Grandi Opere, Di Pietro: «Incalza mi era noto già da Mani Pulite, lega Cl e Coop Rosse»

Il “sistema” si è trasformato. La “nuova Tangentopoli“, secondo Antonio Di Pietro, è diversa da quella degli anni ’90. Allora «si ritagliavano le percentuali del 3, 5, 7 per cento che dalle imprese andavano al partito di riferimento. E, a fronte del denaro, c’era un atto specifico». Ora, ha spiegato l’ex leader di Idv al quotidiano “La Repubblica“, «ci si protegge a vicenda». C’è una “gelatina” tra politica e imprenditoria, sono due mondi legati tra ricatti, favori, interessi e complicità. Tutto a danno dei cittadini: sulle loro spalle pesano i costi lievitati delle opere.

DI PIETRO: «INCALZA? IL SUO NOME MI ERA NOTO. POTENTE PERCHÈ LEGA INTERESSI DELLE COOP ROSSE E DI CL» –

Nel 2006 l’ex pm, titolare del dicastero dei Lavori pubblici nel secondo governo Prodi, estromise Ercole Incalza, il dirigente arrestato nell’inchiesta sugli appalti delle Grandi opere: : «Il suo nome mi era noto già dai tempi di Mani pulite, è potente perché lega gli interessi delle Coop rosse e di Cl». Al quotidiano diretto da Ezio Mauro ha precisato di aver prevenuto qualsiasi “tentazione” attraverso la rotazione degli incarichi direttivi: «Se stai troppo nello stesso posto di potere rischi di creare i rapporti gelatinosi. Prevenire è meglio»:

«Se girano quattrini, tutti sanno quello che serve sapere. […] Adesso che esiste l’Autorità Anticorruzione bisognerebbe far arrivare là tutte le carte giudiziarie, anche quelle vecchie di Tangentopoli. Ci sono fatti non penalmente rilevanti che però, portati nella stanza dei bottoni, possono far dichiarare un concorrente all’appalto “non gradito”», si legge.

Nell’inchiesta diretta dalla procura di Firenze è finito coinvolto anche Antonio Bargone, che fu sottosegretario dello stesso Di Pietro:

«Nel 1996, per sei mesi. Poi io me ne andai perché sotto inchiesta a La Spezia, lui rimase». Il ricco dipartimento delle Infrastrutture oggi ha due gambe, la struttura tecnica di missione e il consiglio superiore dei lavori pubblici. «Nella stessa settimana in cui misi fuori Incalza, nel 2006, trovai Angelo Balducci. Gli detti un ruolo secondario e se ne andò lui. Sul piano politico in vita mia ho preso tante cantonate, ma sul piano del lavoro mi sono scontrato con vari centri di potere. Sapevo, per le indagini sullo Ior, sulla maxitangente Enimont, che Balducci aveva una “consuetudine oltre Tevere”. Magari uno non ci va solo per pregare, ma anche per peccare, e io gli tolgo la tentazione. Anche lui, come si sa, è finito in grossi guai».

Per Di Pietro per un amministratore è necessario «rendere trasparente passo dopo passo l’evoluzione dell’appalto» e «operare una netta distinzione tra il controllore e il controllato»: «È semplice ma non lo si fa. Anche quest’ultima inchiesta mostra come il controllato, e cioè le aziende, nominava il controllore, cioè Incalza, con il beneplacito del ministro Maurizio Lupi», ha attaccato l’ex ministro.

DI PIETRO: «LE ISTITUZIONI? ATTUANO UNA COMPLICITÀ OMISSIVA» – 

Di Pietro attacca le istituzioni, considerate responsabili di «attuare una complicità omissiva»: «Molti sono o complici o ricattabili, e si vede dal fatto che solo chi è fuori del sistema viene delegittimato»:

«Prima di morire Gerardo D’Ambrosio, coordinatore del pool Mani pulite, si lamentava che nessuna sua legge anticorruzione fosse stata presa in considerazione… «Non le sue, né di Casson, io ne ho depositate 110, Pietro Grasso ci sta mettendo una vita… Inoltre, bisogna sapere dove e come colpire. Per esempio, si dice che per far emergere il falso in bilancio sarà possibile intercettare solo le aziende quotate in borsa. Il mafioso Angelo Siino, sub-appaltatore e non quotato in Borsa che cosa faceva? Tu, impresa del Nord, dimmi quanto vuoi spendere, e io in quella cifra ti faccio il lavoro, ti pago il politico, ti tolgo i problemi con la mafia. A volte a comandare non è chi siede in Piazza Affari, ma chi sta in strada. Lo sanno, quando fanno le leggi?».

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