Ecco la vita da reclusa della donna che pesava 15 chili

Dopo la morte di Laura Carla Lodola a Pavia gli investigatori cercano di comprendere come sia stato possibile che nel 2015 una donna sia morta letteralmente di stenti sotto gli occhi di una società a volte sin troppo disattenta a ciò che le accade intorno. Riporta il Corriere della Sera in un pezzo a firma Corvi

I medici, di fronte a quel corpo miracolosamente ancora in vita, erano disarmati: sotto la soglia dei 25 chili le funzioni vitali dovevano già essere cessate. Non potevano spostarla, tanta era la fragilità delle ossa, non era possibile neppure farle un’iniezione. Gli infermieri hanno cerato di alimentarla, le hanno tagliato i capelli che arrivavo ai piedi e le unghie, più lunghe della dita. Hanno cercato di curare le piaghe, ormai infette, di afferrare quel briciolo di vita che ancora resisteva.

E chiare sono le responsabilità del convivente, secondo il quale era la donna a non “volersi far curare”, ma che secondo le indagini, la faceva vivere da anni come una reclusa

Della vita di Laura non c’è traccia. A 22 anni comincia a frequentare Antonio, nove anni dopo iniziano a convivere in quella casa che diventerà la sua prigione. Aveva una sorella, con cui i rapporti erano interrotti da 15 anni, mentre il fratello è stato l’ultimo a vederla, tre anni fa: lei stava già male, faticava a reggersi in piedi, una sindrome depressiva degenerata

Forse perché la sua vita si era ridotta a questo

Il compagno finito il turno si chiudeva in casa con lei. Tapparelle abbassate, niente tv, niente cellulare. Cercava — dice — di farle bere un cucchiaio di minestra, un sorso di the, poi si stendeva su quel letto sudicio e maleodorante in cui l’esile corpo di lei giaceva in posizione fetale e dormiva.

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