Il 13 novembre 2015 di Parigi cambierà il mondo? No, le bombe a Madrid e a Londra lo hanno forse fatto?

14/11/2015 di Andrea Mollica

L’enorme emozione suscitata dall’orrore per l’attacco terroristico subito a Parigi sembra far dimenticare come simili azioni non siano novità nella recente storia europea. La reazione istantanea induce a dimenticare come il nostro Continente abbia già vissuto stragi di entità paragonabile a quella avvenuta venerdì 13 novembre 2015.

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Nelle bombe contro le stazioni di Madrid sono morte quasi 200 persone nella primavera del 2004, colpevoli solo d’essere pendolari, mentre nell’estate dell’anno dopo gli attentati alle metropolitane di Londra le vittime hanno sfiorato i 60. Normali cittadini impegnati in attività quotidiane anch’essi. Quelle stragi fondamentaliste hanno cambiato poco o nulla nelle nostre vite così come minimo è stato il cambiamento nella politica europea, tolto il ritiro della Spagna dall’operazione contro l’Iraq. Sembra facile prevedere che anche gli attentati di Parigi provocheranno un simile effetto. L’unica vera svolta realistica a livello di politica internazionale sarebbe la conclusione della missione militare della Francia in Siria, ma dalle prime dichiarazioni di François Hollande si intuisce che succederà piuttosto il contrario. Che Germania, Italia, o altri Paesi europei decidano di rafforzare l’intervento bellico contro l’ISIS è forse possibile, ma la svolta contro il terrorismo che molte persone si attendono non si verificherà, anche per i risultati disastrosi della campagna in Iraq. Invadere i Paesi arabi per impedire che un gruppo di terroristi, magari cittadini europei come gli autori della strage di Charlie Hebdo, progettino una strage in un garage o in un appartamento di una metropoli continentale appare tanto inefficace quanto dannoso.

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Le stragi di Madrid e Londra sono state organizzate dai terroristi per dissuadere Spagna e Regno Unito dall’aiutare gli Stati Uniti di Bush nella missione irachena. Contro quella guerra si è sviluppata l’organizzazione terroristica oggi conosciuta come ISIS, che forse, sottolineo forse, ha chiesto ai suoi miliziani di colpire Parigi come vendetta per i bombardamenti in Siria. Il sedicente Stato islamico è infatti erede diretta di al-Qaida in Iraq, il gruppo fondamentalista guidato da al-Zarqawi, il terrorista giordano che ha brevettato i video horror delle decapitazioni. Anche al-Qaida si è radicata dopo l’arrivo delle basi militari americane nei Paesi del Golfo, e lo stesso Osama Bin Laden si era convertito al fondamentalismo islamico dopo l’invasione sovietica dell’Afghanistan. Questa contestualizzazione evidenzia semplicemente come la strategia del “bombardiamo e ammazziamo i tagliagole a casa loro” sia già stata ampiamente sperimentata, e ripetutamente bocciata, dalla storia così come dal libero voto di diversi Paesi occidentali. Il terrorismo islamico deve essere contrastato, ma lo strumento più efficace non è stato ancora trovato, così come non sembra esistere uno risolutivo. Le guerre sono scelte politiche molto impegnative, richiedono molto denaro e tanta pazienza, e l’Europa incapace di gestire qualche decina di migliaia di migranti non sembra certo attrezzata per sforzi bellici molto costosi in vite umane, oltre che dal punto di vista finanziario.

Forse la strage di Parigi cambierà la vita di chi va ai concerti, con controlli al corpo per chi si reca a spettacoli dal vivo, così come l’11 settembre ha modificato le abitudini di viaggio di chi prende l’aereo. Finora veniva verificata sola la validità di un biglietto. Ma questa misura sarebbe risolutiva? Sembra proprio di no, sinceramente. Sicuramente gli attentati costati la vita a più di 100 persone non cambieranno la viltà dell’Europa di fronte alla Turchia di Erdogan. Il presidente turco ha chiesto uno sforzo comune contro il terrorismo, tracciando un’inaccettabile similitudine tra i curdi del PKK e l’ISIS. Al contrario di quanto affermato dall’autocrate di Ankara, i curdi, in maggioranza islamici, finora si sono distinti proprio per la loro risolutezza nella sfida a un’organizzazione terroristica ampiamente tollerata, diciamo così, da Stati di cui siamo alleati. I foreign fighers che partono dall’Europa per combattere la jihad potrebbero essere facilmente fermati dalle autorità turche, ma in questi anni la porosità del confine con la Siria è stata più che sospetta. I leader europei però hanno altresì tollerato la deriva autoritaria di Erdogan, partner indispensabile nell’area, ora diventato ancora più centrale per contenere la crisi dei migranti. Piangiamo per i morti di Parigi, indigniamoci per l’orrore di quegli attacchi, ma risparmiamoci l’illusione di svolte storiche che un semplice confronto col passato o col presente ci smentisce.

 

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