La brutta estate di Hillary Clinton

07/09/2015 di Andrea Mollica

Hillary Clinton

ha passato una pessima estate. Dopo una buona, anche se non trionfale, partenza la campagna presidenziale dell’ex segretario di Stato è stata scossa in modo profondo da uno scandalo tutto sommato minore come l’utilizzo di un indirizzo privato di posta elettronica al posto di un account ufficiale dell’amministrazione Obama. Il desiderio di novità che appare unire l’elettorato americano e l’aura controversa che perseguita il percorso pubblico dei Clinton rischiano di rendere un calvario i prossimi mesi. Hillary Clinton avrebbe dovuto essere la grande favorita delle prossime primarie democratiche, con ottime chance di conquista della Casa Bianca, ma il percorso verso la nomination è diventato molto più faticoso del previsto e dell’auspicabile per le chance dell’ex First Lady.

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Scott Olson/Getty Images

HILLARY CLINTON MAIL

– In queste settimane di oggettiva Trumpmania, un episodio pubblico ha collegato Hillary Clinton al miliardario che sta sconvolgendo le primarie repubblicane. Se le tirate contro i giornalisti sono ormai una consuetudine invero piuttosto apprezzata di The Donald, raramente si ricorda un commento così fuori posto come quello rivolto dalla candidata democratica alle primarie presidenziali del 2016 lo scorso 18 agosto.

Dopo un vivace scambio di opinioni con un reporter di Fox News, Hillary Clinton ha rimarcato come la vicenda delle email interessasse solo i giornalisti, rifiutandosi di rispondere a altre domande. Un’affermazione palesemente falsa, visto quanto la controversia della posta elettronica abbia danneggiato l’ex senatrice di New Yok. La campagna presidenziale dell’ex segretario di Stato sta cercando da diverso tempo di contenere i problemi provocati dalle rivelazioni sull’abitudine di inviare posta da un account privato durante i suoi quattro anni alla guida della diplomazia americana. Per l’entourage della candidata democratica si tratterebbe di una semplice ossessione dei media, anche se in realtà i molti mesi di scarsa chiarezza sulla vicenda hanno danneggiato l’immagine di Hillary Clinton. I valori nei sondaggi sono diminuiti sensibilmente, e l’intero messaggio alla base della nuova corsa per la Casa Bianca ne è uscito sminuito. La vicenda delle email di Hillary Clinton è una notizia che occupa le cronache dall’inizio di marzo. Il New York Times è stata la prima testata a rivelare come durante il suo mandato da segretario di Stato l’ex First Lady non comunicasse attraverso l’account di posta elettronica ufficiale, ma che inviasse mail da un indirizzo privato. Un comportamento insolito, anche se non in aperto contrasto con la legislazione federale. L’esigenza di archiviare le comunicazioni è stata parzialmente rispettata, e la normativa in vigore ai tempi dell’entrata in carica di Hillary Clinton era meno restringente dell’attuale. La vicenda, tutto sommato minore, è stata però gestita in modo pessimo dalla candidata democratica, e la cancellazione di metà delle sue comunicazioni elettroniche (la copia dell’altra metà è stata consegnata al dipartimento di Stato) ha reso ancora più scivoloso il caso. L’eventuale apertura di un’inchiesta da parte del FBI rappresenta una seria minaccia sulla campagna elettorale di Hillary Clinton, colpita quasi quotidianamente dallo stillicidio di nuove rivelazioni sul contenuto delle sue email, che l’hanno alla fine costretta a chiedere scusa dopo mesi di difesa del suo comportamento.

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Adam Bettcher/Getty Images

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SONDAGGI HILLARY CLINTON

– La controversia dell’indirizzo di posta elettronica ha provocato numerosi problemi a Hillary Clinton. La candidata democratica aveva puntato la sua campagna tanto sulla sua credibilità, quanto su un messaggio politico più attento ai desideri della base democratica rispetto a quanto visto nel 2008, quando a sorpresa aveva perso la sfida elettorale contro Barack Obama. Enfatizzando la novità di una prima donna presidente, Hillary Clinton ha spostato l’asse della sua campagna verso temi progressisti.

