Ecco perché De Gennaro dovrebbe dimettersi

Intoccabile. La sua è una parabola che sembra senza fine. Nomine e poltrone non sono mai state negate a Gianni De Gennaro. Così come negli Stati Uniti lo storico direttore Fbi Hoover riuscì a condizionare il potere per decenni, sopravvivendo a otto presidenti (da Coolidge a Nixon) e al sistema che lo aveva prodotto, allo stesso modo nessuno si è mai sognato di mettere in discussione l’ex capo della Polizia italiana. Il vertice più alto ai tempi di quel G8 di Genova passato alla storia come una delle pagine più buie della nostra Repubblica. Un potere che nemmeno il premier Matteo Renzi, nonostante la retorica del “cambia verso“, ha osato sfidare. Tanto da blindarlo già nel 2014 alla presidenza di Finmeccanica, carica alla quale era stato “promosso”dal governo di larghe intese presieduto da Enrico Letta. Altro che discontinuità: con il cambio a Palazzo Chigi, De Gennaro fu l’unico ad essere confermato, tra l’altro nel silenzio (o quasi) del Pd. 

Adesso non è bastato certo l’affondo  di Matteo Orfini: «Trovo vergognoso che De Gennaro sia presidente di Finmeccanica», ha sbottato il presidente Pd dopo che la Corte Europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per l’irruzione del 21 luglio 2001 delle forze dell’ordine italiane alla scuola Diaz. Per la Corte fu tortura. E basta ricordare soltanto come la definì lo stesso vicequestore Michelangelo Fournier: “Un pestaggio da macelleria messicana”. O, secondo le parole del pm Zucca nella requisitoria, una  “sospensione dello stato di diritto”.

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PERCHÉ DE GENNARO DEVE DIMETTERSI: LE RESPONSABILITÀ MORALI PER UNA PAGINA NERA DELLA REPUBBLICA – 

Certo, va precisato, De Gennaro è stato assolto in via definitiva dall’accusa a suo carico sui fatti del G8 (istigazione alla falsa testimonianza). Ribaltando la sentenza di condanna a un anno e quattro mesi dell’Appello, nel novembre 2011 fu la Cassazione ad assolverloassieme all’ex capo della Digos, Spartaco Mortola. La formula? “I fatti non sussistono”. Per l’accusa, invece, i due avevano indotto l’allora questore di Genova, Francesco Colucci, a mentire. Facendogli ritrattare precedenti dichiarazioni nelle quali attribuiva la responsabilità degli ordini (con i violenti pestaggi) a una catena di comando che partiva dal Viminale, cioè da De Gennaro stesso. Quel verdetto di assoluzione è bastato a Renzi per blindarlo ai vertici del colosso di Stato. Fiducia più che confermata. Peccato che il premier dimentichi che esista una differenza non irrilevante tra responsabilità penale e quella oggettiva, come ha ben ricordato lo stesso Sergio Rizzo sul Corriere della Sera. Perché le “colpe” morali di De Gennaro non possono passare in secondo piano. Basta leggere le motivazioni della sentenza con cui la Cassazione confermò le condanne per falso (le uniche sopravvissute alla prescrizione, al contrario delle accuse per lesioni gravi) ai capisquadra e ai funzionari che guidarono gli agenti torturatori nel massacro della Diaz. Parole riportate da Andrea Sarubbi e da Furio Colombo durante un’interrogazione all’ex presidente del Consiglio Monti, che nominò De Gennaro sottosegretario alla presidenza del Consiglio:

«Secondo le motivazioni della sentenza recentemente pubblicate, l’incursione – effettuata a G8 ormai concluso e con “caratteristiche denotanti un assetto militare” – nacque dall’esortazione rivolta dall’allora capo della Polizia, prefetto Giovanni De Gennaro, “ad eseguire arresti, anche per riscattare l’immagine della Polizia dalle accuse di inerzia”; tale obiettivo, scrivono i giudici, finì “con l’avere il sopravvento rispetto alla verifica del buon esito dell’operazione stessa”; dall’esortazione del dottor De Gennaro scaturì “un massacro ingiustificabile“, “una pura esplosione di violenza“, di fronte alla quale i suoi stretti collaboratori, “in posizione di comando a diversi livelli”, non si fermarono: “invece di isolare ed emarginare i violenti denunciandoli – scrivono ancora i giudici, stigmatizzandone ‘l’odiosità del comportamento’ – avevano scelto di persistere negli arresti creando una serie di false circostanze”.

