Eddy Merckx compie 70 anni

17/06/2015 di Maghdi Abo Abia

Eddy Merckx è stato certamente più cannibale di quanto il suo carattere e il suo fisico lo rendessero tale, proprio per un approccio mentale tutto particolare. Quando Eddy correva, non lo faceva per se stesso o per la squadra che lo pagava profumatamente, ma per un’intera nazione che regolarmente lo seguiva, trepidava ad ogni sua impresa

Eddy Merckx compie 70 anni. E questa frase del compianto Adriano De Zan lo identifica più di ogni altra cosa. Si possono scrivere migliaia di caratteri per raccontare le gesta sportive del “Cannibale”, ma più che delle 33 vittorie tra classiche, Mondiali e grandi giri, dei 525 successi complessivi, delle 111 maglie gialle e delle 77 maglie rosa, Merckx verrà ricordato sopratutto per la sua umanità, per il fatto che divenne un’immagine d’unità per il Belgio, per il suo approccio mentale alle gare.

Eddy Merckx
(LIONEL BONAVENTURE/AFP/Getty Images)

La grandezza di Eddy Merckx è ben testimoniata da Felice Gimondi al quale il Cannibale un giorno ebbe a dire, ripreso dal Giornale:

«Questa gente è qui perché mi vuole vedere vincere e gli organizzatori mi hanno pagato più di tutti perché si aspettano da me qualcosa di grande»

E per questo non lasciava niente a nessuno. Neanche le briciole. Lui doveva vincere perché era il suo destino. Gianni Mura, uno che il ciclismo l’ha sempre seguito, su Repubblica ricorda il suo primo Giro, nel 1968, vinto grazie a un’impresa sulle Tre Cime di Lavaredo. Un belga scalatore. Una roba mai vista nel mondo delle due ruote. Così come nessuno vide mai lacrime così grandi quando venne squalificato per doping, sempre al Giro. Due giorni prima di quel 2 giugno 1969, svelò Eddy Merckx al giornalista Philippe Brunel, un uomo si presentò con una borsa piena di soldi in cambio della sconfitta al Giro. «Non aprirla neanche, non voglio sapere quanto c’è dentro, io queste cose non le faccio e basta». E mentre in Italia si congetturava sul doping si-doping no Eddy Merckx tornò a Bruxelles con un aereo messo a disposizione dalla Casa Reale. A Bruxelles iniziò il boicottaggio dei prodotti tricolori. Il Tour de France lo ammise. E lui vinse. 20 giorni su 21 in maglia gialla. Alla sua prima partecipazione. Sulla bicicletta era cuore e passione per quanto non conducesse la classica vita da atleta. Fumava, beveva birra e tirava tardi. Il tutto con una miopatia ipertrofica non occlusiva, scoperta ad Alba nel 1967. Oggi non avrebbe neanche l’idoneità per correre. Ma non se n’è mai preoccupato. Chissà. Forse il suo cuore non lo sapeva di stare poco bene. Nel 1969 per i postumi di una caduta soffrì un trauma cranico ed uno spostamento del bacino che gli provocava forti dolori in salita. Nel 1975 arrivò secondo al Tour de France, battuto da Bernard Thevenet, rinunciando al suo sesto successo nella Corsa gialla a causa di una caduta che gli provocò una frattura della mandibola. Non si ritirò. E corse così le sei tappe finali. Il momento più difficile della vita? La morte di suo padre, quando aveva 38 anni, nel 1983. Era già il passato, visto che il suo periodo, il Merckxismo-Leninismo, durò 11 anni, dal 1966 al 1978. Una media di 47 corse vinte all’anno. Una sconfitta, al Mondiale del 1973, da lui raccontata ad Avvenire:

«Volata a quattro con Gimondi, Ocaña e il mio connazionale Maertens a tirare la volata. Vinse Felice. Ci rimasi malissimo, ma il fatto che la maglia fosse finita sulle spalle di Gimondi, mi confortò e di molto»

Quel Felice Gimondi ancora oggi suo amico. Segno di un ciclismo fatto di vittorie e rispetto. In bicicletta non si andava solo per sé stessi ma per il pubblico, per gli organizzatori, per tutti coloro che permettono al mondo delle due ruote di rimanere in vita. Ed oggi per i 70 anni di Edouard Louis Joseph Merckx, figlio di due droghieri di Bruxelles, è giusto celebrare sia il ciclista sia il ciclismo, attraverso l’uomo che, con Fausto Coppi, ha reso immortale questo sport.

Share this article
TAGS