Perché in Europa vince il populismo

“La vittoria dei populisti di destra e di sinistra nelle elezioni in tutta Europa succede perché qualcosa non funziona più nel sogno dell‘Unione Europea”: è amara la riflessioen del principale esperto di geopolitica italiano, Lucio Caracciolo, che commenta su Repubblica all’indomani dell’affermazione di Podemos in Spagna, ma anche della crescita importante dei neofascisti del Fronte Nazionale in Francia e sopratutto di Andrzej Duda, candidato della destra nazionalista che ha vinto in Polonia, mentre si profila, sullo sfondo, “una doppia possibilità di uscita”, quella della Gran Bretagna e quella della Grecia.

L’EUROPA DEI MOVIMENTI E L’EUROPA CHE NON FUNZIONA

Le euroburocrazie, scrive Caracciolo, si trovano a confrontarsi con una nascente “Europa dei movimenti” ai quali viene imputato lo sfilacciamento del sogno europeo: “Agitatori politici di destra e di sinistra” che avrebbero la principale responsabilità di essere “nemici del buon tono”, turbatori dell’ordine dell’Europa fondata cinquant’anni fa.

Spiegazione di comodo. È ovvio che in questo clima avvelenato alcuni imprenditori politici speculino su paure diffuse — peraltro fondate — per raccattare voti e profilarsi come vendicatori del popolo contro i poteri stabiliti. È altrettanto scontato che costoro non abbiano interesse a risolvere i problemi che denunciano, e anzi godano ogni volta che il demone dell’eurocrisi avanza di un passo verso il baratro.

Ma se questi movimenti hanno spazio, scrive Caracciolo, è il momento di ammettere che “qualcosa” nel sogno dell’integrazione europea, “non funziona più”; e negarlo, scrive l’esperto, fa solo il gioco dei populismi.

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L’EUROPA DELLA GERMANIA, “UN CONDOMINIO SENZA AMMINISTRATORE”

Una prospettiva storica aiuta a comprendere: la nuova Europa è stata installata sulla vecchia. Forgiata sulla paura che la Germania potesse essere troppo forte.

Esauriti i protettorati esterni e riunita la Germania, tornammo al paradigma del secolo precedente, con Berlino sorvegliata speciale dal resto d’Europa, incapace di evolvere oltre una germanofobia primaria. Chiedemmo allora ai tedeschi di cedere il marco in cambio dell’euro e di diluire il dominio della Bundesbank nella Banca centrale europea. Fatto. Naturalmente al prezzo, non voluto ma imposto dai rapporti di forza, di gestire la divisa comune secondo criteri di austerità cari all’ideologia monetaria tedesca, appena addolciti dalle mosse di Draghi che hanno finora sventato il collasso di questa curiosa area monetaria, smentita vivente (?) d’ogni manuale e di qualsiasi esperienza storica. Trascurammo poi di considerare che, esaurito il consenso di Washington (e di Mosca) — ovvero il protettorato a stelle e strisce di cui abbiamo fruito per quasi mezzo secolo — non c’è consenso di Berlino che possa surrogarlo. Alla Germania mancano potenza e vocazione per egemonizzare l’Europa, cioè per gestirla distribuendo incentivi ai gestiti.

L’Europa si ritrova dunque ad essere “un condominio senza amministratore e senza progetto di convivenza” in cui si giocano “i puri rapporti di forza” e in cui “si vive alla giornata”, anche perché il vivere alla giornata è precisamente l’intento del leader tedesco Angela Merkel, e così noi che viviamoi nel resto d’Europa, scrive Caracciolo, “non abbiamo diritto di meravigliarci del caos vigente”.

Copertina: Lucio Caracciolo / Wikimedia Commons

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