Così cambia la mafia in Italia

Cosa Nostra è ancora una «galassia fortemente strutturata e pervasiva» nonostante le difficoltà persistenti che si trova ad affrontare, come la minore solidità delle leadership. Intanto la camorra, che ad una «strategia di sommersione» spesso preferisce un «atteggiamento aggressivo», risulta «caratterizzata dalla polverizzazione dei clan». La ‘ndrangheta, invece, considerata «tra le più potenti manifestazioni criminali autoctone», si conferma organizzazione «capace di agire con estrema disinvoltura nei contesti più diversificati, con un’accentuata predisposizione nei confronti di comparti economici, finanziari ed imprenditoriali». Potrebbe essere sintetizzata così l’ultima relazione del Ministero dell’Interno al Parlamento sull’attività svolta e i risultati conseguiti dalla Direzione Investigativa Antimafia, il rapporto semestrale (relativo in questo caso alla seconda parte del 2014) che descrive a grandi linee dove e in che modo agiscono sul nostro territorio nazionale i principali gruppi malavitosi, italiani e stranieri.

 

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COSA NOSTRA –

Dall’analisi degli eventi criminosi emersi nel secondo semestre dello scorso anno – fa sapere il Viminale nella relazione sull’operato della Dia pubblicata da pochi giorni – emerge come il «processo evolutivo» della criminalità organizzata siciliana «si sviluppi secondo direttrici, almeno apparentemente, in antitesi tra loro, caratteristica tipica dei fenomeni di mutazione che mette in evidenza, allo stesso tempo, le profonde difficoltà in cui permane l’associazione mafiosa». Da una parte Cosa Nostra, in quanto «fenomeno sociale», è «al passo con le trasformazioni e le istanze del contesto socio-politico-economico, globalizzato, che sfrutta sistematicamente» per trarre potere, denaro o altri vantaggi. Dall’altra mantiene i «profili di struttura gerarchico-militare ancorata al territorio, sul quale conserva tuttora elevata autorevolezza». Cosa sta cambiando, dunque, per l’organizzazione siciliana negli ultimi anni? Sotto il peso dell’azione di contrasto dello Stato e dell’alternanza di leadership di minore solidità, la dialettica interna a Cosa Nostra «ha assecondato la tendenza al superamento della rigorosa geopolitica mafiosa». In altre parole, oggi «gli assetti rispondono ad una logica di maggiore flessibilità nell’organizzazione di mandamenti e famiglie». Tuttavia «molte famiglie sembrano propendere per una più rigida compartimentazione (nell’intento di ridurre al minimo la dispersione d’informazioni di valore significativo per la sopravvivenza del sodalizio») stabilendo «differenziati livelli di accesso alle stesse». Preoccupazioni che si aggiungono a più gravi fenomeni che la mafia teme, come quello delle collaborazioni con la giustizia, delle testimonianze che mettono in luce nuovi equilibri e legami con il mondo degli affari o delle professioni. Per limitare la propria vulenrabilità le famiglie finiscono per adottare un filtro agli ingressi. Non mancano comunque i punti di forza. Nonostante le difficoltà Cosa Nostra – si legge ancora nella relazione dell’Interno sull’attività della Dia – rappresenta ancora «una galassia fortemente strutturata e pervasiva, con una spiccata territorialità nella regione d’origine ed una significativa capacità trasversale di condizionamento e infiltrazione dei contesti socio-politico-economici». Contesti che spesso si trovano fuori dalla Sicilia. «L’asset verticistico militare – inoltre, scrive il Viminale – consente ancora all’organizzazione di assorbire l’estenuante fibrillazione interclanica, sebbene l’ampliamento dell’autonomia e della competenza delle famiglie, nonché le reggenze non unanimamente condivise potrebbero preludere ad inziiative di auto-legittimazione, da parte di capi o gruppi alla ricerca di ruoli di maggiore spessore, anche con manifestazioni interne di violenza».

