Martina Levato e il bimbo sottratto alla nascita: ecco perché

Fa discutere il caso del figlio, appena nato, di Martina Levato e Alexander Boettcher, la “coppia dell’acido” condannata a quattordici anni di carcere per l’aggressione a Pietro Barbini, ex compagno di scuola della ragazza. Martina Levato ha partorito alla clinica Mangiagalli di Milano ma le è stato tolto il bambino nel giro di poche ore con un provvedimento da parte del Tribunale dei minori di Milano. Levato si trova ora all’Icam di Milano, la struttura per madri detenute, in attesa di una decisione definitiva sull’affidamento del bambino. La mossa del tribunale indigna i più, in primis i genitori della ragazza, che parlano di «atto di crudeltà».

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MARTINA LEVATO E IL BIMBO TOLTO: I PRECEDENTI E LE MOTIVAZIONI

– La temporanea sottrazione del neonato da parte del Tribunale è avvenuta nell’interesse esclusivo del minore. I giudici dovranno esprimersi entro metà della settimana prossima dichiarando adottabile il bambino oppure affidandolo ai nonni materni. Nelle scorse settimane Boettcher, padre del bambino, anche lui in carcere, chiese di esser presente al momento del parto. La sua domanda fu rigettata. Allo stesso modo il Riesame ha rifiutato la richiesta di Levato di passare ai domiciliari durante i primi sei mesi di vita del piccolo. La motivazione? Rischio di “reiterazione” del reato.

MARTINA LEVATO E IL BIMBO TOLTO: IL RISCHIO DI RECIDIVA E LA PENA

– Si può esser madri in carcere? Esistono due leggi che cercano di regolamentare questi casi. La prima è quella del marzo 2011 che stabilisce che le detenute possano convivere con figli piccoli solo in particolari casi con un massimo di “quattro anni di reclusione” e non 14 anni come nel caso di Levato. Qualora la donna sia stata condannata per reati più gravi si prevedela possibilità che la madre detenuta possa espiare almeno un terzo della pena o almeno 15 anni – nel caso di ergastolo – anche negli istituti di custodia attenuata. La seconda legge in vigore dal primo gennaio 2014, “prevede che le mamme incinte o con bambini fino a sei anni, se imputate, non possano essere sottoposte a custodia cautelare in carcere”. Per le condannate si può scontare un terzo della pena ai domiciliari o in istituti di cura eccetto però particolari delitti. E sopratutto nel  caso in cui non ci sia rischio di recidiva (come stabiliscono alcune sentenze in Cassazione).

MARTINA LEVATO E IL BIMBO TOLTO: QUANDO SI PERDE LA POTESTÀ GENITORIALE

In ogni caso, il giudice, prima di dichiarare decaduto il genitore dalla potestà genitoriale, deve tenere in considerazione l’interesse del minore e l’inidoneità del padre o della
madre ad assolvere al proprio ruolo. In quali casi di perde subito la potestà genitoriale? Nel caso di condanna all’ergastolo (ex art. 32 comma 2 c.p.) e in tema di reati familiari, alcuni dei casi indicati dalla legge che prevedono esplicitamente la pena accessoria (ovvero in tema di violenza sessuale e per i delitti previsti dagli articoli 609-bis, 609-ter, 609-quater, 609 quinquies e 609-octies c.p).
Più volte i giudici, nel rigettare l’istanza con cui il legale di Lovato Daniele Barelli chiedeva gli arresti domiciliari, hanno sottolineato la mancanza di «alcun ravvedimento» nella donna. Si legge nell’informativa: «Esistono ancora esigenze cautelari spaventosamente intense, più che eccezionali» che «non ammettono misure meno afflittive». Non solo: il reato commesso è stato in qualche modo causato dalla gravidanza di lei. «Penso allo stato mentale in cui hanno concepito il figlio e deciso di tenerlo – ha dichiarato la psicanalista Simonetta Bonfiglio -. Credo che la società debba farsi carico della tutela del bambino e dargli la possibilità di iniziare la vita senza così pesanti ipoteche».

MARTINA LEVATO E IL BIMBO TOLTO: IL RISCHIO ADOZIONE

I nonni promettono battaglia in caso di adozione del piccolo e non di affidamento ai genitori di Marina o del broker. L’adozione del piccolo però non prevede la recisione definitiva dei rapporti con i genitori biologici: «può preludere a diverse soluzioni, non apre a una sola via da seguire per forza», ha spiegato all’ANSA Giuseppe Magno, direttore del Dipartimento sulla Giustizia minorile al ministero di via Arenula. «Non giudico negativamente la scelta fatta, al contrario la ritengo inevitabile. La separazione dalla madre dalla nascita corrisponde all’interesse del bambino». «Non è accettabile – ha aggiunto – anzi è deprecabile che un bambino cresca in carcere e a contatto con una madre, che, se le accuse contro di lei fossero confermate, si è comportata in modo che definire scriteriato è poco».
«Separare un figlio dalla nascita non significa considerarlo abbandonato. Ma ricercare la soluzione migliore possibile per lui nella situazione data», ha detto Magno. Maglio l’affidamento? «Se è possibile, viene fatto in favore dei parenti più stretti, nonni o zii, dopo aver verificato che abbiamo conservato buone capacità educative, ma anche psico-fisiche. Altrimenti si ricorre a una famiglia affidataria. Ci sono tanti esempi positivi di famiglie affidatarie che hanno svolto bene il loro compito e nello stesso tempo hanno consentito di conservare il rapporto del bimbo con i genitori biologici».

(in copertina foto ANSA/ POLIZIA DI STATO)

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