Proprio Sarubbi e Colombo evidenziarono come non fosse possibile dimenticare le responsabilità morali dell’allora ex capo della Polizia. Ma De Gennaro restò al suo posto. Per poi incassare altre promozioni.

PERCHÉ DE GENNARO DEVE DIMETTERSI: QUELLE PAROLE MAI CHIARE –

Così come quella di De Gennaro (nominato già nel 2008 dal governo Berlusconi a capo dei servizi), non si fermò per troppo tempo nemmeno la carriera di funzionari condannati. Anche perché, si sa, in Italia nessuno “si scorda degli amici”. Tanto che lo stesso presidente della più potente e strategica azienda di Stato non si è fatto troppi scrupoli a “chiamare” come consulente in Finmeccanica quel Gilberto Caldarozzi (ex capo del Servizio centrale operativo) condannato a 3 anni e 8 mesi e interdetto per cinque anni dai pubblici uffici dopo il processo, così come denunciato lo scorso gennaio da Sel.

De Gennaro non ha mai avuto parole chiare, né ha preso in modo convinto le distanze da certe azioni. Già in un’audizione in Parlamento si limitò a spiegare come fosse, a suo dire, «verosimile che le condizioni create da criminali violenti e facinorosi abbiano determinato in alcuni casi un eccesso nell’uso della forza a opera dei privati, in altri casi episodici e individuali comportamenti illeciti che saranno rigorosamente perseguiti». Ma la storia e la Corte europea dei diritti umani hanno chiarito come «episodico e individuale» ci fosse stato ben poco. Ma non solo. Se il successore Manganelli, dopo la sentenza della Cassazione, spiegò almeno come fosse arrivato “il momento delle scuse“, De Gennaro si limitò a parlare di “rispetto per le sentenze“. E a spiegare di aver «sempre ispirato la sua condotta ai principi dello Stato di diritto. Solidarietà ai funzionari». Niente da fare. Chi attendeva scuse ufficiali e concrete è rimasto deluso.

POLIZIA POCO COLLABORATIVA –

Eppure, per tutti i governi che si sono succeduti – Renzi compreso – è stato sufficiente che De Gennaro sia stato assolto dall’unica accusa a suo carico. E poco importa che fosse comunque lui stesso il capo della Polizia, mentre si consumava la mattanza nella Diaz. L’incarico ai vertici della polizia fu mantenuto da De Gennaro fino al 2007. Durante il suo mandato – come in quelli successivi, va precisato – la polizia non ha certo brillato per lo spirito di collaborazione (il pm Zucca denunciò la troppa “omertà” intorno alle indagini, ndr). Né si è fatto qualcosa per perseguire a livello disciplinare chi tra gli uomini in divisa si era macchiato di crimini. La stessa Sel attende da due anni di sapere dal Viminale se e quali misure disciplinari fossero state adottate contro i funzionari condannati per la Diaz. Tutto invano. Ma non solo. Non si è certo portato avanti nella polizia alcun percorso di rinnovamento, anche nella formazione degli agenti: «La priorità è cambiare totalmente il percorso formativo delle forze dell’ordine, che è carente sotto ogni punto di vista», ha spiegato il parlamentare Luigi Manconi (Pd) pochi giorni fa a Giornalettismo

Certo, non può bastare trovare un capro espiatorio. Ma è anche l’ora che qualcuno, tra i vertici, risponda anche per le responsabilità morali e oggettive di quella pagina buia.

