Ai confini del paradiso – I ragazzi di Dandora

Ho visto un documentario su TV2000, la rete dei preti che, oltre ai rosari e ad altre amenità, a volte capita trasmetta cose interessanti. Parlava dei ragazzi che vivono allo sbando nelle strade schifose di Nairobi, quelle degli slum, o nelle discariche, tipo Dandora, che ha un nome carino, pur essendo un luogo che non si può nemmeno descrivere.

Questi ragazzi vivono in strade schifose o in quella abominevole montagna di spazzatura che è
Dandora, abbandonati dai genitori e da ogni logica umana. Oppure vanno in giro come zombi
sniffando bottigliette piene di colla, perché la colla costa meno del cibo e annusarla placa la fame. Così a quindici anni si ritrovano a fissare il vuoto e fanno bene, perché quel vuoto non può essere riempito in alcun modo, perché nessuno vuole mettere mano a tanta devastazione. Non c’è studio, non c’è vestito pulito, non c’è letto, non c’è sonno, non c’è pietà. Ci sono le regole delle bande, la colla e niente più. Non hanno alternativa. Inutile che diamo consigli, che ci facciamo film riguardo al loro recupero. Se ne salva uno e se ne perdono mille, e va così se va bene.

Nel documentario si vedono i volontari della missione che vanno a trovare queste creature, portano loro qualcosa da mangiare e magari giocano una partitella di calcio. Vedi qualche sorriso, ma pochi. I più continuano a fissare il vuoto. I più vecchi tra loro sono adolescenti. Molti sono ancora bambini. Sniffano la colla anche i più piccoli, con lo sguardo che si spegne prima della maggiore età, se ci arrivano.Di fianco c’è un’altra Nairobi, di case che sembrano l’America o la Brianza. Di villette pitturate di bianco con giardini pieni di alberi e siepi appena tagliate. Chi le abita pare non accorgersi nemmeno di ciò che capita ai confini del suo paradiso. Ho pensato che quei tizi che vivono lì come se niente fosse devono essere proprio dei bastardi.

E invece noi no, vero? Perché abitiamo a mille e mille miglia di distanza dai ragazzini sporchi che
sniffano la colla. Ma a un metro da noi c’è un’altra disperazione, quella che non vediamo.
Ho visto quel documentario, ci ho riflettuto sopra e ieri ho allontanato uno che chiedeva
l’elemosina. Perché avevo dato un soldino a due persone e non ce la faccio a sostenere la spesa.
Non ce la faccio perché compro un sacco di cazzate e poi mi scoccia dare un euro a uno che ha
fame. Mi sono chiesta da dove venisse costui. Ma solo dopo, sul momento avevo fretta di mandarlo via, di liberarmi di lui. Spesso mi racconto che, se io fossi stata nella sua situazione e lui nella mia, di certo lui non mi avrebbe concesso alcuna compassione. Dirmelo mi rassicura riguardo alla mia meschinità, scrive i confini del mio paradiso, in cui ciò che faccio è giusto. Altrimenti non potrei sopportarmi, non potrei narrarmi la storia della persona sensibile e umana che penso scioccamente di essere.

Credo che questa storia dei ragazzini che sniffano la colla la condividerò a Natale con i miei
commensali, tra il prosecco e il culatello, prima delle lasagne e dell’arrosto. Un po’ di senso di
colpa prima dei festeggiamenti va sempre bene, così come adeguarsi a essi discostandosene quanto basta per sentirsi esistenzialisti senza rinunciare al salmone e allo spumante brut.
Tutti hanno bisogno di un po’ di tregua e Natale è una buona occasione. È un atteggiamento
comprensibile, ma resta spaventoso il pensiero che esista gente di minore età che tregua non ha
nemmeno per un attimo, che non conosce giorni di festa. Pensate all’idea di non potervi mai fare
una doccia e una bella dormita.

Noi nel nostro paradiso di finta o vera gioia e gli altri nella loro Dandora. Come sarà il Natale
laggiù? Immaginatevelo prima di mangiare, prima di bere, prima di lamentarvi, prima di criticare.
Immaginatevi a sniffare la colla tutti sporchi, con gli occhi che non hanno più espressione né
volontà. Altro che albero, altro che cenone, altro che parenti serpenti. Altro che Buon Natale.

(Photocredit copertina: Foto: ANSA – Sun Ruibo/Xinhua/ZUMA Wire)

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