Vive la France? Non scherziamo

07/12/2015 di Diego Zirla

Ci dicono di guardare alla civilissima Francia. Il lavoro, la cultura, la pubblica amministrazione, la democrazia, tutto funziona da quelle parti. Vulgata vuole che solo a calcio riusciamo a batterli, fatta eccezione per l’Europeo del 2000 e il mondiale del 1998 (ma comunque Zidane giocava nella Juventus, su). Sono decenni che ci fanno la lezioncina, sono decenni che viviamo in uno stato di sudditanza psicologica nei confronti dei cugini più civilizzati.

E forse sono decenni che sbagliamo. Perché la Francia non è un esempio. La Francia rischia di essere, al massimo, il nostro futuro, se non impareremo dai suoi errori. Loro, dai nostri, non l’hanno fatto. Laddove i socialisti transalpini sono rimasti legati a un modello anacronistico di centrosinistra, noi abbiamo provato a fare (almeno) uno scarto generazionale.

E’ vero che il loro Bersani, Hollande, i francesi lo hanno eletto, e questo di sicuro non ha aiutato a far maturare un progressismo che vive nel mito ibrido di Mitterand almeno quanto i nostri piangono un Berlinguer che non hanno mai capito. E il problema è che il loro idolo è alla base di molti problemi, anche in politica estera, che fronteggia ora la Francia (chiedete delle sue spregiudicate campagne d’Africa per interposta persona, ad esempio, dal Mali al Burkina Faso). Non è diventata moderna quella sinistra, ma non è nemmeno tornata all’antico, ha solo scimmiottato la terza via blairiana con momenti di demagogia à la julienne (le 35 ore, impraticabili, l’ipertassazione dei superricchi che ha portato Depardieu tra le braccia di Putin).

E se Sarkozy, nel privato e nel pubblico, ha emulato Berlusconi, noi alla famiglia Le Pen che ormai sta colonizzando tutto ciò che non è Parigi – e a un orientamento politico che tra destra ed estrema destra con 3 formazioni mette insieme il 60% dei votanti – frapponiamo una democrazia ancora un filo più solida. Grillo e Salvini, che derive lepeniste le hanno eccome (anche nelle gaffe razziste dei loro mammasantissima) per ora, insieme, non arrivano al 40%, e Berlusconi è in discesa libera con un 10% abbondante. Non il massimo della vita, ovviamente, ma ricordiamo sempre che Beppe non è le Le Pen. Dall’altra parte, però, c’è un centrosinistra che non sta precipitando ma che, con tutti i suoi difetti, è comunque un baluardo democratico (prego astenersi commenti tipo “Renzusconi” e simili, stiamo provando a fare un’analisi al di là delle isterie e delle faziosità).

Insomma, dai francesi è da un pezzo che non abbiamo da imparare nulla. La reazione che li ha portati nelle braccia di Marie e Marion Le Pen, sotto l’egida dell’epurato padre della prima, già, ricordiamolo, concorrente a un ballottaggio delle presidenziali, sono i segnali di una democrazia in crisi, terrorizzata, pronta a consegnare a un’estremista il Potere. E in fondo, da quelle parti hanno sempre scelto così quando hanno avuto paura: o i vigliacchi servi come Petain o gli uomini forti come De Gaulle. #VengodopoVichy, scimmiottando Arbore, diceva qualcuno su twitter ieri notte. E la battuta, pur feroce, c’è tutta. Il problema di quest’Europa è essersi affidati, forse, alla presunzione politica di Francia e Germania, democrazie e sistemi economici ben più fragili delle apparenze che ci restituivano (pensate alla riunificazione tedesca, ai torbidi legami di Schroeder con la Russia, al caso Volkswagen).

Eppure la sudditanza psicologica e politica rimane, qui in Italia. E nessuno capisce che, forse, è da questa scalcagnata democrazia a responsabilità limitata che dobbiamo ripartire per rimettere insieme i pezzi di un continente che sta implodendo. Con l’autocritica e la lucidità, non con l’autolesionismo, il disprezzo per il proprio paese, la voglia di godere quando gli altri ci insultano.
Ma invece di provare a essere un grande paese, si preferisce invidiare le miserie altrui.
E allora qualcuno ha trovato anche nel Front National un modello. Sì, perché a capo dello stesso ci sono due donne e un omosessuale. Ecco cos’è mancato a Hitler in effetti: confessare la sua storia con Speer e non mettere la moglie di Goebbels e Eva Braun nell’esecutivo. Che fesso, il buon Adolf.

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