Ian McKellen: “Holmes mi mancava, ma non ci speravo. E tanti colleghi ora mi invidiano”

Ci sono attori che possono affermare di avere fatto grandi cose nella vita, ma Sir Ian McKellen è uno di quelli difficili da doppiare. A 27 anni fu uno straordinario David Copperfield per la BBC, ha interpretato sul palcoscenico praticamente tutto lo Shakespeare possibile, il suo Riccardo III è entrato nella storia del cinema. Poi, arriva un ragazzino di talento chiamato Bryan Singer che lo vuole vecchio ufficiale nazista trapiantato in America ne L’allievo, e scatta la scintilla. Due anni dopo si trasforma in Magneto, personaggio Marvel della saga degli X-men che sembra essere nato con lui. E nel mentre, Peter Jackson non può immaginare Il Signore degli Anelli senza McKellen con il bastone e il mantello di Gandalf.Ian McKellen intervista

 

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Insomma, cosa si potrebbe volere di più, soprattutto se British? È presto detto. Ecco, insperato, che bussa alla sua porta Bill Condon, che dopo Twilight cerca il modo di ravvedersi, con in mano la lente d’ingradimento e la pipa di Sherlock Holmes. L’occasione la offre un copione tratto dal romanzo A Slight Trick of the Mind, un’avventura apocrifa in cui troviamo il detective, nato dalla penna di Arthur Conan Doyle, ultranovantenne e intento a scrivere le sue memorie nel disperato tentativo di ricordare perché l’ultimo caso della sua carriera sia rimasto irrisolto per trent’anni. Nel mentre, deve anche combattere i mali del corpo e soprattutto della mente. Ritiratosi in campagna, viene accudito con fermezza da Mrs. Munroe, interpretata dalla bravissima Laura Linney, e stimolato a ricordare i tempi che furono dal di lei figlio, giovanissimo appassionato dei suoi casi e della sua aautobiografia.

Mr. Holmes, questo il titolo del film, esce oggi nelle sale italiane, distribuito in circa 150 copie da Videa CDE. Noi abbiamo incontrato il suo protagonista a Londra e abbiamo parlato con lui del suo personalissimo Sherlock.

Sir Ian, cosa l’ha colpita in particolare di Mr. Holmes?

Scoprire che una persona che pensavamo di conoscere bene e con cui, non essendo particolarmente socievole, non penseremmo mai di passare del tempo­­, ha invece un cuore che batte e con cui sta cercando di fare pace da trent’anni. Il suo desiderio di affrontare l’emotività che si era sempre negato l’ho trovato molto toccante e ci dice che forse c’è speranza per ognuno di noi.

Mitch Cullin ha ricevuto pesanti critiche dai fan di Holmes che non accettano di vederlo fragile e imperfetto. Lei che ne pensa?

Penso che abbia solo raccontato un aspetto differente di un personaggio che ci è davvero familiare e che avrebbe potuto affrontare anche Conan Doyle in persona. Personalmente non mi sono giunte lamentele per avere “violato” Holmes. E in ogni caso, lo hanno fatto anche molti altri attori prima di me.

Un altro aspetto classico è quello della solitudine di Sherlock Holmes. Ci si è ritrovato?

Vivo solo, ma non sono una persona solitaria, adoro la compagnia, uscire, vedere gente, ma è anche vero che quando mi trovo in situazioni mondane o pubbliche, non vedo l’ora di tornare a godermi la pace della mia casa. Ma sono una persona socievole, sul set del film non sono stato un giorno senza il piacere di pranzare con quella splendida persona di Laura Linney. Entrambi, per fortuna, non siamo quel tipo di attori che staccano ogni volta che è possibile.

Si è ispirato a qualcuno dei precedenti Holmes dello schermo per il ruolo?

Ho imparato molti anni fa che se qualcuno si prende l’impegno di scrivere una sceneggiatura, i miei eventuali suggerimenti su omissioni nella ricerca di qualunque sorta arriverebbero comunque troppo tardi, anche perché le cose sono certamente già state sistemate. Le mie osservazioni sono solitamente noiose, irrilevanti e non necessarie, e va benissimo così, perché così si evita a tutti il dovere di leggere corposi tomi biografici che farebbero perdere tempo. Quello che mi interessa è che lo script sia valido, e questo lo era, e sono fortunato a conoscere Bill Condon da lungo tempo, così da poter essere stato consultato per il ruolo prima di molti altri attori che ora si stanno strappando i pochi capelli rimasti.

Qualche anno fa parlava effettivamente di ambizioni insoddisfatte. Interpretare Sherlock Holmes era una di queste?

A dire il vero no, probabilmente perché come tanti altri ho sempre considerato Holmes una persona reale e perché sono da tempo troppo anziano per poterlo fare. Questo Sherlock di 93 anni è stata veramente una fortuna inaspettata.

Sherlock Holmes è davvero un personaggio che sembra non avere mai fine.

Sa, la cosa peggiore che un attore può fare affrontando un personaggio già interpretato da centinaia prima di lui, è proprio pensare a questo aspetto. Se così facessimo, nessuno salirebbe più su un palco a fare Amleto. E sarebbe un delitto, perché è un’opera straordinaria che il pubblico ama da secoli. In questo caso, ho avuto almeno la fortuna di poter lavorare su una storia originale.

Dopo una lunga carriera, cosa ha aggiunto al suo bagaglio incontrare Holmes?

Dunque, ho settantasei anni e lui novantatré, quindi per prima cosa mi ha spiegato che ho ancora un po’ di tempo per fare altre cose. Scherzi a parte, ho sempre pensato che non bisogna mai lasciarsi andare, si ha la possibilità di scoprire nuove cose su di noi e sul mondo che ci circonda fino all’ultimo momento. Credo sia davvero un esempio per molte persone che, come me, vogliono godersi la vita nonostante dolori e malanni.

L’ultima domanda proprio su questo aspetto. Il suo Holmes è affetto dai primi sintomi di demenza senile. Ha fatto delle ricerche in merito?

Immagino sia stata più che sufficente la mia. In ogni caso, mi sono concentrato sul deterioramento del corpo e della mente, entrambe cose che personalmente ho cercato di preservare nel corso della vita. Puoi leggere libri, parlare con i massimi esperti e con le persone che stanno affrontando questi problemi, comunque non serve a fartene sapere di più. Può servire allo psicologo o al dottore per prescrivere i farmaci adeguati, ma per un attore è diverso. Abbiamo un rapporto intimo con la mortalità da subito ed è un tipo di esperienza che ci nutre per tutta la vita.

 

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