Pd, Bersani ad Avvenire: «Non siamo figuranti»

All’incontro sulle riforme convocato da Matteo Renzi con i parlamentari del Pd Pier Luigi Bersani non ci sarà. Non accetta, l’ex segretario, che gli organismi dirigenti e i gruppi dem in Parlamento si trasformino in «figuranti di un film». E in una lunga intervista concessa ad Avvenire, anticipata giovedì sera dalle agenzie di stampa, attacca Renzi e la sua lettera a deputati e senatori (con la quale il premier aveva annunciato un’assemblea da un’ora ciascuno su scuola, Rai, ambiente e fisco, ndr). Così come il Jobs Act, bollato come “incostituzionale”.  Con un “avvertimento” al premier: senza cambiamenti, anche il suo voto sull’Italicum sarà tutt’altro che scontato. «Pronto a discutere, ma serve serietà e quel che si decide si fa». 

 

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LO STRAPPO DI BERSANI: «IN UN’ORA NON SI FA IL FUTURO DEL PAESE»

Potrebbe non essere l’unico a disertare l’incontro tra il segretario e i gruppi dem di Camera e Senato. Bersani ha già incassato l’apprezzamento di Giuseppe Civati, il parlamentare dem più distante dal Pd renziano. E anche altri esponenti delle diverse anime della minoranza Pd potrebbero seguire l’ex segretario, per mandare un messaggio al premier. La forzatura sui decreti attuativi della riforma del Lavoro è tornata a irritare la sinistra del partito, critica per la decisione dell’esecutivo di non rispettare il parere (non vincolante) delle commissioni Lavoro di Camera e Senato sul nodo dei licenziamenti collettivi. Per il premier, però, gli attacchi sembrano invece strumentali. Non tanto legati al contenuto sulle riforme, quanto un tentativo di far fallire il suo governo. «Sono stupito. Basta polemiche ingiustificate. Noi siamo per il confronto, sempre. Aperto e inclusivo, nessuno si senta escluso». 

LE CRITICHE DI BERSANI

Al contrario, Bersani critica la scarsa democrazia interna nel partito. E il compromesso interno raggiunto con l’elezione di Mattarella al Colle sembra già strappato:

«Ci vuole serietà, lealtà e rispetto. Non è serio pensare di esaurire un tema come il fisco in mezz’ora. Lealtà vuol dire che quando si discute si rispetta l’esito di questa discussione. Il rispetto vuol dire che non puoi mandare una lettera correggendo l’italiano ad alcuni che sono perfino professori universitari», attacca Bersani. Con un chiaro riferimento alle “provocazioni” di Renzi, che sulla lettera aveva invitato i parlamentari dem ad “astenersi dal burocretese“.

Bersani torna a criticare il patto del Nazareno («Ho sempre detto che è stato un errore perché un Paese vive respirando su due polmoni, un centrodestra e un centrosinistra») e rivendica la necessità di modifiche alle riforme dopo lo “strappo” (seppur ambiguo) di Berlusconi: 

«Ora che il patto è saltato non accetterei che si dicesse che bisogna rispettarlo. L’Italicum va cambiato. Produce una camera di nominati. Non sta in piedi. Il combinato disposto tra norme costituzionali e legge elettorale rompe l’equilibrio democratico. Se è deciso che la riforma della Costituzione non si può modificare, io non accetterò mai di votare questa legge elettorale senza modifiche. Ormai credo si sia vista la mia estrema lealtà verso la “ditta”, ma i partiti sono uno strumento. Prima viene l’equilibrio democratico. Questo combinato disposto non lo voterò mai».

BERSANI CONTRO RENZI SUL JOBS ACT

Bersani rivendica su Avvenire “regole” per il mercato («Se non ci sono gliele facciamo»), rivendica un “operatore indipendente” sul modello di Terna (quello del sistema elettrico, ndr) e «non necessariamente pubblico» quando commenta le polemiche sull’Opa lanciata dalla berlusconiana Mediaset alle torri di Rai Way. Ma non ammette gli errori del vecchio centrosinistra: «Perché non abbiamo fatto la legge sul conflitto d’interesse? C’era Berlusconi, ha governato per dieci anni». E la riforma del Lavoro? Per Bersani è un occasione persa per fare un’«operazione di decentramento e partecipazione alla tedesca». Spiega sul quotidiano della Conferenza episcopale: 

«Si deve leggere il contratto integrativo e di partecipazione fatto alla Ducati dai tedeschi. Cambia il rapporto di forza tra capitale e lavoro. [..] Senza l’articolo 18? Quando sui licenziamenti disciplinari scrivi testualmente “resta ferma l’estraneità di ogni valutazione sulla sproporzione del licenziamento” stai dicendo che in teoria un lavoratore può essere licenziato tanto se arriva 5 minuti in ritardo quanto se dà un pugno a un caporeparto. [..] Penso sia fuori dall’ordinamento costituzionale».

Sull’eccessivo uso della decretazione da parte del governo, da anni ormai una cattiva abitudine degli esecutivi italiani, Bersani ha aggiunto: «Ora stiamo battendo il record. La vera riforma è quella dei regolamenti».

E nell’intervista c’è spazio anche per la politica estera, con la minaccia dell’Isis:

«L’Europa deve rispondere? Non è solo questione di religione. La vera alternativa all’Is la avremo quando ci sarà un gruppo di forze arabe anti-Stato Islamico  che abbiano il peso di dire: ridiscutiamo i nostri assetti a prescindere dall’Occidente, che deve accompagnare questo processo senza la presunzione di dettare il compito. Meglio star zitti, allora, e stare all’erta».

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