Riforme, la minoranza Pd strappa. Convocata direzione Pd per lunedì

15/09/2015 di Redazione

Riforme,

ore 13.00 – Matteo Renzi ha convocato una direzione straordinaria del Partito democratico per lunedì prossimo. Forse alla vigilia dell’arrivo del testo in Aula, dato che il Pd dovrebbe chiedere l’approdo del provvedimento per martedì. Un vertice, quello del parlamentino dem, dove potrebbe esserci il redde rationem finale sulle riforme costituzionali tra maggioranza renziana e dissidenti dem.

 

L’intesa è ancora lontana tra la minoranza Pd e la maggioranza renziana sul Ddl Boschi. O almeno, non c’è margine per un accordo che unisca le diverse anime del dissenso dem. Doris Lo Moro, bersaniana doc e firmataria del documento dei 28 senatori dissidenti dem che insistono per l’elezione diretta del nuovo Senato, ha abbandonato il tavolo con i vertici del partito e con la stessa ministra delle Riforme. Bollato, di fatto, come inutile per trovare un compromesso: «Siamo di fronte a un binario morto, non si discute né di articolo 2 né delle funzioni del Senato», ha attaccato la senatrice. I nodi? Restano gli stessi. Con tanto di prova di forza tra i ribelli dem e il premier, che non intende rimettere in discussione il centrale articolo 2 del Ddl Boschi.  Anzi. Il premier ora vuole subito l’Aula, per aggirare l’impasse in commissione e provare a far emergere le divisioni tra i dissidenti Pd. Ma non solo. Quella di Renzi è una sfida anche a Pietro Grasso, considerato il tatticismo del presidente del Senato e la decisione che ancora tarda sull’emendabilità dell’articolo 2,  ha deciso di accelerare.

RIFORME, RENZI SFIDA MINORANZA PD E GRASSO –

La conferenza dei capigruppo del Senato è stata convocata per oggi alle ore 15. Il Pd è ormai intenzionato a chiedere subito la calendarizzazione già alla capigruppo. Presentandosi al redde rationem a Palazzo Madama senza mandato al relatore. «Ho chiesto al presidente del Senato, Pietro Grasso, di convocare una conferenza dei capigruppo, dopo aver sentito i miei colleghi delle Autonomie, Zeller, e di Ncd, Schifani. Ora la convocazione spetta al presidente», ha affermato Luigi Zanda, capogruppo Pd a Palazzo Madama. Un modo per cercare di stemperare le polemiche, dopo che le voci sulla capigruppo fissata per oggi si erano diffuse ben prima della richiesta alla presidenza. Con tanto di irritazione di Grasso e la precisazione: «Finché resta questo Senato e il Regolamento è ancora quello in vigore, a convocare la conferenza dei capigruppo deve essere il presidente del Senato, e non altri».

 

RIFORME, FINOCCHIARO E QUEL “MESSAGGIO” PER GRASSO: «IN COMMISSIONE NON AMMISSIBILI GLI EMENDAMENTI ALL’ARTICOLO 2»

Allo stesso modo prosegue il pressing sulla seconda carica dello Stato. In attesa della sua decisione sull’emendabilità dell’articolo 2, è stata Anna Finocchiaro a “gelare” dissidenti Pd, Ncd e opposizioni. Considerando inammissibili le circa 2800 richieste di modifica sullo stesso articolo nella commissione Affari costituzionali da lei presieduta. Il motivo? Finocchiaro ha ricordato come l’articolo 2 del ddl Boschi sia stato votato in “doppia conforme” sia al Senato sia alla Camera. E come sia possibile presentare emendamenti solo nelle parti del testo modificate a Montecitorio. Questo è quanto prescrive l’articolo 104 del regolamento di Palazzo Madama:

«Se un disegno di legge approvato dal Senato è emendato dalla Camera dei deputati, il Senato discute e delibera soltanto sulle modificazioni apportate dalla Camera, salva la votazione finale. Nuovi emendamenti possono essere presi in considerazione solo se si trovino in diretta correlazione con gli emendamenti introdotti dalla Camera dei deputati».

