci sdraiamo sul letto così ti abbraccio meglio”. Ero talmente inesperta che non avevo mai visto un pene in vita mia, non sapevo come si facevano certe cose, ma poi ho dovuto imparare per forza. Stavamo su quel letto, c’erano volte in cui io dovevo semplicemente stare ferma e lui mi ravanava dappertutto e volte in cui si sedeva sul mio collo e io avevo paura di soffocare. In camera sua c’era un crocifisso di legno pesante, proprio sopra il letto. Io avevo il terrore che quel crocifisso potesse cadermi in testa. Poi lui si rivestiva in fretta, mi buttava i vestiti e mi diceva di andarmene, aveva fretta di liberarsi di me.

Emanuela, alcoolizzata, divenne facile preda del famelico giovane prete.

Era prete da poco. Ogni tanto andavamo al parcheggio del cimitero ed era sempre la solita storia: ho dovuto pagare tutto quello che mi ha dato. Ogni tanto mi portava al cinema o a mangiare una pizza. Io ero contenta perché non uscivo mai, solo che poi al ritorno andavamo a finire sempre in qualche parcheggio isolato e lì non mi doveva abbracciare per cinque minuti, dovevo subito iniziare. Per due anni mi sono ubriacata quasi tutti i fine settimana e quando non bevevo, andavo dal don perché avevo bisogno di riempire il vuoto della mia anima. Capivo che lui mi stava usando, ma io volevo stare con qualcuno. Ho anche avuto disturbi alimentari, mi nutrivo quasi esclusivamente di latte e nell’estate 2003 sono arrivata a pesare 41 chili. Era agosto, faceva caldo, stavo talmente male che non mi interessava della mia verginità, avrei dato tutto pur di essere presa in braccio e coccolata per qualche minuto, ma quando mi sono accorta che faceva sul serio, mi sono spaventata, ho iniziato a sentire male e gli ho detto di fermarsi. Lui (cento e più chili contro i miei quarantuno) con una mano mi teneva ferma e con l’altra mi tappava la bocca, poi ricordo il sangue, un “vaffa n c u l o ” detto da me e un “lo volevi anche tu” detto da lui. Ci ho messo un anno a capire che cosa mi era successo veramente, ho capito che razza d’uomo era solo quando ci siamo rivisti dopo diversi mesi e mi ha sbattuta fuori casa perché non volevo fare porcate con lui

DOLORE E DISPREZZO – Non che gli altri sacerdoti a cui si è rivolta per trovare sostegno le abbiano dato una qualche tipo di mano, o di aiuto: solo odio, solitudine e disprezzo.

Mi sono confessata da don D. Ho detto che avevo commesso un solo grande peccato: “Atti impuri con un prete” e lui mi ha detto cose orribili, mi ha detto che io ero il demonio sulla terra, che se quel prete dava la comunione dopo essere stato con me rovinava la sua comunità. Ero lì in ginocchio in quella chiesa scura con un pretino anziano che mi faceva cadere addosso dei massi enormi e non sapevo come difendermi. Non voleva darmi l’assoluzione , ma poi si è convinto e mi ha detto di non rifare più certe cose. Io sono uscita dal confessionale di corsa perché lui voleva vedermi, facevo fatica a stare in piedi, facevo fatica a parlare, ero sbiancata.

La ragazza, disperata, ad un certo punto si è anche gettata da un ponte.

Don Virginio Colmegna,che a Milano dirigela Casa della Carità, affermadi aver letto ildiario di Emanuela con“fatica, disgusto e conatidi vomito”, augurandosiche il violentatore“ammantato di potererelig ioso” si assuma lesue responsabilità e decidadi “rompere la coperturaipocrita del silenzio”.Nel diario,Emanuela scrive di unincidente. A me ha confessatodi essersi gettatada un ponte.Venti giorni dopo l’o p e ra -zione, venti giorni soltantodopo che mi hanno apertola testa, mi hanno ricostruita con il metalloe con le viti, mi hanno tirato fuori leossa della faccia che erano entrate…venti giorni dopo don G. mi ha detto chenon ero più buona neanche a fare pompinDon Virginio Colmegna, che a Milano dirige la Casa della Carità, afferma di aver letto il diario di Emanuela con “fatica, disgusto e conati di vomito”, augurandosi che il violentatore “ammantato di potere relig ioso” si assuma le sue responsabilità e decida di “rompere la copertura ipocrita del silenzio”. Nel diario, Emanuela scrive di un incidente. A me ha confessato di essersi gettata da un ponte. Venti giorni dopo l’o p e ra – zione, venti giorni soltanto dopo che mi hanno aperto la testa, mi hanno ricostruita con il metallo e con le viti, mi hanno tirato fuori le ossa della faccia che erano entrate… venti giorni dopo don G. mi ha detto che non ero più buona neanche a fare pompini

Il commento del Vaticanista del Fatto è senza appello. “Mi ha detto al telefono che per anni, dopo che si rifiutava di vedere il suo violentatore, il prete l’ha perseguitata con messaggini”, scrive Politi. “Finalmente lo ha denunciato per violenza. In Questura le hanno risposto che era passato troppo tempo. È andata dal vescovo. Il tribunale ecclesiastico doveva intervenire, ma nulla è successo. Il prete ha confessato di avere compiuto un “atto di debolezza”, ora è parroco. Le hanno proposto di versare una somma di denaro a un’associazione benefica da lei indicata. Così, per non dovere ammettere pubblicamente responsabilità, Emanuela ha rifiutato. In Vaticano l’altro giorno hanno organizzato una veglia per le vittime, ma discutono ancora se rendere obbligatorio o no che il vescovo denunci i preti criminali”.

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