Jobs Act, il nodo dei licenziamenti collettivi

Il nodo dei licenziamenti collettivi sarà risolto soltanto venerdì in Consiglio dei ministri. In attesa del vertice di governo che dovrà esaminare il decreto con le nuove norme sul contratto a tutele crescenti, non mancano le divisioni all’interno della maggioranza renziana. Se le commissioni del Lavoro delle due Camere si sono espresse (con parere non vincolante) affinché i licenziamenti collettivi vengano esclusi dal Jobs Act e dall’ambito di applicazione delle nuove regole (che limitano la possibilità di reintegro nel posto di lavoro, a vantaggio dell’indennizzo economico, ndr), dal fronte del Nuovo centrodestra continua il pressing affinché Renzi non ceda alla richiesta, passata grazie ai voti decisivi della minoranza Pd, con il concorso di Sel e M5S.

Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato
Maurizio Sacconi, presidente della commissione Lavoro del Senato

LICENZIAMENTI COLLETTIVI, SACCONI: “NON TENERE CONTO DEL PARERE DELLE COMMISSIONI” –

In particolare, è stato Maurizio Sacconi (Ncd) a chiedere che il premier disattenda il parere delle commissioni competenti:

«Ragionevole è applicare anche al licenziamento collettivo illegittimo il nuovo regime sanzionatorio perché si tratta sempre di licenziamenti che hanno carattere economico. Se venisse meno anche questa novità positiva il provvedimento perderebbe gran parte del suo contenuto innovativo che continuiamo a giudicare timido perché rinviato ad una giurisprudenza che si formerà tra una decina d’anni e i cui esiti sono particolarmente incerti nel caso del licenziamento disciplinare anche per la possibile combinazione tra legge e contratti collettivi», ha rivendicato il senatore di Area popolare.

Al contrario, dal Pd c’è chi insiste affinché Renzi tenga conto di quanto chiesto dalla commissione: «Vogliamo lanciare un appello costruttivo al governo: tenga conto delle osservazioni e delle condizioni che abbiamo posto su contratto a tutele crescenti e ammortizzatori sociali», hanno rilanciato i deputati dem Davide Baruffi, Antonio Boccuzzi e Marco Miccoli. «I licenziamenti collettivi nulla c’entrano col Jobs Act. Togliere il principio di proporzionalità nelle sanzioni disciplinari è obiettivamente irragionevole; se viene meno la reintegra, gli indennizzi per i lavoratori debbono essere adeguati».

CONTRATTI A TERMINE –

Nessun taglio ci sarà invece alla durata massima dei contratti a termine più flessibili, quelli senza causale. Come ha spiegato il Corriere della Sera, lo stesso ministro Giuliano Poletti nell’incontro con sindacati e associazioni degli imprenditori:«Il limite massimo di durata resterà a 36 mesi». In diverse occasioni l’esecutivo aveva evocato la possibilità che venisse ridotto da 36 a 24 mesi, come richiesto dalla sinistra dem, in modo da evitare che il contratto a termine faccia concorrenza a quello nuovo a tutele crescenti. Ma modificare una norma dopo appena un anno, secondo la maggioranza, rischiava di mostrare l’immagine di un Paese confuso e poco attraente per gli investitori.

Anche per questo, considerata la necessità di mediare con la minoranza Pd, la maggioranza potrebbe invece sottrarre i licenziamenti collettivi dalle nuove norme. «Il Consiglio dei ministri prenderà la sua decisione», ha spiegato Poletti, con prudenza.

Potrebbero esserci invece ritardi per il parere delle commissioni Bilancio sul decreto per la Naspi, l’assicurazione per l’impiego. Il rischio? Quello che scatti l’aumento delle accise o vengano ridotte le prestazioni per garantire le risorse.

JOBS ACT, APPREZZAMENTI DALL’OCSE

Intanto, apprezzamenti sul Jobs Act sono arrivati dall’Ocse, che ha promosso in particolare la norma che abolisce il reintegro per i licenziamenti. «Accrescendo la prevedibilità – si legge nel rapporto sull’Italia presentato oggi al ministero dell’Economia – tale norma riduce i costi reali dei licenziamenti, anche quando sono giudicati illegittimi dai tribunali e incoraggia le imprese a creare più posti di lavoro». La riforma è stata difesa dallo stesso ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, secondo cui produrrà «un beneficio gigantesco», con «più occupazione, ricchezza, e quindi più fiducia dei cittadini».  Critico, invece, Renato Brunetta:

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