Sin dal primo video l’ex First Lady non si è proposta come l’erede del fortunato centrismo del marito, ma come combattente per i diritti e il benessere della classe media, che non ha ancora beneficiato della fuoriuscita dalla crisi dell’economia statunitense. L’incerta gestione della controversia delle email ha però ridato evidenza al lato controverso dei Clinton, una dinastia politica caratterizzata da continui scandali. Hillary Clinton ha sempre avuto meno problemi del marito, ma l’immagine di scarsa sincerità e trasparenza che l’aveva già penalizzata nel confronto con Barack Obama è tornata in modo prepotente. Gli indici di popolarità, stellari ai tempi del mandato da segretario di Stato, sono scesi in modo costante, per poi sprofondare su valori preoccupanti. Il rapporto tra opinioni positive e negative indica la rilevante flessione subita da Hillary Clinton. Come si vede dal grafico realizzato da Huffington Post/ Pollster, che fa la media dei sondaggi pubblicati in questi anni, dal +10 di valutazioni favorevoli su quelle negative di circa un anno fa la situazione si è completamente capovolta.

screenshot di http://elections.huffingtonpost.com/pollster/hillary-clinton-favorable-rating
screenshot di http://elections.huffingtonpost.com/pollster/hillary-clinton-favorable-rating

In questi ultimi mesi si è delineata una chiara maggioranza di americani che ha un’opinione sfavorevole su Hillary Clinton, un prodromo del calo nelle intenzioni di voto relative a primarie ed elezioni generali registrato in queste settimane. Le indagini demoscopiche a così tanti mesi dal voto possono essere considerate poco affidabili, e sicuramente scarsamente predittive, ma la flessione marcata subita dalla campagna di Hillary Clinton è un dato consolidato. Se fino a pochi mesi fa l’ex senatrice di New York era la dominatrice incontrastata delle primarie democratiche, e la candidata con più chance nei testa a testa contro i vari avversari repubblicani, ora questa supremazia, comunque demoscopica, è stata cancellata come le email dal server di casa Clinton. L’ex senatrice di New York rimane in testa nelle intenzioni di voto nazionali delle primarie democratiche, ma è stata superata da Bernie Sanders per quanto riguarda le primarie in New Hampshire. Anche nell’ancora meno indicativi valori sulle sfide coi repubblicani Hillary Clinton è passata da costanti vittorie demoscopiche a numerose sconfitte. sia a livello nazionale che nei primi sondaggi sugli Stati in bilico.

