Banche, perché la Germania può salvarle e noi no

Perché la Germania e il Portogallo hanno potuto salvare le loro banche sommerse di debiti con il benestare di Bruxelles e l’Italia, che ha agito tramite un fondo interbancario e quindi del tutto privato ha visto le sue decisioni considerate come aiuti di Stato? La risposta che darebbero a Bruxelles, scrive Repubblica, è “dipende”: dalle regole europee e sopratutto dalla data di presentazione dei provvedimenti: prima o dopo l’introduzione delle regole sugli aiuti di stato.

PERCHE’ LA GERMANIA PUO’ SALVARE LE BANCHE E NOI NO? DIPENDE DALLE REGOLE EUROPEE

Il quotidiano diretto da Ezio Mauro ci spiega il quadro.

«Se l’operazione di salvataggio è stata notificata alla Commissione prima dell’entrata in vigore delle nuove regole, allora non può essere bocciata ». È il caso della cassa tedesca Hsh Nordbank e della piccola banca locale portoghese Banif. Nei giorni scorsi, mentre da noi i risparmiatori azzerati scendevano in piazza, entrambe hanno ricevuto il via libera europeo. Entrambe sono state salvate con generose iniezioni di denaro dei contribuenti: 1,7 miliardi all’istituto di Lisbona, 3 miliardi a quello di Amburgo. Quando invece l’Italia, notizia di ieri, ha incassato una sonora bocciatura Ue per l’uso del fondo interbancario dei depositi nel salvataggio di Tercas ad opera della Popolare di Bari, valutata come operazione pubblica benché il fondo sia alimentato con risorse private, quelle delle altre banche italiane. Trattata insomma alla stregua di un dirottamento obbligato dal governo di fondi privati per non mandare a picco la cassa di Teramo: aiuto di Stato che distorce la concorrenza, dunque. Chi ha ragione? Bruxelles e la sua ortodossa lettura delle direttive? O Roma e il suo incontestabile profilo di solidità del sistema bancario, con appena 4 miliardi di sostegno ai suoi istituti per tre quarti rientrati, l’1% di tutti gli interventi europei tra 2007 e 2013 (688 miliardi), a fronte dei 250 miliardi dei tedeschi e dei 165 miliardi dei britannici? Entrambe forse, nella rispettiva logica. Che però sta stretta all’Italia. Il ministro Padoan riconosce che nel caso portoghese di Banif è stato applicato il trattamento italiano delle quattro banche: azzerati i detentori di azioni e obbligazioni subordinate, in applicazione del burden sharing, l’antipasto del bail in, il salvataggio interno a scapito anche dei correntisti sopra i 100 mila euro in vigore dal primo gennaio. Ma dopo l’azzeramento, l’intervento pubblico da 1,7 miliardi è stato consentito (il governo di Lisbona era già azionista al 60%). Da noi neanche quello del fondo interbancario.

E’ vero, le regole sono regole: ma, nota Repubblica, è indubbio che a un certo punto finisca per rientrarci la politica, e dunque le scelte di valore delle istituzioni europee.

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Azionisti e subordinati portoghesi forse potranno pure recuperare qualcosa, se verrà loro consentito di convertire i titoli azzerati in azioni della bad bank, la discarica dei crediti più difficili da riscuotere e perciò deteriorati. Una soluzione lunare, nell’Italia delle “vittime del Salva-Banche”. Anche perché – altra incongruenza giuridica – nel caso delle quattro banche italiane ogni 100 centesimi di crediti cattivi ne sono stati ritenuti recuperabili (e dunque finiti nella bad bank) appena 18 (da 8,5 miliardi a 1,5 miliardi), contro i 40 medi in portafoglio delle altre banche italiane. Chi lo ha deciso? Lo ha preteso Bruxelles? E secondo quali criteri? Non è peregrino pensare che un valore più alto di quei crediti da incassare potesse servire a ristorare non solo gli obbligazionisti, forse pure gli azionisti. C’è un prima e un dopo, quindi. Chi si è mosso per tempo, scrutando il calendario, ha passato l’esame. Gli altri no. Così l’Hsh Nordbank di Amburgo, quinta banca regionale tedesca, specializzata in credito mercantile e a stento promossa negli stress test della Bce nel 2014, ha beneficiato dell’attivazione di nuove garanzie dello stato tedesco (azionista) per 3 miliardi, autorizzate in ottobre proprio dalla Commissione Ue, con l’obiettivo di vendita o liquidazione. La banca è saltata, ma nessuno ha perso soldi. «Lo Stato non può essere trattato come un semplice azionista», la difesa di Berlino. Perché allora Hsh sì e l’abruzzese Tercas no? Solo maldestro tempismo? O peso specifico diverso di Germania e Italia? Senza dimenticare il quadro generale, con Deutsche Bank in profondo rosso per 6,2 miliardi, un gigante malato che in Italia – per fortuna non trova analogie. E gran parte dei 250 miliardi di aiuti pubblici tedeschi finiti in quel reticolo opaco di oltre 400 Sparkassen e Landesbanken, la casse rurali, municipali e regionali, opportunamente sottratte al grande ombrello dei controlli Bce, imbottite di derivati e vive solo grazie a massicce iniezioni del denaro di tutti.

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