Carmen Consoli: Londra si innamora di lei in un concerto cult

Gonna lunga di pelle nera, capelli corvini scarmigliati, chitarra rosa arrabbiata come ai bei tempi, solo due compagne d’avventura sul palco. Questo ha regalato Carmen Consoli al pubblico londinese, che in fatto di musica è alquanto esigente, si sa, per il suo concerto all’interno del Meltdown Festival, contenitore artistico che è il fiore all’occhiello della già ricchissima offerta culturale estiva della capitale britannica. David Byrne, che del festival è direttore artistico, ha scelto personalmente 4C (Carmen Consoli Cantantessa Catanese) e ha fatto centro, visto ciò che è successo venerdì 21 agosto nel Royal Theater del Southbank Centre. Alla fine delle due ore di performance, il pubblico aveva lasciato da tempo le comode poltrone per assieparsi sotto al palco ad acclamare questa ammaliatrice siciliana.

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La Consoli, accompagnata da Luciana Luccini al basso e Fiamma Cardani alla batteria, è partita prendendoci per i capelli con una bella versione acida di Geisha, seguita dall’urlo di Mio Zio e le morbide sonorità di Sentivo l’odore. Tre pezzi che hanno subito reso esplicito, se mai ce ne fosse stato bisogno, l’impronta della serata, fatta da donne che vogliono essere rispettate e che si ribellano a una società che le considera ancora e sempre sesso debole. Il femminismo riot della Consoli è però quanto di più lontano da un attivismo cieco ed estremista, ma è affascinante e sensuale, sognatore, realista e surrealista, come raccontano L’abitudine di tornare, title track del suo ultimo, bellissimo album, La signora del quinto piano e Matilde, che hanno accompagnato il pubblico a metà concerto, dove Carmen ha inserito quella che era una volta la sua canzone di congedo, Per niente stanca, suonata sempre con la stessa potenza e rabbia, quella della rocker di razza, animale da palco che per troppo tempo è stata lontana dal suo habitat. La bambina impertinente è cresciuta, adesso è una donna, una madre, con una consapevolezza nuova delle cose del mondo, anche di come rapire il suo pubblico con un lieve movimento del bacino che carezza la sua fedele, quella sì non tradisce mai, Fender confetto. Gioca con pedali ed effetti la Consoli, li schiaccia con il plateau del vertiginoso tocco 12 dall’alto del quale rockeggia scatenata con la sua band minimal. La selezione del nuovo album continua, fino alla trionfale chiusura con tre classici, Fiori d’arancio, Contessa Miseria e Venere, con tanto di chitarra distorta abbandonata sulla spia, il suo breve saluto, perchè abbandonare un pubblico così caldo senza un bis non è da lei. Torna, lei e una semi-acustica, per un trittico meraviglioso composto da Blu Notte, Parole di burro (sulla quale il critico musicale inglese al mio fianco ha pianto di gioia) e L’ultimo bacio. E poi, di nuovo con la band, una travolgente AAA cercasi per chiudere la serata.

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Ma si sa, le donne siciliane sono focose e per calmarsi gli ci vuole. Mentre una buona metà del pubblico ha già lasciato la sala e le luci si sono riaccese, eccole di nuovo sul palco, Carmen che chiede alle sue compagne “Che suoniamo adesso?”. La risposta è semplice: Besame Giuda. Perchè adesso può considerarsi una donna con la D maiuscola e un’artista con la A maiuscola. Sperando che l’abitudine di tornare non sia solo il titolo di un disco, ma una dichiarazione d’intenti. Carmen Consoli è l’unica esponente di una musica che in Italia non c’è più, fatta di ricerca, arrangiamenti, testi raffinati ma non ermetici, energia, ragione e sentimento. Una combinazione che, come tutta la buona musica, traduce la nostra esclusiva lingua anche per chi non ne capisce una parola. Probabilmente è successo anche a David Byrne, che d’altronde considera il più bel disco ascoltato nella vita Creuza de’ ma di Fabrizio De Andrè. Sarà la gente che viene dal mare a fare quest’effetto.

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