Hillary Clinton
Win McNamee/Getty Images

HILLARY CLINTON E BERNIE SANDERS

– Nella lunga stagione che separa l’avvio delle campagne presidenziali dall’inizio delle fasi di voto, che nel 2016 inizieranno il 1° febbraio con i caucus dell’Iowa seguiti poi il 9 dalle prime primarie in New Hampshire, i dati che gli osservatori giudicano più rilevanti sono le informazioni relative alla forza organizzativa dei candidati. Da una parte i soldi che arrivano per le proprie campagne, dall’altra parte il supporto degli eletti e dei dirigenti di partito nei 50 Stati americani, che consentono di monitorare le “primarie invisibili”, come i politologi definiscono questa prolungata fase di preparazione al voto . Da questo punto di vista Hillary Clinton appare ancora imbattibile, soprattutto tra i Democratici, tanto per quanto riguarda la raccolta di denaro quanto per gli endorsement. Secondo il sito OpenSecrets, che pubblica i dati ufficiali usciti finora, l’ex First Lady ha ricevuto quasi 50 milioni di dollari nel primo trimestre della sua campagna. Il suo avversario più temibile, il senatore socialista del Vermont, ne ha raccolti quasi 15, un dato invero molto buono visto che nessun repubblicano è riuscito a ricevere così tanti soldi finora. I candidati del Gop hanno però beneficiato delle ingenti somme raccolte dai loro comitati esterni, che hanno potere illimitato di spesa, non conteggiati nei dati dell’Ufficio elettorale federale. La forza nel fundraising è stato uno degli elementi che ha mostrato come la candidatura di Bernie Sanders avesse una più che concreta base elettorale. Il senatore del Vermont non è un democratico, ma un indipendente di orientamento socialista, che da quando è stato eletto al Congresso, nel 1990 come rappresentante , fa parte del gruppo del partito di Obama e Clinton. Il successo di Bernie Sanders appare uno speculare riflesso del grande seguito riscosso da Donald Trump. Dopo 8 anni di presidenza Obama gli Stati Uniti d’America sono percorsi da sentimenti di inquietudine e insoddisfazione verso la classe dirigente di Washington, trasversali all’elettorato americano. L’astio verso l’establishment e la politica tradizionale, rafforzati dalla prospettiva del ritorno della sfida tra i Clinton e i Bush, le due grandi dinastie della politica statunitense, hanno rafforzato le simpatie verso gli outsider. Nella politica americana c’è poco di più diverso dal consueto di un senatore di dichiarate simpatie socialiste, e l’elettorato più liberal, tradizionalmente scettico verso Hillary, è stato conquistato dal politico del Vermont, Stato del New England dove i progressisti sono in maggioranza invece che in minoranza, come capita nel resto degli USA. La candidatura di Bernie Sanders ha generato un entusiasmo impensabile solo fino a qualche settimana, con comizi capaci di attrarre migliaia di persone e palazzetti pieni fino all’inverosimile. Scene viste otto anni fa, quando Barack Obama si era profilato come il grande avversario della favorita Hillary Clinton. Rispetto al 2008 le differenze sono però consistenti, e rendono ancora improbabile una vittoria di Bernie Sanders a meno di un completo collasso della sua principale avversaria. Il senatore del Vermont non è per nulla competitivo nelle minoranze etniche, segmento elettorale fondamentale per vincere tanto le primarie democratiche quanto le presidenziali. Senza l’unanime supporto degli afro-americani Barack Obama non avrebbe mai vinto la sua sfida ai Clinton, e per ora i neri, così come gli ispanici o gli asiatici, sono in netta maggioranza schierati con Hlllary.

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Olivier Douliery/Bloomberg

HILLARY CLINTON JOE BIDEN

Se a livello di denaro e di mobilitazione la campagna di Berne Sanders appare una credibile alternativa a quella di Hillary Clinton, tra i dirigenti dei Democratici il senatore del Vermont non riscontra quasi nessun sostegno. Gli endorsement ufficiali ottenuti dal candidato di simpatie socialiste sono pochissime, e nessun membro del Congresso si è schierato a suo favore. A suo modo un piccolo record, visto che si tratta di un senatore che in questo momento guida i sondaggi delle primarie del New Hampshire, l’avvio della stagione presidenziale insieme ai caucus dell’Iowa. Il posizionamento politico in favore della socialdemocrazia, una parolaccia negli Stati Uniti benché fondamentalmente i liberal americani non abbiano posizioni molto differenti dai loro colleghi europei del Pse su Welfare, economia e diritti civili, rende Bernie Sanders praticamente ineleggibile, in teoria. Per questo motivo da più parti nel partito si sta cercando una candidatura alternativa a quella di Hillary Clinton, capace di essere elettoralmente competitiva nella sfida con la Casa Bianca. Il profilo che piace di più all’establishment democratico è il vicepresidente degli Stati Uniti, Joe Biden, che in queste settimane ha dimostrato di pensare in maniera assidua a una nuova candidatura alla presidenza degli Stati Uniti. Biden, per oltre 30 anni senatore del Delaware prima di arrivare alla Casa Bianca come vice di Barack Obama, aveva corso alle primarie presidenziali del 1988 e del 2008. Due tentativi finiti molto male. La prima volta Joe Biden è stato costretto a ritirarsi prima delle fasi di voto dopo esser stato colto con discorsi copiati dal leader laburista Neil Kinnock. La seconda volta invece è arrivato solo ultimo, con lo 0,9%, ai caucus dell’Iowa vinti da Barack Obama. Un risultato così negativo che l’aveva spinto all’immediato ritiro, visto il pressoché nullo consenso raccolto. I quasi otto anni trascorsi al fianco del presidente hanno aumentato la popolarità di Joe Biden, ma il vicepresidente non appare competitivo nei confronti di Hillary Clinton, e potrebbe avere una chance di vittoria solo se la sua ex collega di governo si ritirasse per l’aggravarsi della controversia delle mail. Le primarie democratiche tra Biden e Sanders assumerebbero un tratto certo surreale, visto che per la prima volta nella politica americana i due maggiori contendenti per la nomination di uno dei due major party avrebbero entrambi più di 70 anni. Finora questa soglia d’età è stata superata solo da un presidente in carica, Ronald Reagan, eletto a 69 anni nel 1980 e poi trionfalmente confermato nel 1984. Nei sondaggi Joe Biden non è mai apparso particolarmente competitivo, anche se il suo profilo potrebbe certo esser accolto favorevolmente, anche se non entusiasmerebbe, la base democratica. Biden ha posizioni simili a quelle di Barack Obama e Hillary Clinton, e potrebbe conquistare moderati e minoranze etniche, anche se sarebbe in difficoltà nello sfidare Sanders tra i liberal.