COMPETENZE E TRASPARENZA –

C’è poi anche una questione “tecnica” da sottolineare. Quali sarebbero le competenze in base alle quali sia stata promossa da Letta (e confermata da Renzi) la nomina di De Gennaro a Finmeccanica resta ancora oggi un mistero. Anche perché in quarant’anni passati come funzionario statale – non sarebbe l’ora di un ricambio? – De Gennaro non si era mai occupato prima di aziende. Grandi o piccole che fossero. Evidente, a quanto pare, che il governo non abbia nemmeno pensato che possano essere venuti meno, nel caso di De Gennaro, quei requisiti di onorabilità e di professionalità necessari e richiesti nelle nomine nelle società controllate direttamente o indirettamente dallo Stato. Eppure, dopo gli scandali e le inchieste per corruzione che hanno coinvolto Finmeccanica (basta pensare agli ex presidenti Guarguaglini e Orsi, finiti in manette, ndr), forse non era la nomina dell’ex uomo dei servizi e capo della polizia ai tempi del G8 quella più opportuna. E sarebbe stato meglio evitare di legare al colosso di Stato, già scosso da altre inchieste, un nome che, responsabilità a parte, rievoca comunque una pagina tra le più nere della nostra Repubblica.

Di certo per nominare De Gennaro fu interpretata in modo quantomeno generosa la legge Frattini sul conflitto d’interessi. Quella che vieta per un anno ai membri uscenti del governo incarichi in società “che operino prevalentemente in settori connessi con la carica ricoperta”. De Gennaro era sottosegretario alla presidenza del Consiglio, con delega alla sicurezza. Eppure l’Antitrust difese la nomina spiegando come Finmeccanica (tra i primi player mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza) non operasse «prevalentemente» nella sfera di quella funzione governativa. Blindando la nomina di De Gennaro. Come sempre, intoccabile. Questa volta garantendogli una carica che gli permette di poter guadagnare 263 mila euro lordi all’anno.

De Gennaro
La retribuzione di De Gennaro a Finmeccanica: 263mila euro lordi l’anno (Clicca per ingrandire)

 

LA RESPONSABILITÀ DELLA POLITICA –

È chiaro che, oltre a De Gennaro, deve rispondere la politica. Perché se il presidente Finmeccanica è saldo al suo posto è perché qualcuno lo ha nominato. Lo ha confermato. E ha blindato il suo potere. Di fatto, “immortale”. Lo ha fatto anche Renzi, dimenticando i propositi di rottamazione del primo renzian-pensiero. «Resto della mia idea: il cambiamento che il Pd sta promuovendo nel Paese non dovrebbe fermarsi di fronte alla porta dei soliti noti», è stata la replica di Matteo Orfini, dopo che il premier e segretario del Pd aveva “sconfessato” le sue parole e archiviato il suo pressing per una sostituzione di De Gennaro alla presidenza di Finmeccanica. Un nodo politico non irrilevante per il Pd, dove già il vicesegretario (Serracchiani) non si era fatto troppi scrupoli a bollare come “personale” la posizione di chi (il presidente) dovrebbe al contrario rappresentare l’unità del partito.

 

Eppure la posizione di Orfini è la stessa di una generazione ancora “ferita” dalla vergogna della mattanza della Diaz, così come dai pestaggi nella caserma di Bolzaneto. Altra pagina buia legata al G8 di Genova sul quale i giudici di Strasburgo decideranno a breve, dato il ricorso pendente  presentato da 31 persone che affermano di essere state torturate. C’è una generazione, compresa una parte di quella che ha dato fiducia a Renzi e alle sue proposte di rinnovamento, che non può dimenticare. Né stare dalla stessa parte di chi, al di là delle responsabilità penali, da certi fatti non ha mai preso realmente le distanze. Né si è mai scusato con parole chiare. Per questo, dentro lo stesso Pd, le parole di Orfini dovrebbero spingere anche altri a rivendicare le dimissioni di De Gennaro. In modo da pressare lo stesso governo a tornare sui suoi passi. Non basterà per risarcire chi ha subito le torture della Diaz. Sarebbe quantomeno un passo. Il minimo che la politica, responsabile di certe scelte, potrebbe fare.      

(photocredit: Archivio Ansa)

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