Marco e i genitori che non denunciano il “colpevole”: una lezione di civiltà

13/07/2015 di Boris Sollazzo

Avevo portato a casa Libero perché mi serviva carta per imballaggio, sono nel pieno di un trasloco. E ho rivisto quel titolo indegno “La metro di Marino uccide un bimbo”. Con un articolo di un collega, anche illustre, che tentava con retorica d’accatto di spiegarci come la morte di quel “cucciolo di uomo” potesse essere imputabile al sindaco e alla sua amministrazione.

Barbarie, pura barbarie.

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Come i fischi a Ignazio Marino che ha assolto al suo compito di primo cittadino rimanendo accanto alla coppia di genitori che in maniera così assurda ha perso l’unico figlio, come la propaganda antipolitica che a volte diventa cinica strumentalizzazione, da parte di siti che hanno fatto della demolizione della città eterna una battaglia spesso ottusa, occultando non di rado anche le cose giuste da loro rilevate quotidianamente.

In tutto questo odio, in questa esigenza di monetizzare ogni evento, ogni commento, ogni tragedia al mercato della vigliacca guerra civile in corso in Italia, fatta di saccenti ignavi che amano mettere benzina sul fuoco e poi scappare, la forza di Francesca e Giovanni, i genitori del piccolo Marco, è ammirevole. Anzi, di più: è una lezione di civiltà. In un paese in cui dare la responsabilità ad altri di qualsiasi cosa a chiunque è la regola e la necessità, questi due giovani colpiti dall’ingiustizia più grande e insopportabile, sopravvivere al proprio figlio, al proprio bambino, non hanno puntato il dito. Non hanno cercato il mostro. Non hanno voluto un sacrificio di sangue sull’altare della loro disperazione.

No. Francesca, sin da subito, ha voluto dire che quell’uomo che si è gettato ai suoi piedi, disperato, dopo il volo di Marco, per chiederle perdono, non aveva colpe. Francesca ha ricordato la sua esasperazione, la sofferenza per il caldo del bimbo, la sua richiesta d’aiuto. E la generosità di quell’uomo che mai ha smesso di parlarle e che a un certo punto ha sentito il dovere di intervenire. Forse con troppa foga, che gli ha fatto perdere la lucidità necessaria a salvare i due sfortunati dentro quell’ascensore. Non ha usato parole come colpa, la mamma di Marco. Mentre tutti crocifiggevano quel lavoratore tradito da un’assistenza che non arrivava, da infrastrutture scadenti, da una formazione sulla sicurezza fallace, da procedure di soccorso non codificate (a Improta chiederei “ma quali sono quelle codificate?”) e dall’agitazione, lei per lui aveva solo parole di comprensione e solidarietà. Quasi di protezione.

E allora grazie Francesca. Mentre i giornali schierati rovistano nello sterco di una comunicazione velenosa, solo per stimolare gli istinti più bassi dei lettori e sparare sull’avversario, mentre alcuni politici usavano la sua tragedia per fare lo stesso (recuperate lo status twitter della grillina Roberta Lombardi), mentre il popolino si radunava davanti alla metro Furio Camillo per pruriginosa voglia di accollare al sindaco una morte inspiegabile urlandogli “buffone” e fischiandolo, mentre la giustizia faceva il suo corso cercando gli “assassini colposi” (ma non i mandanti colposi) questa donna, affranta e spezzata, ha saputo mantenersi lucida, civile, pura.

Francesca è la nostra speranza di un mondo migliore e possibile. Francesca è la dimostrazione che forse un pezzo importante del nostro tessuto sociale è ancora decisamente migliore della nostra classe dirigente, dei nostri giornalisti, del circo degli orrori mediatico, dell’opportunismo cinico di molti di noi.
Lei, donna e madre, come Antonella Leardi. E tante altre, come loro.
Con le dovute proporzioni, ovvio (Marco aveva 4 anni, Ciro 29, uno cade nella tromba dell’ascensore di una metro, l’altro fuori da uno stadio e con una pistola puntata contro di lui) ma entrambe non cercano vendetta, ma pace. Non vogliono altro sangue o vite spezzate, ma giustizia. Non avranno mai indietro ciò che avevano di più prezioso, ma hanno deciso di reagire ergendosi sopra la meschinità, portando sopra le loro spalle tutto quell’atroce dolore e non consegnandolo a una violenta reazione. Che sia una denuncia verso un lavoratore incauto e altruista o alimentare l’odio delle curve.

Francesca con il suo esempio ci sta insegnando molto. Senza neanche mostrarsi, rimanendo dietro le quinte.
Ma forse noi da troppo tempo non vogliamo più imparare.

 

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