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Spencer Platt/Getty Images

HILLARY CLINTON E I REPUBBLICANI

– Joe Biden non appare particolarmente competitivo contro i Repubblicani, anche se i valori emersi nei sondaggi condotti a più di un anno dalle elezioni non sono certo il criterio più importante per valutare la forza dei candidati. Da quando il vicepresidente, tramite un articolo del New York Times, ha fatto intendere di riflettere su una nuova candidatura alla Casa Bianca i suoi indici di popolarità sono migliorati, con opinioni favorevoli espresse nei suoi confronti tornate maggioritarie. Al momento il maggior ostacolo all’implosione della candidatura appare la Trumpmania che sta sconvolgendo i Repubblicani. The Donald, uno dei più celebri miliardari grazie ai suoi successi imprenditoriali e il suo passato da uomo TV, è diventato il grande favorito delle primarie GOP. Certo, come scritto più volte i sondaggi sono sempre da prendere con enorme cautela, ma la carica anti establishment e le posizioni da destra lepenista sull’immigrazione di Donald Trump hanno toccato una corda profonda dell’elettorato conservatore. In questo momento i candidati più apprezzati tra i ben 16 in corsa per la nomination repubblicani sono un noto miliardario, un celebre cardiochirurgo (Ben Carson) e una ex top manager come Carly Fiorina. Il vasto consenso verso profili così distanti dagli altri candidati, senatori o governatori, evidenziano l’insoddisfazione verso la politica tradizionale, i suoi riti e le sue costanti menzogne, detto anche spin per i tecnici del settore, così diffuso tra gli statunitensi. La schiettezza di Donald Trump, la sincerità in vero molto artefatta nel mandare anche al diavolo giornalisti e altri politici conquista più delle contorsioni verbali che uniscono tanto Hillary Clinton quanto Jeb Bush o altri candidati repubblicani più tradizionali. Sulla controversia relativa alle mail privati l’ex First Lady sta pagando un errore simile a quanto fatto ai tempi delle primarie democratiche del 2008. Allora Hillary Clinton si intestardì a difendere il suo voto in favore dell’Iraq, pur cadendo in contraddizione con le sue successive critiche alla politica estera di George W Bush. Barack Obama, che aveva posizioni simili, invece fece innamorare i liberal e molti altri democratici grazie al suo no a quell’intervento, sfruttando le titubanze della sua avversaria. Sulla vicenda che sta quasi deragliando la sua campagna Hillary Clinton si è intestardito nel difendere un comportamento sbagliato, esponendosi così a costanti attacchi che hanno ulteriormente fiaccato la sua immagine di politica tradizionale, con ruoli di potere da ormai diversi decenni. Benché appare ancora fantascienza la sfida tra un miliardario anti immigrazione e un senatore socialista, il boom di Donald Trump e il diffuso entusiasmo per Bernie Sanders sono elementi che mostrano come l’America abbia bisogno di novità e maggior vicinanza, anche emotiva, ai suoi leader. Questo è probabilmente il più brutto messaggio per Hillary Clinton, che nei fondamentali di un’economia in crescita può ancora trovare la speranza di essere la candidata con più chance per la Casa Bianca, tolta la storica difficoltà per un partito di vincere le presidenziali per tre o più volte consecutive.

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