Un documento in possesso del Fatto Quotidiano proietta nuove ombre sul processo Montedison

Il processo agli ex dirigenti Montedison si tinge di giallo. C’era qualcosa che la giuria popolare avrebbe voluto denunciare, ma due dei giudici all’ultimo momento si tirarono indietro. L’esposto era già pronto per essere consegnato al Csm, «poi qualcuno ha avuto timore di esporsi e non si è fatto più nulla: o firmavamo tutte o nessuna».

L’ESPOSTO – Il Fatto Quotidiano è riuscito ad entrare in possesso del documento dei giudici popolari della Corte d’assise sulla sentenza, finita con l’assoluzione dei 19 imputati, salvati da 180 anni di condanne complessive avanzate dai pm. «Chiediamo di poter essere sentite dall’autorità competente, per poter approfondire i temi sopra accennati, riteniamo di doverlo fare per un intimo senso di giustizia e di appartenenza a uno Stato che dovrebbe essere integrato da istituzioni democratiche». Una bozza che il Fatto suddivide in cinque punti. Si parte da tre giorni prima della sentenza, quando i giudici popolari andarono a cena con i togati Camillo Romandini e Paolo Di Geronimo. Sul documento si legge che Romandini avrebbe insistito sulla «impossibilità di emettere una sentenza di condanna avverso gli imputati del gruppo Montedison-Edison poiché ciò avrebbe implicato ingenti danni economici».

LE CARTE PROCESSUALI – «In più occasioni – racconta la giuria popolare – chiedevamo di poter visionare e leggere atti e documenti processuali, mossi dalla necessità di approfondire gli argomenti esposti in camera di consiglio», ma i giudici togati «evidenziavano l’impossibilità di noi giudici popolari di studiare l’enorme mole cartace di documenti, compendio del fascicolo processuale che, di fatto, veniva sottratta alla nostra presa di visione».

L’EPISODIO – Nel terzo punto si parla di un episodio avvenuto fuori dalla camera di consiglio, durante l’udienza del 10 ottobre 2014. «Manifestavamo apertamente la volontà di addivenire a una pronuncia giudiziale coraggiosa, in linea con le soluzioni date dall’Avvocatura dello Stato, rappresentata da Cristina Gerardis, e di lì a poco ascoltate in udienza. A fronte di tale spontanea dichiarazione il giudice a latere dottor Paolo di Geronimo ci rintuzzava dicendo: “L’avvocato Gerardis fa una sola cosa: rompe”». Durante la pausa dell’udienza «veniva sin dall’inizio e costantemente ripetuto e palesato ai sottoscritti, reiteratamente, e senza altre spiegazioni giuridiche o sostanziali, che non si poteva condannare gli imputanti, tanto meno per dolo, perchè non si poteva fare il processo alle streghe. Si insisteva sempre e solo sul fatto che “il dolo non c’era, l’intenzione non c’era”».

L’ULTIMO PUNTO – Nell’ultimo punto le giurate parlano della sentenza «Le sottoscritte conservano un intimo convincimento diverso da quello dei giudici togati, e avrebbero gradito di poterlo esprimere nel corso di una regolare votazione, ma alcun procedimento di tal genere ha invece connotato l’iter con il quale si è deciso il processo di Bussi». La bozza non è mai stata consegnata al Csm, ma dopo le rivelazioni del quotidiano di Marco Travaglio, è stato aperto un fascicolo che nei prossimi giorni arriverà alla Procura di Campobasso, che ha competenza sui magistrati abruzzesi.

[FotoCredit: Ansa]

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