Mafia Capitale, Massimo Carminati così sfuggiva alle intercettazioni

Cammina, il processo Mafia Capitale: anche con quattro udienze a settimana, è difficile che la sentenza possa arrivare prima dell’estate. E gli avvocati sono già in rivolta: “Abbiamo anche altri clienti da tutelare”; il tutto per un procedimento che inizia, dopo settimane di fase preliminare, l’audizione dei testimoni dei magistrati del Pubblico Ministero: ieri ha parlato il maggiore dei Ros, Rosario di Gangi.

MAFIA CAPITALE, MASSIMO CARMINATI COSÌ SFUGGIVA ALLE INTERCETTAZIONI

La sua deposizione è raccontata dal Messaggero: il carabiniere racconta come si muoveva, Massimo Carminati. Come gestiva le sue relazioni e i suoi rapporti.

Intercettarlo era pressoché impossibile. Perché Massimo Carminati parlava poco al telefono. E se doveva partecipare a riunioni nella sede della cooperativa di Salvatore Buzzi imponeva di attivare il jammer come disturbatore. Ma ciò che fino ad ora non era emerso, nel dettaglio, è il duplice livello di sicurezza adottato dal Nero: cabine telefoniche pubbliche per la «cautela intermedia»; cellulari e schede telefoniche intestate a extracomunitari o a persone ignare e che Carminati distribuiva mensilmente per parlare di affari e di «penetrazione nel tessuto politico» con Buzzi, Carlo Pucci e Fabrizio Franco Testa. E’ solo con loro, vale a dire il ras delle coop, l’ex direttore commerciale di Eur Spa e il manager del giro della destra romana, che Carminati «interagiva per le comunicazioni più delicate» e con il massimo della cautela

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Una storia lunga due anni.

Carminati comincia ad essere ”attenzionato” dopo «informazioni confidenziali» che arrivano al Ros su un’attività di riciclaggio e che chiamano in causa il negozio della compagna del Nero, Alessia Marini. Il cerchio si allarga ai contatti con l’estrema destra romana (Riccardo Brugia, Maurizio Boccacci, Lorenzo Alibrandi e Mario Corsi). Ma è mettendo in collegamento gli spunti di altri inchieste – Fastweb-Telecom Italia Sparkle e appalti Enav – che gli investigatori avrebbero maturato il seguente convincimento: Carminati viveva a Sacrofano nella villa di Massimo Iannilli, il commercialista vicino a Lorenzo Cola, ex consulente estendo di Finmeccanica; quella villa rappresentava il prezzo che il commercialista aveva pagato all’ex Nar in cambio della protezione dalle minacce rivoltegli da Gennaro Mokbel, che rivoleva indietro gli 8 milioni di euro investiti nell’affare Digint. Insomma, da quei pedinamenti iniziali, si vengono a scoprire gli intrecci tra Carminati e l’imprenditore Agostino Gaglianone, vale a dire il ”committente” di Salvatore Buzzi nei lavori del campo nomadi di Tor de Cenci. Era settembre del 2012, due anni prima degli arresti che a dicembre del 2014 hanno travolto la capitale scoperchiando i devastanti intrecci tra mondo di sopra e mondo di mezzo.

(Photocredit copertina: ANSA/MASSIMO PERCOSSI)

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