Quirinale, Giorgio Napolitano si è dimesso. Si voterà dal 29 gennaio

QUIRINALE, NAPOLITANO SI È DIMESSO. FIRMATE LE DIMISSIONI – La bandiera al Quirinale è stata ammainata. A quasi nove anni di distanza dalla prima elezione, Giorgio Napolitano ha firmato le dimissioni e lasciato la carica di presidente della Repubblica. Già anticipato nel discorso di fine anno, il passo indietro è stato formalizzato in giornata, con la firma alle 10.35, nello studio della Vetrata, di un atto che ha chiuso l’era istituzionale più lunga del Colle. Con protagonista l’unico capo dello Stato rieletto per una secondo mandato nella storia della Repubblica.

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La lettera è stata poi consegnata dal segretario generale Donato Marra ai presidenti di Camera e Senato, così come al presidente del Consiglio Matteo Renzi. Secondo quanto previsto dalla Costituzione, è stata Laura Boldrini a convocare il Parlamento in seduta comune, che dovrà trovare un accordo per il successore al Colle. Il primo voto è già stato calendarizzato per il prossimo 29 gennaio, alle ore 15. In attesa dell’elezione, sarà la seconda carica dello Stato Pietro Grasso a svolgere le funzioni di supplente.

 

 

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Napolitano lascia il Quirinale dopo il picchetto d'onore
Napolitano lascia il Quirinale dopo il picchetto d’onore

NAPOLITANO, FIRMATE LE DIMISSIONI –  All’esterno del Quirinale una folla di giornalisti e cittadini ha atteso l’uscita dal palazzo presidenziale di Giorgio Napolitano.

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Napolitano si dimette: il saluto delle guardie e il picchetto d’onore

Poco prima delle 12, l’ormai ex capo dello Stato è stato omaggiato con il picchetto d’onore, la consegna di una copia dello stendardo presidenziale e l’ultimo commiato delle guardie.

NAPOLITANO, IL RITORNO NELLA CASA DEL QUARTIERE MONTI –  Accompagnato dalla moglie Clio Bittoni, Napolitano ha poi raggiunto la sua abitazione romana in via dei Serpenti, nel rione Monti, intorno alle ore 12.05. Ad attenderlo c’erano, oltre a giornalisti e cameraman, anche una cinquantina di cittadini che lo hanno salutato con un lungo applauso. Con Napolitano c’era anche la scorta che dovrà garantire la sicurezza del presidente emerito.

L'arrivo di Napolitano e Clio nell'abitazione di famiglia in via dei Serpenti nel quartiere Monti
L’arrivo di Napolitano e della moglie Clio nell’abitazione di famiglia in via dei Serpenti nel quartiere Monti

Ieri, nella caserma Alessandro di Sanfront, Napolitano aveva già salutato i corazzieri, ringraziandoli per il loro impegno «a beneficio della sicurezza del Paese». Rispondendo alla domanda di una bambina in piazza del Quirinale, nel corso della manifestazione della polizia di Stato, aveva confidato di essere «contento di tornare a casa». «Qui si sta bene, è tutto molto bello, ma è un po’ una prigione. A casa starò bene e passeggerò».

Con la firma delle dimissioni da capo dello Stato, Napolitano diventa adesso presidente emerito della Repubblica e senatore a vita. Per questo motivo avrà a disposizione un ufficio a Palazzo Giustiniani. Potrà inoltre partecipare alla scelta del suo successore, a partire dal prossimo 29 gennaio. A Napolitano è arrivato anche il saluto di Papa Francesco, che ha sottolineato «il suo generoso ed esemplare servizio alla Nazione italiana», svolto «con autorevolezza, fedeltà e instancabile dedizione al bene comune».

TOTO-QUIRINALE, LA CORSA PER LA SUCCESSIONE: DRAGHI SI AUTO-ESCLUDE – Da questo momento parte così ufficialmente la “corsa” per la successione al Colle, anche se le trattative in Transatlantico sono già iniziate da settimane. Una partita dalla quale sembra essersi auto-escluso il presidente della Bce, Mario Draghi: «Un grande onore essere preso in considerazione, ma non è il mio lavoro. Importante è il lavoro che sto svolgendo adesso:ne sono contento e continuerò a svolgerlo», ha precisato, intervistato dal quotidiano tedesco Die Zeit, lo stesso ex governatore di Bankitalia. Forse, la figura meno gradita al premier Matteo Renzi, dato che una sua eventuale elezione sarebbe interpretata come una sorta di commissariamento del suo esecutivo da parte di Bruxelles.

