Menichini e i soldi pubblici ai giornali

Il direttore di Europa spiega perché è giusto finanziare la stampa di partito. Un controcanto

Stefano Menichini, direttore di Europa, oggi verga un lunghissimo editoriale nel quale parla della crisi dei giornali sussidiati dopo il taglio delle provvidenze all’editoria. Gli argomenti che solleva meritano qualche considerazione e discussione. Si parte dalla “dichiarazione” di Giuliano Ferrara a proposito delle condizioni del Foglio:

Il Foglio non deve chiudere, va da sé. Per la qualità controversa delle idee e delle parole che produce, per la leva impareggiabile (Europa esclusa) di giovani talenti che educa, promuove e smista, per l’urticante presenza di un direttore e dei suoi cinici coetanei e complici, per smentire i quali occorre sempre migliorare se stessi, esercizio che solo gli stolti si risparmiano.

Il primo argomento portato da Menichini è specioso: il Foglio non dovrebbe chiudere per questioni di qualità. Inutile andare a discutere il concetto di qualità, e se per caso esso presuppone, ad esempio, l’addossare all’estremismo islamico la strage di Oslo perché a una certa ora il giornale è da chiudere, oppure se tutti i clamorosi pipponi sulle armi di distruzione di massa di cui l’Iraq di Saddam era pieno zeppo rappresentino, a parere di Menichini, la qualità. Basti dire che, essendo il concetto squisitamente soggettivo, anche l’Eco del Carrozziere ha una sua intrinseca qualità che sarebbe un peccato perdere. Resta da vedere se sia giusto che siano i soldi di tutti i cittadini a pagare il dispiegamento dell’altrui qualità. Questo è il dilemma, direbbe qualcuno.

Dopo di che non credo che il Foglio chiuderà (intanto mi interrogo su quanta parte del suo problema risieda nel più generale disarmo, politico e non solo, che Silvio Berlusconi sta imponendo ai vari comparti del suo sistema di potere e di battaglia), però so che il suo problema è il problema di tanti altri, che pur non essendosi dati alle spese pazze ed essendosi meritati nome, rispetto e ruolo, ciò nonostante non reggono l’urto della crisi, e tutti scrutano con scarsa lucidità e flebili speranze nelle prospettive offerte dall’ormai mitologico trasloco dall’edicola al web.

La semplificazione dell’argomentazione riguardante il web è quantomeno sbagliata. Menichini  non espone – ma la rifiuta – la tesi del trasloco che pure è nel titolo del suo editoriale. In questo modo il lettore non capisce ma si adegua. Proviamo a sintetizzarla noi: visto che il problema che si tira fuori ogni volta che si parla di tagliare i finanziamenti ai giornali d’opinione è “E il pluralismo? Ne verrebbe danneggiato, non trovate?”, la soluzione, prospettata anche a livello governativo, è come l’uovo di Colombo: se tenete soltanto alla testimonianza e avete a cuore il pluralismo, a cosa vi serve andare in edicola con costi esorbitanti coperti dallo Stato? Con un sito web si dimezzano i costi d’esercizio e si impedisce anche ai soliti noti – ehm ehm – di paraculeggiare stampando più copie del venduto perché così i rimborsi sono più alti. E si fornisce una testimonianza che è accessibile a molte più persone di quelle che frequentano le edicole. Ecco, adesso il lettore ha ascoltato l’esposizione dell’argomentazione che Menichini ha ignorato. Cosa ne pensa, adesso? E cosa ne pensa del fatto che, quando non si vuole discutere un’argomentazione, la cosa migliore è sintetizzarla in maniera errata?

Il paradosso è quasi ovunque lo stesso. Più o meno condivisibile che sia, la produzione intellettuale e giornalistica di molte di queste testate è riconosciuta, circola, rimbalza, crea opinione e contrasto. Insomma, funziona. Ma non remunera. Quelli che per leggere sono disposti a recarsi in edicola e spendere sono pochi, mentre la stragrande maggioranza di quelli che usufruiscono dei contenuti (magari di qualità, elaborati da strutture redazionali regolari dunque onerose per quanto leggere) lo fanno gratis sulla rete, e ormai ritengono la gratuità un diritto acquisito. Pur di averla garantita – si trattasse anche solo di spendere un euro – sono disposti a scambiarla con meno qualità, con contenuti più improvvisati, meno professionali, tanto il consumo è rapido e l’offerta pressoché illimitata.

Anche qui Menichini ritorna sul concetto di qualità, ma lasciamo perdere la discussione sul punto specifico e diamola per buona. Quale miglior antidoto a tutto questo schifo che circola, allora, se non trasferire testate di indubbia qualità come Europa, la quale ospita, ad esempio, una rubrica di Mario Adinolfi sul web.


Per l’esperienza che abbiamo della rete, Europa avrebbe anche altri miglioramenti dallo sbarco sul web: noterebbe di più cosa ne pensano, i lettori, della “qualità” di certi contenuti pagati con soldi pubblici. Ma andiamo avanti:

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