La Caduta, gli ultimi giorni del Milan di Berlusconi

Si puo’ andare in Serie B sul campo, dopo un rinvio sbagliato di un portiere dall’altra parte d’Italia. Parliamo dell’epilogo della stagione 1981-1982 del Milan, retrocesso per la prima volta nella sua storia sul campo dopo la squalifica per il coinvolgimento dei rossoneri nel Calcioscommesse. Era il 16 maggio 1982. E si puo’ reagire sostenendo la squadra al massimo, registrando magari 60.000 presenze a San Siro, migliaia di tifosi che assistono alla sconfitta dei rossoneri per 1-2 da parte della Cavese. Cava dei Tirreni, per intenderci.

Ma perché nel 1983 contro la Cavese erano in 60.000 mentre il 7 marzo 2015 a San Siro contro l’Hellas Verona gli spettatori totali erano 29.510, di cui 10.006 paganti e 19.510 abbonati? Stessa solfa contro l’Empoli (27.170), contro il Parma (24.396), contro l’Atalanta (27.836)? Cosa spinge i tifosi rossoneri a non seguire più le gesta del Diavolo? Forse i troppi anticipi del sabato. Con quello del 7 marzo siamo a nove. Che poi un tifoso avrà pure il diritto di uscire a cena con gli amici, di stare con la fidanzata, di andare al cinema coi genitori no? In fondo c’è la domenica, giorno per dirla alla Donato Cavallo da dedicare al Milan.

Forse la mancanza di successi? Beh, a essere generosi il ruolino di Pippo Inzaghi non è poi così sufficiente. Anzi. 35 punti in 26 giornate, frutto di otto vittorie, undici pareggi e 7 sconfitte, 37 goal fatti, 32 subiti. Una media da 1,346 punti a partita. Eppure il fu Superpippo è convinto di potercela fare. Ok, non si parla più di terzo posto (forse per evitare qualche risata), l’Europa League sembra non interessare più di tanto. Per la salvezza stiamo a posto visti i 15 punti di vantaggio sul Cagliari terzultimo. E fortunatamente non si fanno più accenni allo scozzese che per vincere con il Manchester United ci mise 7 anni. Dimenticando però che il suddetto scozzese prima di arrivare a Manchester vinse tre campionati scozzesi, quattro coppe nazionali, una Coppa delle Coppe ed una Supercoppa Uefa. Il nostro se la cava con un Viareggio. Che per carità, tantaroba eh, ma se ci mettiamo a fare la tara…

Forse la presenza di giocatori in campo non proprio di primo pelo? Oddio. Arrivato Destro si fa giocare Pazzini, Cerci torna dal calcio che conta per stare in panca, Salvatore Bocchetti si fa decongelare dalla stagione vissuta da estraneo allo Spartak Mosca. Di Essien se ne sono perse le tracce (e nessuno se n’è lamentato), non si è capito ancora il ruolo di Poli, ma questa certo non è colpa del giocatore. Honda continua ad essere un mistero, altro che top player. Ma certo in passato sono arrivati Grimi, Mattioni, Cardacio, Viudez, Oduamadi. Solo per citare gli ultimi. Si sono impegnati.

O forse il motivo è tutt’altro. Quando il Milan finì in Serie B la presidenza Farina (per carità di patria eviteremo di parlare di Rivera, di Dino Armani, delle perquisizioni della Guardia di Finanza e dell’insistenza della Federcalcio) pose le basi per un ventennio di successi. Come? Affidandosi alla coppia Ilario Castegner-Silvano Ramaccioni (un padre nello spogliatoio, una figura di riferimento non certo sostituibile con Mauro Tassotti anche se Tasso è tutto un altro passo). Arrivò la promozione a capitano di Piscinin, FrancoBaresi (si scrive tutto attaccato, per chi non lo sapesse) e salutando alcuni degli eroi dello scudetto della “stella”: Walter Novellino, Aldo Maldera, Roberto Antonelli (papà di Luca, attuale giocatore rossonero) Ruben Buriani. Poi c’è Collovati, che chiede ed ottiene di essere ceduto.

 

Giussy Farina lo promise ai tifosi, proprio il 16 maggio 1982. Torneremo in Serie A. E mantenne le promesse. Promesse che oggi non possono essere mantenute. Impossibile. Certo, l’attuale gestione dell’Onorata Società ha portato successi a profusione ma ha tolto la voglia di tifare, di limitarsi a quel dai dai dai che non vorrà dire niente ma che sprona, che spinge, che aiuta a lottare. Perché? Il sospetto, che sta diventando certezza, è che niente sia stato fatto per i tifosi e che ogni azione, ogni vittoria, ogni pulsione sia stata dettata da un tornaconto personale. Finché si vinceva le cose andavano bene. Ai primi problemi il banco è saltato. Le fonti di dissenso con il passare degli anni sono state allontanate. Fossa dei Leoni, sostituita dalla Curva Sud Milano, Carlo Ancelotti ed il suo albero di Natale, Leonardo che va all’Inter, Seedorf vittima delle “gole profonde”.

Per anni è stato perpetrato il mito del “club più titolato al Mondo” solo per potersi guardare allo specchio e dirsi “va lì che bravi”, senza monetizzarlo. No. Era semplicemente un mantra recitato per far star buoni i tifosi. Mantra che ha perso di significato dopo che 1) l’Al Ahly ha superato in titoli il Milan e 2) il Real Madrid è stato nominato club del secolo in Europa. La presenza dell’Amministratore Delegato (anzi, dei due. Quale azienda al mondo ha due Ad?), la mancanza di uno scouting adeguato, gli affari siglati sempre con i soliti procuratori, l’assenza di un obiettivo, la voglia di raggiungere l’Europa solo per far quadrare i conti, l’incapacità di far sentire il Milan alle nuove generazioni, a parte qualche slogan o qualche servizio televisivo. Questo è il Milan odierno. Milan sopravvissuto alla Serie B, ai fatti di Marsiglia (1991, quando l’Amministratore Delegato ritirò la squadra nella speranza di una vittoria a tavolino tramutatasi in una squalifica di un anno. Nessuno a proposito pagò per quel gesto scriteriato. Segno che in fondo non dispiaceva quanto accaduto), a Calciopoli nel 2006, ma non all’aridità di oggi.

La situazione è simile a quella descritta nel film (capolavoro), «La Caduta» di Oliver Hirschbiegel. Bruno Ganz, incredibilmente somigliante al proprietario, è accerchiato da persone incapaci di dirgli la verità chiuso nel suo bunker. Chi è vicino non ha coraggio di svelare la verità. Qualcuno ancora perora la causa dando curiose letture della realtà:

Mi ribello alle pesanti critiche rivolte al Milan: 135 minuti di superiorità contro l’Atletico (Champions League 2013/2014, ottavi di Finale, Atletico Madrid-Milan 5-1 tra Andata e Ritorno)

altri si accapigliano sui social per difendere “il Condor”. Molti invece, ormai rassegnati, aspettano  quello che è definito il “25 aprile rossonero”. La vendita che chiuderà almeno 29 anni di storia caratterizzata da enormi successi ma rovinata dalla troppa voglia di guardarsi allo specchio e di preoccuparsi di sé stessi dimenticandosi della passione dei tifosi, che aspettano solo di poter tornare a gridare Milan! Milan! Milan! (Photocredit copertina Lapresse)

 

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