Quando Mihajlovic diceva «Io mai al Milan»

«Io non potrei mai diventare allenatore del Palermo…no, neanche del Milan, io sono fatto così. Forse è sbagliato, posso anche morire morire di fame ma rispetto sempre le società dove ho giocato e dove ho allenato e sicuramente sarebbe difficile rifiutare ad andare ad allenare il Milan, non mi si presenterà mai quest’opportunità. E se per caso succedesse in futuro non potrei mai farlo perché ho giocato quattro anni nell’Inter e sono interista».

Sinisa Mihajlovic, Catania, 19 novembre 2010.

Sinisa Mihajlovic, Milano, 10 settembre 2015

Ok, come disse il vecchio saggio: «solo gli imbecilli non cambiano mai idea». Ma allo stesso tempo si potrebbe anche obiettare: «le chiacchiere se le porta via il vento». 1-1, palla al centro.

Sinisa Mihajlovic ormai quasi cinque anni fa giurava fedeltà eterna alle squadre in cui aveva giocato o allenato. Non avrebbe mai guidato Roma, Milan, Palermo e Genoa. Certo nessuno si sarà però dimenticato che ha giocato con i giallorossi dal 1992 al 1994 e con la Lazio dal 1998 al 2004. Secondo questo principio avrebbe dovuto rinunciare alla chiamata di Sergio Cragnotti. Ma non l’ha fatto. Allora perché avrebbe dovuto dire di no al Milan dopo due anni alla Sampdoria, dove con la partenza di Gabbiadini non aveva più trovato un modulo di gioco consono alla squadra, facendo di fatto il suo tempo?

Al di là dello spettacolo da villaggio vacanze con tanto di “chi non salta nerazzurro è”, una chicca rinunciabile visto il clima pre-derby e le perplessità di una città che non si raccapezza tra le decine di acquisti di quelli lì con gente che si rompe a caso e poi ti trovi sempre in campo Ranocchia e Nagatomo e la mancanza di gioco di noi altri, rimasti ancora ancorati all’Inzaghi I, non dev’essere semplice essere Sinisa Mihajlovic a Milano.

L’amichevole col Mantova e le dichiarazioni contro le riserve che si sono dimostrate tali e contro un Balotelli arrivato sovrappeso da Liverpool, senza dimenticare il mancato utilizzo di Mexes e Montolivo, sono valsi, ma non si sa quanto legame ci sia tra questi fattori, una convocazione ad Arcore alla presenza di Silvio, Adriano e Barbara. Si resti organici, si evitino le esternazioni a mezzo stampa. I panni sporchi? Quali? #restiamouniti.

E quindi? Niente, ti tocca saltare. Per una festa da villaggio vacanze. Difficile mantenere una certa coerenza di pensiero ad un certo livello. Si sceglie di mettersi in gioco, di accettare delle sfide, di sottostare a regole ben precise. E dire che le regole di un derby Sinisa Mihajlovic dovrebbe conoscerle. Ha vissuto le due stracittadine più calde d’Italia, quella di Roma e quella di Genova. E regola vuole che bisogna rispettare colori e tifosi. Fa tutto parte del gioco. Il “ve state ad attaccà ar fumo della pipa” di Claudio Ranieri ai laziali o il “Io odio la Sampdoria e non perdo occasione per ribadirlo” della buonanima di Franco Scoglio sono forse segno di un calcio che non c’è più. Ma quel “chi non salta nerazzurro è” ricorda quei calciatori che a ogni cambio di casacca baciano lo stemma, un gesto che allontana i tifosi dalla spontaneità e dalla passione vera di questo sport. Una roba da telecamere, da spot, appunto da villaggio vacanze. Non è un derby, è una pubblicità continua.

Piuttosto che si dica chiaramente “sono un professionista, mai dire mai nella vita”, allora potremmo vivere quest’avventura sportiva in maniera più serena senza ambiguità. Ad esempio Clarence Seedorf non risulta abbia mai detto che non sarebbe approdato al Milan per nessun motivo. E noi tifosi gli ex interisti mica li minacciamo. Se vogliono venire ben vengano, basta che s’impegnino e non facciano pose. Ed infatti… (Photocredit copertina  Marco Luzzani/Getty Images)

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