Come erano Samra e Sabina prima di morire per l’Isis

Samra e Sabina, le due ragazzine 16enni partite per morire in Siria per la causa dell’Isis, sono state forse le prime ragazzine a regalare la propria vita a Daesh senza nemmeno sapere di cosa si trattasse. Emblema di una scelta estrema, quella dei cosidetti foreign fighters, persone con evidenti problemi di socialità che abbandonano le proprie esistenze “normali” per inseguire una vita da incubo. Ma come erano le vite “normali” di Sambra e Sabina? Ce ne parla il Corriere della Sera in edicola oggi

SAMRA E SABINA

Chi parla di religione non ha capito bene il problema, davvero

«Molto religiosa Samra? Se coprirsi i capelli è essere molto religiosi, negli ultimi tempi lo era. Ma secondo me dell’Islam sapeva poco. Non è andata in Siria per quello», dice Angela, 17 anni, davanti alla porta a vetri della scuola che entrambe hanno frequentato

Entrambe, lo ricordiamo, sarebbero morte in Siria. La prima sotto i bombardamenti di Raqqa. La seconda, dice una signora che era con lei, riempita di botte perché voleva tornare a casa.

Durante l’intervallo di pranzo, gli studenti del «Bhak Wien 10», l’istituto commerciale che Samra frequentava, escono dal grande edificio color ocra, fumano, mangiano pezzi di pizza. Alcune ragazze portano il foulard per coprire i capelli, la maggior parte no. Angela e i suoi compagni di classe raccontano che sì, sapevano delle idee di Samra. Aveva anche scritto su un muro della scuola «Amo Al Qaeda», vicino a un cuore. «Ma avrebbe potuto scrivere “Amo Justin Bieber”», dice Stephan.

E ancora

Samra Kesinovic e Sabina Selimovic, grandi amiche fin da piccole, venivano proprio da due famiglie bosniache, non praticanti. […] Andavano in discoteca, portavano jeans attillati, si truccavano — dicono i compagni di scuola. Giravano la città con il loro amico inseparabile, Waha, un po’ più grande: di origini cecene, parlava della sua terra, delle ingiustizie del mondo, dell’Islam. Hanno iniziato a frequentare la moschea Hidaya, nel quartiere del Prater. Il 10 aprile 2014, i Kesinovic e i Selimovic hanno trovato i messaggi con i quali le loro figlie annunciavano la partenza, l’adesione all’Islam radicale fino alla morte. «Arrivederci in paradiso».

Ma per Samra e Sabina l’Isis non è la risposta alle pene religiose: è anzi la meta finale di una vita di disagio e di esclusione sociale.

Il direttore della «Bhak Wien 10», Peter Slanar, ricorda di avere avuto un colloquio con Samra e sua madre, poco tempo prima che partisse. Si era scritta sulla mano la solita «Amo Al Qaeda» e attorno cuoricini, come fanno le ragazzine di tutto il mondo tra delicatezza e romanticismo. […] L’ideologia violenta e settaria c’entra, ma in effetti per giovani come Samra e Sabina arriva dopo. Prima c’è il disagio del sentirsi diversi e «meno riconosciuti» rispetto alle comunità locali — dice Gärtner — che poi diventa radicalizzazione

Insomma è ora di comprendere bene queste dinamiche, perché Isis lo ha già fatto, e da tempo se ne nutre.

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