La sindrome del nero davanti in coda

Oggi per me è stata la giornata del “Nero davanti in coda”. Vado in posta e c’è un nero che deve ricaricare la carta. Venti minuti di attesa. Accompagno mio figlio che non sta bene alla guardia medica turistica e all’ingresso mi brucia con uno scatto di velocità la ragazzina nera che è caduta in bici. Altri venti minuti. In quei quaranta minuti ho avuto tempo di riflettere sulla genesi di un certo genere di razzismo che ora va per la maggiore. Tu sei lì e non puoi fare quello che vuoi subito perché c’è uno diverso da te e in qualche modo pensi che lui non ha diritto di essere lì per via di qualcosa e questa cosa la identifichi con il colore della sua pelle, che lo porta a essere lento e a farti perdere il turno e a rallentare la tua vita. Hai questa sensazione che lui ti porti via qualcosa, ti senti defraudato. Ecco, se smetti di ragionare ti convinci in fretta che è colpa sua se tu stai aspettando venti minuti. Non ti accorgi che il pover’uomo allo sportello sta disperatamente lottando con la burocrazia e con l’impiegata supponente (che gli dà del tu mentre lui le dà del lei) per mettere settecento euro suoi sulla carta ricaricabile sua, ma non riesce perché in posta è finito il toner e lei non può fare la fotocopia del permesso di soggiorno e stampare il modulino apposito da compilare in casi come quello, cioè quando uno con il permesso di soggiorno vuole mettere i suoi soldi sulla sua carta. Non vedi più la diciassettenne dolorante con i gomiti e i ginocchi sanguinanti alla quale il medico fa, con tono sospettoso e poco simpatico, mille domande circa la caduta (chiede se qualcuno l’ha per caso picchiata) senza chiudere la porta dello studio (alla faccia della privacy), salvo poi cambiare registro quando arriva trafelata la madre, un’elegante signora bianca che stava cercando parcheggio e nel frattempo ha mandato avanti la figlia.

Ci vuole poco a cadere nel razzismo quando si vive nel mondo vero e non in quello radical chic, dove tu sei tollerante perché abiti in centro e sei benestante e ti sono simpatici gli extracomunitari perché tanto non ti capita spesso di incrociarli. Al limite vedi per strada i disperati a cui fai l’elemosina se non sono troppo insistenti (perché il povero è bello se lo fa in modo non fastidioso) e i sudamericani che ti vengono a pulire la casa. Non vedi quelli che si arrabattano per integrarsi nella società, per veder riconosciuti i loro diritti, che ovviamente coincidono con quelli altrui. Il razzismo su cui fanno presa il leghismo e grillismo d’assalto è quello di chi deve sgomitare tutti i giorni per fare ogni cosa e che piano piano (a volte nemmeno tanto piano) sviluppa la sindrome del “nero che ti passa davanti”. Questo processo lo sappiamo tutti che è subdolo e pericoloso, ma quando sei in coda non sempre hai la lucidità e la tolleranza per essere empatico con il prossimo. Anzi, se è di un colore diverso rispetto al tuo ti fa un favore, così hai una scusa facile per detestarlo. Tu aspetti, lotti, fai fatica e cominci a odiare. Vedi le istituzioni che si prodigano in buonismo d’accatto e in dichiarazioni ispirate ai più alti concetti morali, ma che poi ti lasciano lì nella quotidiana guerra tra poveri, dopo aver gettato nell’arena altri poveri a combattere. Ovvio che in questa pienezza d’intenti e vuotezza di fatti si dia retta ai cazzari che fanno affermazioni immonde, che diventano i vati di quelli che, quando hanno un nero davanti in coda, pensano le stesse cose immonde ma hanno bisogno che le dica un altro. Si dà retta ai cazzari anche per far dispetto alle istituzioni, che ti insegnano la morale mentre partono per i Caraibi con la governante filippina.

Quello che non capiscono questi cazzari è una cosa ovvia e cioè che il tizio qualunque in coda può pensare quello che gli pare (e possibilmente può anche vergognarsene dopo), ma loro, che sono rappresentanti delle istituzioni, dovrebbero vergognarsi prima di parlare. Si dice che questa gente parli alla pancia della gente. No, non è così. Questa gente parla alla pianta del piede della gente, al secondo mitocondrio sulla destra dell’alluce destro. Quello bianco, perché quello nero ha cambiato piede per la disperazione. Anche quando si fa la coda più lunga della storia non è un bel sentire. Il nero davanti in coda non ti ha fatto niente. Sta soltanto in coda, come te. Chissà se i cazzari di cui sopra fanno le code.

(Foto di copertina: ANSA / MIKE PALAZZOTTO)

 

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