Grecia, la realpolitik di Schulz e il fallimento del socialismo europeo

Tra la sinistra italiana c’è ancora chi lo ricorda come l’eurodeputato della Spd tedesca che osò sfidare e contestare Silvio Berlusconi. Vittima degli insulti del Cav nel 2003 ed etichettato in modo offensivo come kapò. Un’antipatia reciproca che – come più volte avvenuto in Italia – lo ha reso un personaggio molto popolare e apprezzato a sinistra. Eppure, oggi Martin Schulz, ex presidente del gruppo socialista e attuale presidente del Parlamento Ue, sembra essersi riciclato tra i più strenui accusatori del governo greco di Alexis Tsipras. Ancora impegnato nelle complicate trattative con i creditori internazionali.

Si rassegni chi si aspettava un asse tra l’ex presidente del gruppo socialista e il governo di Syriza. La sinistra ellenica, per Schulz, sembra (a dir poco) indigesta. Tanto da aver sperato nella vittoria dei “” al referendum in Grecia sulle proposte di Ue e Fmi (poi bocciate dal popolo greco). Ma non solo. Schulz ha anche accusato il leader di Syriza di essere un “manipolatore” auspicato la sostituzione del suo esecutivo con un governo tecnico. E paventato il ricorso a un’altra moneta per il Paese ellenico in caso di vittoria del “no” (frasi poi “corrette”, dichiarandosi contrario al Grexit). Toni da conservatore. Parole degne di un Wolfang Schäuble – il “falco” ministro delle Finanze tedesche – per intenderci. Simili, se non più dure, di quelle della cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma sorprendenti per chi è stato presidente del gruppo dei socialisti europei.

Grecia Schulz
Il presidente del Parlamento Ue Martin Schulz

GRECIA: SCHULZ E IL FALLIMENTO DEI SOCIALISTI EUROPEI –

Certo, nella famiglia socialista e democratica europea quella del tedesco non è stata una posizione isolata. Non è un caso che Tsipras, di fatto, non abbia avuto alcun sostegno da quel fronte. Politicamente il più vicino, ma soltanto in teoria. Non soltanto per l’ostilità dichiarata della stessa Spd tedesca del numero uno del Parlamento Ue e del presidente Sigmar Gabriel. Ma anche per l’attendismo di François Hollande (soltanto alla fine riscopertosi “pontiere” tra Atene e Berlino) e dei socialisti francesi, se si esclude l’area più a sinistra del partito volata nella capitale ellenica per il referendum. O per la realpolitik scelta dal Partito democratico in Italia (con poche eccezioni) e da Matteo Renzi. Più attento a non turbare l’asse scelto con Angela Merkel, che a favorire un accordo con Atene, nonostante il potenziale del 40.8% raccolto alle Europee avesse offerto al leader Pd una forza contrattuale superiore a quella di qualunque collega nella famiglia dei S&D.

Nulla da fare. Niente salvagenti da S&D per la sinistra-sinistra di Syriza, alleata a Strasburgo degli spagnoli di Podemos, degli irlandesi di Sinn Fein e pochi altri. E in grado di raccogliere nel nostro Paese soltanto le simpatie di Sel e della diaspora dei partiti a sinistra del Pd (compresi gli ex dem Civati e Fassina).

SCHULZ, IL PRESIDENTE DEL PARLAMENTO UE CHE SI È SCHIERATO CONTRO TSIPRAS –

Eppure, la ferocia dei toni della Spd e di Martin Schulz contro Tsipras va anche oltre il silenzio e la posizione scelta da Socialisti e democratici europei. Ovvero, quella di una sostanziale subalternità – al di là di singole voci critiche –  alle ricette dei Conservatori e di Angela Merkel, oggi maggioritarie in Europa. Non una novità, considerato come tra Strasburgo e Bruxelles, Popolari e Socialisti governino ormai insieme da tempo. Eppure, invocare – come fatto da Schulz – la sostituzione di un governo – che sia di destra o di sinistra – lascia perplessi. Soprattutto se si ricorda come lo stesso esponente tedesco non abbia mai amato gli esecutivi tecnici. Basta ricordare il suo giudizio sul governo Monti e cosa pensasse in merito a una sua possibile vittoria alle elezioni in Italia del 2013:

«I discorsi di chi sostiene che l’Italia deve essere guidata dai tecnici e non dai politici sono gli stessi di chi vent’ anni fa sosteneva che al governo c’era bisogno di un imprenditore perché non era un politico», spiegò all’Unità, con un chiaro riferimento a Silvio Berlusconi. Ma non solo: «Oggi le stesse persone ci raccontano che c’è bisogno di un tecnico. Io conosco Mario Monti da molto tempo, ho una grande stima personale per lui. […] Per dieci anni è stato commissario europeo qui a Bruxelles, è stato vicepresidente della Commissione e mi ricordo molto bene quando Jacques Chirac e Gerhard Schroeder dovevano negoziare con lui per i sussidi statali alle aziende nazionali. In Europa non c’è settore più politicizzato della concorrenza. Non mi si racconti che Mario Monti è caduto dal cielo come tecnico. È un politico. È un uomo onesto e non è affiliato a nessun partito politico, ma è un uomo che ha passato gran parte della sua carriera nella politica. Alla fine la democrazia è basata sulle elezioni. Gli italiani andranno a votare e dopo le elezioni ci sarà un nuovo governo. Come sarà composto questo governo e chi lo guiderà è una domanda a cui si risponde dopo le elezioni, non prima», spiegò.