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NOMI IN CORSA E OBIETTIVO QUARTO SCRUTINIO – Al momento Renzi continua a fare pretattica, mostrandosi spavaldo ed evitando di partecipare al toto-nome. Anche per non bruciare potenziali candidature: «Ci faremo trovare pronti, il Parlamento ha imparato la lezione del 2013», è il mantra ripetuto da settimane da Palazzo Chigi, nel tentativo di allontanare l’ombra dei franchi tiratori ed esorcizzare il rischio di imboscate in Aula. Il premier è consapevole che sarà una partita decisiva per la legislatura. E come una paralisi parlamentare finirebbe per accelerare il ritorno alle urne. L’orizzonte? Il quarto scrutinio – probabilmente il primo febbraio – , quando il quorum sarà più basso e “basteranno” 505 voti per eleggere il successore di Napolitano. Lo ha ripetuto anche il vice-segretario dem, Debora Serracchiani: «Eleggeremo il prossimo presidente della Repubblica in tempi ragionevoli, alla quarta o alla quinta votazione. E il Pd ascolterà tutte le forze politiche». Eppure, la sinistra interna del Pd resta diffidente. Il timore – condiviso anche dai frondisti di Forza Italia e dalle opposizioni parlamentari – è che Renzi punti a eleggere al Colle un “garante” del Patto del Nazareno siglato con Berlusconi su riforme e legge elettorale. E lo stesso Salva-Cav (la norma inserita nel decreto fiscale e poi “congelata” dopo le polemiche sul possibile annullamento della condanna del Cav per frode fiscale e dell’incandidabilità dovuta agli effetti della legge Severino, ndr) è stato interpretato come un “segnale” mandato da Renzi in direzione Arcore. Con l’obiettivo di “ricattare” Berlusconi, vincolandolo al rispetto degli impegni sulle riforme istituzionali e sull’Italicum. Non è un caso che il premier vorrebbe incassare l’approvazione della legge elettorale al Senato e il via libera di Montecitorio sul superamento del bicameralismo entro il 26-27 gennaio. Ovvero, prima che si apra l’affaire del Colle. Non sarà semplice, considerata la resistenza delle opposizioni: Lega NordSel e M5S hanno chiesto la sospensione dei lavori parlamentari (su materie così rilevanti come quelle costituzionali e della legge elettorale, ndr) dopo la comunicazione delle dimissioni di Giorgio Napolitano.

Scontato, per via dei numeri in Parlamento, che sarà il Pd a proporre il candidato presidente. Non è però ancora chiaro se Renzi sceglierà di puntare per il Quirinale su una figura di grande autorevolezza (e dalla forte caratura internazionale), oppure su un nome che eviti di offuscare la sua figura. Di certo, al di là dell’ottimismo sbandierato, l’incubo renziano resta quello delle possibili trappole, nel segreto dell’urna, con protagonista un fronte trasversale in chiave anti-Nazareno. Pronto a far saltare l’intesa tra il premier e Silvio Berlusconi, già sancita sulle riforme.

IL QUIRINALE E LA “CORNICE” DEL PATTO DEL NAZARENO – Il motivo? Al di là delle smentite dei fedelissimi renziani e dei “pretoriani” del Cav, per l’elezione del nuovo presidente della Repubblica la “cornice” resterà quello del patto del Nazareno, allargata a Ncd e ai centristi della maggioranza. Nelle prime tre votazioni, quando servirà la maggioranza dei due terzi, è probabile che Renzi provi a mantenere nascosto il candidato, scegliendo per la “scheda bianca”. Saranno proprio gli scrutini iniziali i passaggi più complicati per il segretario dem. Quelli in cui le minoranze potrebbero decidere di coordinarsi in un fronte comune, magari avanzando la “carta” del Professore, Romano Prodi. Ovvero, il candidato più sgradito per il Cav, troppo ingombrante – secondo voci parlamentari – anche per Matteo Renzi.

L’OMBRA DI ROMANO PRODI – Per stoppare il rischio potenziale di una candidatura in ottica “anti-Nazareno”, a dicembre il premier ha già “sondato” il fondatore dell’Ulivo. Ufficialmente, Prodi non è in corsa per la poltrona del Colle, un sogno svanito dopo l’impallinamento subito dai franchi tiratori in quel “maledetto” 19 aprile 2013. Eppure, la sua ombra resta. Anche perché, se il suo nome fosse avanzato da minoranze e opposizioni nei primi tre scrutini e cominciasse ad acquisire consensi soprattutto in casa Pd, per Renzi sarebbe complicato proporre un’altra candidatura. Non è un caso che il premier e i suoi pontieri stiano cercando di compattare il partito. Alla ricerca di un candidato che possa almeno blindare la fedeltà dei bersaniani di “Area Riformista” (quella del capogruppo Speranza e di Cesare Damiano), la corrente più dialogante e meno oltranzista. “Dividi et impera“, resta il mantra renziano. Altrimenti, con le minoranze compatte, i rischi per i vertici dem sarebbero maggiori.