Tradotto. Saranno ammessi, secondo l’interpretazione di Finocchiaro, soltanto gli emendamenti al comma 5 dell’articolo 2. Quello modificato a Montecitorio, seppur in modo quasi impercettibile («La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti», al posto di «nei quali sono stati eletti», ndr). Finocchiaro ha anche precisato come gli stessi emendamenti per essere ritenuti ammissibili devono aver per «oggetto la durata del mandato dei senatori» e «confermare le parti del testo approvate in doppia deliberazione conforme che prevedono che il Senato sia composto da consiglieri regionali, eletti in secondo grado». Tradotto, testo blindato secondo le volontà della maggioranza renziana. 

Anche perché, come ha ricordato la senatrice Pd, le modifiche ai testi approvati con doppia seduta conforme sono possibili soltanto in caso di accordo di tutti i gruppi parlamentari, in base al principio del diritto parlamentare del nemine contradicente. Ipotesi a dir poco improbabile, considerato come Renzi si sia sempre opposto a riaprire la discussione sull’articolo 2 del Ddl Boschi.

La decisione di Finocchiaro sugli emendamenti in commissione è stata però un altro segnale della sfida lanciata dalla maggioranza renziana a Grasso. Il motivo? Per Grasso sarebbe ora complicato scegliere di accettare gli emendamenti all’articolo 2 perché entrerebbe in contrasto istituzionale con la stessa presidenza della commissione Affari costituzionali.

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RIFORME, LA MINORANZA PD LASCIA IL TAVOLO CON BOSCHI E I VERTICI DEL PARTITO. RENZI CERCA DI RECUPERARE PARTE DEI DISSIDENTI –

Dopo lo strappo dal tavolo dem, la minoranza Pd ha intanto confermato la volontà di non ritirare gli emendamenti, rivendicando ancora una volta un sistema diretto di elezione dei nuovi senatori attraverso la modifica dell’articolo 2. Non senza critiche rivolte alla Finocchiaro: «La stimo molto, ma ha fatto una valutazione di tipo politico presentandola come una scelta tecnica», ha spiegato al quotidiano La Repubblica. Eppure, almeno a parole, la maggioranza non sembra preoccuparsi. Con la stessa M aria Elena Boschi che continua a sbandierare ottimismo: «Secondo me l’accordo lo troviamo. Compreso quello con la minoranza Pd. Siamo a un binario morto secondo Lo Moro? No, abbiamo fatto passi avanti. Cerchiamo un accordo ampio, coinvolgendo anche parte delle opposizioni».

In realtà, i timori sui numeri di Palazzo Madama restano. Non è un caso che da giorni continui la campagna acquisti della maggioranza, con tanto di scouting degli ambasciatori renziani e dell’ex plenipotenziano di Forza Italia Denis Verdini su gruppi e singoli senatori. Nessuno però vuole rischiare di tornare a votare, così la riforma sembra blindata, al di là delle battaglie mediatiche. E della prova di forza tra maggioranza e ribelli Pd. Tutt’altro che uniti, ha provocato la stessa Boschi: «Erano emerse differenze all’interno della stessa minoranza Pd» in merito alle riforme. Certo, al di là della sicurezza sbandierata sui numeri, non sarà lo stesso per Renzi approvare la riforma con un partito compatto alle spalle o con voti recuperati da singoli senatori di altri gruppi. In particolare, da Fi e verdiniani. Per questo gli ambasciatori renziani portano avanti la strategia del dividi et impera, cercando di recuperare parte della truppa dei senatori dissidenti.

RIFORME, NODO NCD –

Per evitare rischi a Palazzo Madama, però, Renzi ha bisogno che Alfano riesca a mantenere unito un Nuovo centrodestra a rischio implosione. E che l’intera – o quasi – truppa degli ex diversamente berlusconiani eviti trappole in Parlamento. Il senatore Gaetano Quagliariello, in eterna attesa della poltrona da ministro, ha intanto rilanciato sull’Italicum, presentando un disegno di legge per cambiare il premio di maggioranza, assegnandolo alla coalizione (e non più alla lista, così come previsto, ndr). Più di una decina, secondo fonti parlamentari, sono i senatori di Area Popolare tentati dallo sgambetto al Senato sul Ddl Boschi, con i sudisti Viceconte, Gentile (e non solo) tra i più perplessi. Senza dimenticare chi, come Formigoni, è critico anche per la deriva troppo filorenziana del partito. Ma lo stesso ministro dell’Interno Alfano sta lavorando per provare ad evitare la faida interna. Anche promettendo di non vincolare Ncd ad alleanze organiche con il Pd alle prossime amministrative, come vorrebbe l’ala più legata al premier.

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