‘NDRANGHETA –

Per quanto riguarda la ‘ndrangheta, invece, considerata una delle più potenti mafie d’Europa e del mondo, l’organizzazione calabrese continua ad avere un potere enorme. È oggi – fa sapere la Dia – «capace di agire con estrema disinvoltura nei contesti più diversificati con un’accentuata predisposizione nei confronti di comparti economici, finanziari ed imprenditoriali». L’obiettivo perseguito in tal senso dalla ‘ndrangheta sembra a volte prescindere dalla mera accumulazione di denaro, prediligendo l’esercizio di forme di potere sui singoli. Risulta rigida l’organizzazione: gli affiliati sono in grado «di esportare le dinamiche criminali attraverso comportamenti che possono riproporre il tradizionale modello mafioso anche mediante la costituzione, al di fuori della Calabria, di nuclei stabili sul territorio legati, spesso, da vincoli familiari». «La ‘ndrangheta – si legge -, anche se a differenza di Cosa Nostra si identifica in un’organizzazione di tipo rigidamente verticistico, appare protesa, nell’ultimo periodo, nel ricercare una certa forma di aggregazione attorno a centri di comando più definiti. Un’organizzazione imprenditoriale non più costituita da un mero insieme di cosche prive di connessioni tra loro ma una galassia di centri di potere alla ricerca di possibili sinergie con consorterie spesso territorialmente limitrofe». Al vertice della ‘ndrangheta gerarchimamente organizzata ci sono articolazioni denominate «provincia» o «crimine», sovraordinata ai mandamenti che insistono sulle tre macroaree della Calabria: quella ionica, quella tirrenica e il centro.

CAMORRA –

Poi c’è la camorra, ancora «capace di esprimere la sua pervasività su più piani, quello criminale, imprenditore e politico, diversificando i propri interessi». La criminalità organizzata campana controlla il territorio e conferma la sua leadership in zona soprattutto attraverso il pizzo presso negozi ed imprese, attività che spesso finisce per esasperare un’economia sull’orlo del baratro. Ma è sul fronte dell’organizzazione che giunge qualche novità. Viene rilevata una «polverizzazione dei clan», che non ha impedito l’infiltrazione nel tessuto economico, finanziario e politico, ma che ha avuto come conseguenza un maggior ricorso alla violenza. È senz’altro anche questa «polverizzazione» una delle cause della rapida formazione di quelle nuove aggregazioni criminali che rendono ancora più instabili gli equilibri interni, e che generano gravi problemi di sicurezza pubblica e sanguinose faide. «Il profondo degrado sociale – spiega la Dia – che connota alcune aree della regione contribuisce ad accrescere il potenziale criminale dei vari gruppi, per il consenso che riscuotono nelle fasce più emarginate della popolazione. Il semplice intervento preventivo di repressione da parte delle forze dell’ordine è «insufficiente per avviare un virtuoso meccanismo di risanamento socio-culturale complessivo». Ma non solo. Nel secondo semestre del 2014, la Dia ha registrato un aumento dei ferimenti a seguito di attentati di matrice camorristiche. È poi emerso un «cospicuo numero di eventi sanguinosi, conseguenti alla consumazione dei cosiddetti reati predatori o ad epiloghi di liti». Da sottolineare, infine, è il grande numero di clan. In Campania risultano censiti più di 100 gruppi criminali, ai quali si aggiunge un fitto sottobosco di famiglie. L’elevato numero di clan fa sì che, ad eccezione di alcune zone (come il Casertano, area controllata dai Casalesi), le alleanze siano volatili e soggette a repentini cambiamenti. Su questo fronte il «depotenziamento operativo di alcune storiche organizzazioni criminali locali», dovuto agli arresti dei rispettivi capiclan e alle lunghe detenzioni, ha consentito «l’ascesa di figure marginali, cresciute all’interno dei rispettivi gruppi e proiettate verso un’affermazione esclusiva, soprattutto attraverso scontri sanguinari». Gli ultimi fatti di cronaca non possono che confermare questo genere di dinamiche.

(Foto di copertina: ANSA / POLIZIA DI STATO PALERMO)

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