Berlusconi e quei «vertici da rinnovare». Ma dentro FI si prepara l’esodo

24/12/2015 di Alberto Sofia

Altro che fiducia rinnovata e capigruppo blindati. Il messaggio lanciato dal Cav al partito con l’intervista rilasciata al Qn sembra l’annuncio dello sfratto per Renato Brunetta, l’ex ministro che gran parte dei deputati ha più volte tentato di far saltare, così come per Paolo Romani a Palazzo Madama: «Ho intenzione di procedere a un rinnovamento radicale dei vertici, sia per quanto riguarda i gruppi parlamentari sia per il partito». Tradotto, il Cav è stanco di un partito travolto dalle risse e dalle guerre di potere interne. A gennaio, restano convinti molti dissidenti azzurri, «il cambio dei capigruppo ci sarà».

Certo, tra i due chi rischia di più resta l’antirenziano oltranzista Brunetta, rispetto al “nostalgico riformista” Romani. Ma l’impressione nei gruppi è che il loro destino sia legato:  «Simul stabunt, simul cadent», avevano spiegato fonti azzurre a Giornalettismo,  anticipando come a gennaio l’ex premier avrebbe concesso il cambio ai vertici. Sia alla Camera, che al Senato, perché “se uno viene portato a “processo”, l’altro deve seguirlo”. I nomi? A Montecitorio resta Mara Carfagna la favorita sul deputato calabrese Roberto Occhiuto, mentre per guidare i senatori resta il nome di Anna Maria Bernini o quello di Andrea Mandelli.

FORZA ITALIA E IL CLIMA DA “LIBERI TUTTI”

Il problema per il Cav, al di là della sorte dei vertici interni, è che nel partito ormai nessuno o quasi sembra credere ai suoi slogan sul rilancio promesso per il 2016. Li ha ripetuti anche nel messaggio natalizio d’auguri agli elettori, con il quale è tornato ad attaccare Renzi e l’esecutivo, nelle vesti del presidente di “lotta”: «Si potrebbe dire “piove, governo ladro”». E ancora: «Ha costruito una finta democrazia, si è fatto un regime, si è impossessato di tutto anche della Consulta e della Rai». Un mantra, ormai, tra golpe evocati e presunti colpi di Stato ai suoi danni. Peccato che al suo partito, prima dello strappo del Nazareno, avesse imposto di votare e condividere senza troppe discussioni quelle stesse riforme renziane che ora continua a bollare come autoritarie, dal Ddl Boschi fino alla legge elettorale. Per poi riscoprirsi all’improvviso antirenziano, ma al traino della Lega di Salvini. Fischiato nella piazza di Bologna e, di fatto, soltanto un gregario del segretario del Carroccio.

«Forza Italia non esiste più, qui ormai l’interesse è soltanto arrivare a fine legislatura e provare a contrattare un posto in lista, chi da Salvini, chi da Verdini»ammettono fonti azzurre tra i corridoi di Montecitorio. Non è un caso che l’esodo vada avanti e il gruppo si sia più che dimezzato con le scissioni prima di Alfano, poi di Fitto e dello stesso Verdini. L’ex stratega azzurro del Nazareno è convinto di poter “svuotare” quel che resta di Fi: altri sono in arrivo dopo gli ingressi in ALA di Piccinelli, dell’ex poeta-cantore del berlusconismo Sandro Bondi e della compagna Repetti (già da marzo nel Misto). «Non c’è alternativa a Renzi», aveva spiegato quest’ultima. Parole che sembrano ormai convincere gran parte delle ultime truppe forziste. Pronte o tentate dal grande salto nella scialuppa di Verdini, alla ricerca di un posto, una poltrona, una ricandidatura. Speranze coltivate e alimentate dai pontieri del renzismo, chissà quanto reali. Eppure, per molti peones, comunque l’ultima speranza di sopravvivenza politica.

BERLUSCONI E QUEL RINNOVAMENTO “PROMESSO”. MA NEL PARTITO SI PREPARA L’ESODO

Anche perché il Cav continua a considerare i gruppi e i vecchi parlamentari come una “zavorra” da cui liberarsi. Non è un caso che per le stesse candidature per la tornata di amministrative delle elezioni 2016 guardi ormai più alla società civile che al partito. A Milano la terna evocata dal Cav è quella composta da Paolo Del Debbio, Alessandro Sallusti e Stefano Parisi. Anche se al momento l’unico nome spendibile (e nemmeno considerato vincente dai sondaggi) è quello del direttore del Giornale, considerati rifiuti e tentennamenti. A Napoli si proverà ancora con Lettieri, già perdente cinque anni fa. Tutto il resto è un rebus, da Roma a Torino, fino a Bologna e Cagliari. Tutto mentre i sondaggi interni, spiegano dentro Fi, certificano come l’elettorato guardi ormai altrove, i moderati verso Renzi, il resto verso Salvini: «Noi al 10%? Mi sa che siamo lontani dalla doppia cifra», c’è chi ammette dal Senato.

Eppure il Cav, nella tenaglia tra i “due Matteo”, preferisce i proclami. «Prospetteremo agli italiani un governo composto al cinquanta per cento da personalità che non vengono dalla politica, per una squadra di successo», sbandiera. Mentre attorno a lui, tutto il partito “brucia”. E anche gli ultimi fedelissimi ormai sembrano esausti delle promesse. Pronti a voltare le spalle, al grido di “si salvi chi può”.

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