Tim Cook “L’app che più mi ha emozionato? Quella di un operaio”

TIM COOK –

Steve Jobs ha fatto scuola. Ed ecco che anche la “narrazione” del CEO di Apple, Tim Cook, è diventata un giusto mix di epica empatica, retorica studiata, aneddoti efficaci. E lo capisci dalla frase con cui esordisce nell’intervista esclusiva rilasciata al Corriere della Sera, la prima a un media italiano.

Tim Cook (AP Photo/Marcio Jose Sanchez, File)
Tim Cook (AP Photo/Marcio Jose Sanchez, File)

«Se è vero che mando la prima email ai miei collaboratori alle 4.30 di mattina? No, alle 3.45!»

Bella battuta, ma l’impressione è che sia vero. Le leggende si costruiscono sui dettagli. E allora pur avendo l’azienda che dirige il più alto valore in Borsa, lui conquista la platea bocconiana con un aforisma di impatto sicuro. «L’azienda migliore è quella che serve il bene comune».

LEGGI ANCHE: IL DISCORSO DI TIM COOK ALLA BOCCONI

Ed ecco perché ciò che lo emoziona di più è l’App Economy, che ridefinisce il concetto di opportunità, democrazia e merito.

«La cosiddetta “App Economy” è in molti Paesi il settore in cui i posti di lavoro crescono più rapidamente. Molti possono imparare a fare app: puoi esprimere una passione e vendere la tua idea in tutto il mondo. Prima dovevi creare un prodotto e andare a lavorare con i rivenditori in ogni singola nazione. L’App Store ha permesso a chiunque di premere un bottone e creare un’offerta globale. Ci sono giochi ovviamente, ma ci sono app per news, shopping o educative. Ero in Cina un paio di settimane fa e ho visitato uno sviluppatore: il padre era un carpentiere e gli ha insegnato l’arte del legno e lui ha creato un’applicazione per trasmettere ad altri come si fa un intarsio. Storie simili sono motivanti».

Ne ha anche per Bill Gates, che ha detto “la gente neanche si rende conto di quanti posti di lavoro saranno sostituiti da software e algoritmi”.

«Non giudico se abbia torto o ragione. Però il cambiamento nel mondo è una costante. C’è stata un’epoca in cui dovevi saper cavalcare e portare le carrozze. Poi sono arrivati i treni e le auto e abbiamo avuto bisogno di ingegneri. I lavori variano ma il lavoro resta. Vedo questi fenomeni in continuazione in Paesi differenti. Figure professionali che spariscono e altre che nascono. L’importante è che aziende e governi preparino le persone a questo nuovo mondo. Il tuo atteggiamento mentale deve essere di apertura».

Poi parla dell’iPhone, di quanto fosse imprevedibile la rivoluzione che avrebbe portato nelle nostre vite, oltre che nello sviluppo dei prodotti. “Anche se sapevamo che era davvero buono, ci avevamo lavorato per tre anni”.

Con l’App Store, che in effetti è arrivato un anno dopo, è cambiato il modo di fare innovazione. All’inizio veniva da Apple, attraverso l’iPhone. E ne facciamo ancora molta con i nostri prodotti. Ma in aggiunta a questo ora ci sono 12 milioni di sviluppatori che innovano a un ritmo incredibile. L’ecosistema è molto forte.

E poi un altro aforisma alla Jobs.

L’unico limite adesso è l’immaginazione

Non rinuncia, però, a lanciare l’allarme privacy, anche se parla di Apple come un sistema sicuro.

Noi non leggiamo le vostre email né i vostri messaggi. Si possono fare grandi prodotti e insieme avere un’adeguata protezione dei dati personali. Cloud non significa “fine della privacy”. Significa solo prestare più attenzione a come i prodotti sono concepiti per garantirla

Ma il problema è che Google e Facebook non la pensano alla stessa maniera. “La gente non immagina quante loro informazioni si possano trovare negli archivi on line”. E che se dalle preferenze commerciali, si passa al secondo livello, “dati sanitari e investimenti”, sarà troppo tardi.

A quel punto ci chiederemo “Perché abbiamo permesso tutto questo? Come è potuto accadere?”. Io sono ottimista per natura e spero non si avveri, ma è per questo che insisto sulla privacy. Non è qualcosa di separato dal rispetto e dalla dignità umana. È un modo molto diverso di vedere rispetto ad altre aziende».

Non rinuncia neanche a tornare sul suo coming out, quando espresse il suo “orgoglio di essere gay”, definendolo un dono di Dio.

«Mi sono esposto perché non puoi essere un leader se non sei autentico. Ci sono cose orribili che accadono soprattutto a bambini e ragazzini. Bullismo a scuola, essere trattati come cittadini di seconda classe, essere ostracizzati persino in famiglia. Ho sentito una responsabilità tremenda e ho dovuto dire qualcosa. Prima davo così tanto valore al mio privato che non volevo farlo. Sapevo che ci sarebbero state ripercussioni. Ma a un certo punto, dopo essere diventato ceo di Apple, mi è diventato chiaro che avrei potuto fare la differenza, anche se magari solo per piccoli gruppi di persone. Così ho messo da parte la privacy e ho dichiarato chi sono».

Ma la notizia che a Milano tutti aspettavano era un’altra. L’Apple Store si farà.

«Sì, lo faremo. E lo Store avrà un design incredibile. Sarà un simbolo di apprezzamento verso la vostra cultura. Sarà un grande negozio e assumeremo molte persone. Vogliamo essere dentro la vita della comunità di cui ci mettiamo al servizio».

 

Share this article