Testi di canzoni, iPod rotti, scatole di aspirine: cosa resta di un migrante quando muore

Migranti: testi di canzoni,  iPod rotti, scatole di aspirine è quanto resta, spesso, dei profughi che cercano di iniziare una nuova vita approdando sulle coste dell’Italia. Strofe di versi rap, dispositivi per sentire la musica, medicine, banconote strappate: oggetti che raccontano la storia degli uomini che cercano la fortuna oltre il mare, e che non ce la fanno. Solo qualche ricordo di loro a raccontare il percorso che hanno fatto, dai deserti dell’Africa agli scafisti in partenza dalla Libia.

MIGRANTI, TESTI DI CANZONI, IPOD ROTTI E SCATOLE DI ASPIRINE E’ QUANTO RESTA DI LORO

Repubblica, con Salvo Palazzolo, ripercorre le loro vite attraverso i loro oggetti; oggetti che serviranno all’autorità giudiziaria per cercare, per quanto possibile, di dare giustizia.

 Il testo di una canzone rap e un borsellino vuoto, un iPod e una cuffietta, un dinaro libico e un pacco di aspirine, un cellulare. È rimasto solo questo, e poco altro, delle 49 vite spezzate nel Canale di Sicilia il giorno di Ferragosto. Ora, gli oggetti ritrovati addosso ai cadaveri sono tutti adagiati in modo ordinato su un tavolo, alla squadra mobile di Catania. Sono i «reperti », con tanto di bollo della polizia scientifica. Gli investigatori cercano un indizio, anche piccolo, su chi abbia portato a morire questi uomini rimasti senza identità. Magari un numero di telefono annotato da qualche parte, un nome, un luogo. «I reperti parlano», sussurra un vecchio poliziotto che di cadaveri ne ha raccolti a centinaia per le strade di Catania. E adesso raccoglie cadaveri in mezzo al mare.

Quasi cinquanta persone chiuse sotto la stiva, chi provava ad uscire veniva picchiato. Dalla Costa d’Avorio, dal Bangladesh, dal Pakistan per cercare di arrivare in Italia e non riuscirci, e morire d’asfissia nella stiva del barcone.

Chi ha avuto la fortuna, e soprattutto i soldi, per viaggiare sul ponte del barcone ha raccontato ai magistrati che gli schiavi della stiva «erano bloccati lì sotto». Chi tentava di salire «veniva preso a calci, pugni e colpi di cinghia». (…) Qualcuno ascoltava le sue canzoni sull’i-Pod, finché la batteria ha retto. Qualcuno ingoiava una pillola dopo l’altra e vomitava. Qualcuno continuava a girare fra le dita la sua unica ricchezza, una banconota da un dinaro libico, che vale 30 centesimi. Qualcuno scriveva una canzone rap, in francese. Finché ha potuto, così suggerisce il vecchio investigatore. Perché nel secondo foglio la scrittura sembra diventare più incerta, i versi incomprensibili. Ma quel giovane non si rassegnava. La canzone era diventata la sua scialuppa di salvataggio.

Gazzella, è il titolo della canzone ritrovata.

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Era il nome della persona  di cui parlava la canzone che stava scrivendo, in francese, un migrante ivoriano; un artista, un rapper, un cantante forse. Gazzella, una ragazza, chissà chi è la donna di cui parla l’ivoriano che non è mai arrivato in italia.

«Pantalone basso a sigaretta, piccolo tatuaggio sul fianco, minuscolo body che lascia intravedere il suo ombelico, atteggiamento obbligato nelle auto cromate e nelle discoteche, trucco che si sta sciogliendo». Sembra di sentire il ritmo che incalza. Gazzella ama la bella vita e ha un idolo soprattutto: Didier Drogba, il calciatore ivoriano che ha giocato nel Chelsea. Ma, alla fine, Gazzella si ritrova dentro una butta storia. Come tutti gli altri che sono in quella stiva di sei metri per quattro, altezza un metro e venti. Stanno distesi, non c’è altro modo. Stanno ammassati. Sul fondo della stiva, i poliziotti hanno trovato altri piccoli oggetti. Chissà a chi appartenevano. Un collanina di cuoio che regge tre ciondoli, uno di pietra e due di latta. Un’altra cuffietta, un altro scatolo di pillole e un altro borsellino vuoto. C’era anche un foglietto sul fondo di quell’inferno. Un foglietto con una frase. Titolo: «L’amour». L’amore. E un pensiero: «L’amore non è differente da altre forme di struggimento». La scrittura sembra quella del rapper, ma la penna è un altra. «L’amore oh, eh l’amore, ah l’amore».

Gazzella ha una vita difficile, ma nel racconto del rapper, non perde mai il senso della sua bellezza. E l’ivoriano, anonimo, la incoraggia, a riprendersi anche poco prima della tragedia l’ultimo spazio della sua libertà.

Scrive della sua eroina: «Ora sei preoccupata che i tuoi numerosi uomini ti abbiano lasciato con una sporca malattia, ti sono capitati un sacco di problemi, ecco che hai le lacrime agli occhi di fronte alla realtà della vita». Ma il rapper pensa solo a una cosa in quel momento. Pensa alla bellezza, nonostante tutto. «Oh Gazzella, la bella ragazza che sembra un cerbiatto ». L’unica cosa bella in quella stiva, Gazzella. Il rapper la incita a non arrendersi: «Riprendi in mano la tua vita prima di arrivare alla fine, altrimenti un giorno dirai che se l’avessi saputo non l’avresti fatto, il tuo corpo si affatica all’avvicinarsi della tua morte». Sono gli ultimi versi.

Soltanto sei delle quarantanove persone morte sono state riconosciute ed identificate.

Copertina: AnsaFoto

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