Era il 30 settembre 2012, appena tre anni fa. Sembra passato un secolo. Per Schulz oggi in Grecia sembra preferibile un governo di tecnocrati, più utili agli interessi tedeschi, che quello di Syriza. Pazienza se sia stato democraticamente eletto. Ma non solo. Già soltanto l’essersi schierato per una posizione – il “sì” alla consultazione referendaria – entra in conflitto con l’incarico di Schulz, che dovrebbe – in teoria – essere super-partes. E che avrebbe dovuto suggerirgli quantomeno un minimo di imparzialità (seppur, va precisato, anche in questo caso non sia stato l’unico “colpevole”, considerate le dichiarazioni simili del presidente della Commissione Ue Jean Claude Juncker e del presidente dell’Eurogruppo Jeroen Dijsselbloem, ndr).

Non è un caso che, già prima del referendum, il vicepresidente del Parlamento europeo, Dimitrios Papadimulis (Syriza), e la Presidente della Sinistra Unitaria Europea, Gabi Zimmer, abbiano invitato Schulz a non interferire sulla consultazione, denunciando una “grave violazione delle sue competenze“. E come un gruppo di eurodeputati di Verdi e sinistra radicale – compresa l’italiana Barbara Spinelli – abbia chiesto adesso un passo indietro di Schulz, accusando il suo comportamento come “parziale, brutale, ottuso, e senza precedenti nella storia dell’Unione Europea e del suo Parlamento”. Perché, al di là del verdetto del referendum, c’è in gioco la stessa credibilità delle istituzioni comunitarie. Mentre l’atteggiamento di Schulz è sembrato tutt’altro che al di sopra delle parti.

LE INVETTIVE ANTI-TSIPRAS DI SCHULZ, COSA C’È DIETRO? –

In realtà, dietro la posizione anti-Tsipras di Schulz e di Spd, sembrano nascondersi interessi di parte, legati alla situazione politica tedesca. Oltre che possibili ambizioni personali dello stesso attuale presidente del Parlamento Ue. Il motivo? Con un partito – quello socialdemocratico – in calo di consensi in Germania, i socialdemocratici tedeschi si sono di fatto allineati al sentimento comune dell’opinione pubblica e dei media sul caso greco. Tutt’altro che benevolo nei confronti di Atene (non solo per la posizione anti-ellenica della Bild). Lo dimostra anche il livello di gradimento raggiunto dal “rigorista” Schäuble (70%) superiore anche a quello della Merkel (67%). Secondo Ard, ben il 68% dei tedeschi considera responsabile l’attuale governo greco per la crisi di Atene. Così Spd e Schulz hanno scelto da che parte stare. Non certo da quella di Syriza. Né favorevoli alla rinegoziazione del debito chiesto da Atene. 

Ma non solo. Non va dimenticato come nel 2016 Schulz dovrà cedere l’incarico a un collega del Ppe. Dalle parti di Berlino c’è chi è convinto abbia poca intenzione di accontentarsi di ruoli di secondo piano e punti invece a un incarico di peso in patria. Come ministro degli Esteri. O, forse, come avversario di Angela Merkel alle politiche del 2017. La cancelliera non ha ancora confermato la sua corsa: c’è chi ha evocato per lei l’incarico come segretario alle Nazioni Unite (dopo Ban Ki Moon nel 2016 tocca a un nome europeo) o una futura “promozione” alla presidenza della Repubblica. Ma il suo partito, considerati gli alti indici di gradimento, la spinge da tempo per restare al suo posto. Contro Merkel, il socialdemocratico e vicecancelliere Gabriel sembra avere poche possibilità. Anche perché, a eccezione del salario minimo, la Spd ha ottenuto poco dal governo di coalizione con la Cdu. Di conseguenza, per Schulz potrebbe aprirsi una nuova occasione dopo la sconfitta nella corsa come numero uno della Commissione Ue. Una campagna che poco si concilierebbe con posizioni morbide sul caso greco. O con un ruolo da “pontiere”. Ci pensi Hollande o l’Italia a mediare. In Germania non è tempo di aperture. Nemmeno tra i socialdemocratici.

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