Fincantieri, il sequestro della magistratura manda a casa quasi 5mila dipendenti | Il Messaggero

Fincantieri, il sequestro della magistratura manda a casa circa 5mila dipendenti: da ieri sono bloccate da provvedimento giudiziale alcune aree strategiche dei cantieri di Monfalcone, il primo e principale polo della cantieristica italiana, di proprietà del ministero dell’Economia e delle Finanze. Fra lavoratori diretti e indotto la chiusura Fincantieri lascia a casa qualcosa come 4500 dipendenti: il tutto per un provvedimento giudiziale relativo ad una vicenda legale che si trascina da anni.

FINCANTIERI, IL SEQUESTRO DELLA MAGISTRATURA MANDA A CASA I DIPENDENTI

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A scorrere le sei pagine dell’ordinanza del Tribunale di Gorizia, presieduto da Francesca Clocchiatti, emerge la storia di una vicenda giudiziaria lunga e controversa. Già nel 2013, quando furono iscritti sul registro degli indagati per attività di gestione di rifiuti non autorizzata l’ex direttore dello stabilimento Fincantieri di Monfalcone, Carlo De Marco, e i titolari di sei aziende che lavorano all’interno del cantiere, la procura si era vista respingere la richiesta di sequestro dell’area, prima dal gip e poi dal tribunale. Motivo: non emergeva «l’esistenza di una situazione di pericolo di danno ambientale». La procura di Gorizia, a questo punto, ha fatto ricorso in Cassazione che, a sua volta, ha rinviato al Tribunale per un nuovo esame del caso ritenendo il precedente provvedimento carente dal punto di vista della motivazione. Quanto basta, stavolta, perché il collegio accolga la richiesta di sequestro

Più che Fincantieri, la principale responsabilità sembrerebbe essere quella delle aziende dell’indotto; il giudice accede ad una lettura estremamente stringente della norma, col risultato di mettere in sicurezza gli impianti attraverso un esteso sequestro.

L’inchiesta ruota attorno alla gestione degli scarti di lavorazione delle navi prodotti dalle ditte subappaltatrici di Fincantieri, che però non risultano titolari dell’autorizzazione a gestire i rifiuti. Secondo gli inquirenti sarebbe impossibile qualificare quale «deposito temporaneo» il luogo messo a disposizione da Fincantieri, dove vengono ammassati i rifiuti prima di essere trasferiti e trattati altrove. Si tratterebbe, invece, di un «deposito incontrollato»: il Tribunale di Gorizia, nell’ordinanza, ritiene che le società in subappalto assumano la qualità di «detentore dei rifiuti» nel momento in cui provvedono al loro trasferimento dalla nave al deposito ai piedi dell’impianto. Ecco perché – scrivono i giudici – è necessaria l’autorizzazione al trattamento dei rifiuti, anche in caso di semplice stoccaggio. Ecco perché – è la realtà di queste ore – oltre 4mila operai sono da ieri a casa

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Spiega il Messaggero che il reato per il quale procede la magistratura friulana è punito massimo con un anno di carcere o con un ammenda da 27mila euro, e che i rifiuti, pur stoccati in un’area non a norma di legge, non sarebbero nocivi ma inerti. Ora le strade sono due: o l’accoglienza del ricorso che revochi il provvedimento giudiziario, o un decreto d’urgenza che interpreti la legge in modo da far tornare Fincantieri al lavoro.

Al ministro dell’Ambiente Galletti il non facile compito di spiegare cosa, in tre anni dal primo esposto, è stato fatto per adeguare la normativa o spingere l’azienda ad ottemperare alla legge del 2006. La complessità della normativa e la decisione dell’azienda di ricorrere contro il sequestro disposto dai carabinieri dopo la richiesta del tribuna di Gorizia, hanno spinto il governo a non assumere provvedimenti nel consiglio dei ministri di ieri pomeriggio. Si spera infatti che la magistratura accolga il ricorso o quanto meno che delimiti l’area soggetta a sequestro in modo da permettere la ripresa dell’attività del cantiere.

Altrimenti si provvederà con decreto a modificare la legge, il codice dell’Ambiente, per chiarire mediante norma la differenza fra “rifiuto” e “scarto” – è questa la sottile distinzione su cui poggia l’interpretazione del giudice.

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