Celentano: «Checco Zalone ci difende dalle infezioni e dalle caxxate del cinema»

Critici cinematografici, opinionisti, intellettuali, scrittori, attori, registi, comici. Chi non ha commentato il successo di Checco Zalone e del suo Quo Vado? – e usiamo un eufemismo, in soli tre giorni oltre i 20 milioni incassati? Mancava un nome alla Adriano Celentano, ed eccolo qua, ospitato dal Corriere della Sera. Il Molleggiato prima ringrazia per La Prima Repubblica, canzone omaggio contenuta nel film che richiama lo stile ‘celentanesco’, poi si lancia in un’apologia sincera del comico barese: «La sua è una medicina che ci difende e ci rende immuni dalle gravi INFEZIONI (proprio così, in maiuscolo, ndr) che ci procurano le clamorose CAZZATE di un certo cinema internazionale, i cui ingredienti non sono altro che la solita VIOLENZA e un falso modo di girare».

LEGGI ANCHE Quo vado? Checco Zalone fa di nuovo centro, raccontando l’italiano medio(cre) – RECENSIONE

Celentano scrive:

Non c’è niente da fare. Se uno incassa 7 milioni di euro in un giorno, significa una cosa sola: che questo Checco ha qualcosa che gli altri non hanno. […] Un suo film «Cado dalle nubi», l’avrò visto sei o sette volte. Lo tengo da conto perché quando mi capita magari di essere un po’ stressato a causa di una eccessiva concentrazione sul lavoro, anziché prendere 5 gocce di Lexotan accendo il televisore, guardo quel film e alla seconda battuta già mi rilasso allegramente. Per cui Zalone è anche un efficace toccasana di cui le farmacie non possono essere sprovviste.

Un manifesto, quello di Luca Medici alias Checco, che per Celentano sfiora il politico:

E allora è lì, che l’intellettuale Zalone sfoderando l’arma della sua intatta purezza, ti fa «scompisciare» dal ridere quando di fronte al cugino che improvvisamente gli rivela di essere un omosessuale, «cade dalle nubi» a tal punto, che subito lo riporta a un attimo prima, quando non sapendo, gli aveva raccontato di un imbarazzante viaggio in treno con due «ricchioni» come lui li chiamava, e nello scusarsi per il triste appellativo che non vuole assolutamente ripetere, usa un termine che se non fosse dettato dal candore di chi fa la domanda sarebbe addirittura catastrofico: «mi dispiace per prima quando ho detto… voi… voi come li chiamate quelli della razza vostra?». E così in un sol colpo ha recuperato anche la nobiltà della parola «RAZZA» di cui tutti ne facciamo parte, omosessuali e non.

Photocredit copertina TIZIANA FABI/AFP/Getty Images

Share this article