FORZA ITALIA, IL CAV E IL RISCHIO FRONDA SUL QUIRINALE – Allo stesso modo, anche Berlusconi sarà costretto alla “conta” interna, tra “lealisti” e potenziali “dissidenti”. Il “correntone” critico di Raffaele Fitto conta più di 40 eletti ed è pronto a “pesarsi” nella partita del Colle. Nel segreto dell’urna, il fronte dei “malpancisti” potrebbe anche crescere. Ma non solo. Anche tra i berlusconiani, c’è chi sarebbe pronto a rilanciare la “tesi Minzolini” (tra i più antirenziani in casa forzista, ndr). Ovvero, quella secondo cui proprio Romano Prodi – l’avversario storico del Cav – sarebbe il candidato più adatto alla “pacificazione” nazionale. Anche perché, si ragiona in casa azzurra, per Renzi non sarebbe certo una figura da poter “manovrare”. Di certo, garantire l’unità del partito – a rischio balcanizzazione – sarà un’impresa per Berlusconi. E allo stesso tempo una priorità, forse l’ultima occasione per continuare a rincorrere la grande ossessione dell’agibilità politica. E il sogno della ricandidatura.

VELTRONI, FASSINO, MATTARELLA E GLI ALTRI “QUIRINABILI” –  Rapporti di forza e numeri alla mano, Berlusconi non ha la possibilità, né la forza di porre veti. Per questo è pronto a dare il via libera a un “candidato del Pd“, pur di evitare di trovarsi al Colle un nome “ostile”. I potenziali “quirinabili”? Secondo voci in Transatlantico, tra i meno sgraditi per il leader di Forza Italia c’è Walter Veltroni, primo segretario democratico. Anche perché non manca chi ricorda i toni poco “aggressivi” dell’ex sindaco di Roma, nel corso della campagna elettorale per le politiche 2008, quando lo stesso Veltroni definì Berlusconi come il “principale esponente dello schieramento a noi avverso“. Non è l’unico nome in corsa. Nella “rosa” dem c’è chi rilancia anche la candidatura dell’ex segretario Ds e attuale sindaco di Torino Piero Fassino. Una carta già avanzata anche dal più “moderato” tra i leghisti, il sindaco di Verona Flavio Tosi, come potenziale successore al Colle. Nella cornice del patto del Nazareno un accordo potrebbe essere stretto anche nel nome del ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, così come su quello di Pierluigi Castagnetti, altro ex Dc. Tra i candidati potenziali resta anche il giudice costituzionale Sergio Mattarella, seppur con Berlusconi i rapporti non siano mai stati idilliaci. Sono comunque lontani gli anni ’90, quando l’allora ministro della Pubblica istruzione si dimise dal governo Andreotti con altri colleghi, per protesta contro l’approvazione della legge Mammì, considerata troppo “conciliante” verso la Fininvest di Berlusconi. 

Minori le quotazioni per un profilo “tecnico”, come quello del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Così come improbabile è il via libera di Forza Italia a Pietro Grasso. Ovvero, l’ex procuratore nazionale antimafia che, fino all’elezione del nuovo inquilino del Colle, assumerà le funzioni finora svolte da Napolitano.

Probabile, però, che il “cavallo” vincente sia ancora tenuto nascosto da Renzi. E che venga reso noto soltanto poche ora prima del voto del 29 gennaio, dopo che Renzi avrà cercato la “sintesi” all’interno del Pd. E magari incontrato Silvio Berlusconi.

ELEZIONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, ECCO LE REGOLE – Ma qual è il meccanismo che regolerà l’elezione del presidente della Repubblica? La Costituzione dedica al capo dello Stato otto articoli (parte II, Ordinamento della Repubblica, titolo II). All’articolo 83 si precisa come il Presidente della Repubblica è eletto dal Parlamento in seduta comune. Ovvero, dai componenti della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica. A questi si aggiungono i delegati eletti dai Consigli regionali. Ogni Consiglio regionale ne elegge tre, in modo che venga assicurata la rappresentanza delle minoranze. Soltanto la Valle d’Aosta ha un solo delegato. Al momento, quindi, il corpo elettorale è composto da 1009 votanti: 630 deputati, 315 senatori, sei senatori a vita (Carlo Azeglio Ciampi, Elena Cattaneo, Mario Monti, Renzo Piano e Carlo Rubbia, Giorgio Napolitano), 58 delegati regionali.

ELEZIONE PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, LE MAGGIORANZE RICHIESTE – L’elezione del presidente della Repubblica avviene a scrutinio segreto all’interno dell’aula della Camera dei deputati. Nella cabina elettorale i grandi elettori devono scrivere la loro preferenza (nome e cognome, oppure solo il cognome, oppure si può votare scheda bianca o nulla), poi la scheda viene depositata nell’urna. Per consuetudine nell’ordine votano prima i senatori, poi i deputati, infine i delegati regionali. Nei primi tre scrutini è necessaria la maggioranza di due terzi (673 voti) dei componenti dell’assemblea, dal quarto scrutinio basterà la maggioranza assoluta (50% più 1, 505 voti) degli stessi. Renzi e la sua maggioranza, allargata a Forza Italia, partono da un potenziale di oltre 700 elettori. Tradotto, per superare il passaggio decisivo della legislatura Renzi dovrà evitare che la fronda dei “franchi tiratori” superi quota 200. Altrimenti, anche la strategia della “quarta votazione” sarebbe a rischio.

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