I fondi di investimento, la piovra finanziaria del calcio moderno. Da Neymar a Lestienne

28/12/2014 di Giordano Giusti

Sareste disposti a veder appaltata la gestione della vostra squadra del cuore ad una holding finanziaria pur di vincere qualcosa? Per fare giusto tre nomi, è ciò che è successo ad Atletico Madrid, Porto e Siviglia: hanno tutte e tre alzato al cielo trofei negli ultimi anni e tutte e tre si sono affidate alle sapienti mani ma soprattutto al denaro dei fondi d’investimento. Messa così la risposta al quesito è scontata ma la situazione è molto più complicata di quanto possa sembrare e presta il fianco a scenari tutt’altro che rassicuranti: gli operatori finanziari che hanno messo gli occhi e il portafogli sul calcio mondiale lavorano indisturbati, senza regole né trasparenza, mettendo a serio rischio il sistema, la sua indipendenza e la sua regolarità.

(LaPresse - Spada)
(LaPresse – Spada)

Proprio per questi motivi è appena intervenuta la Fifa: il Comitato Esecutivo del massimo organo calcistico mondiale, presieduto da Joseph Blatter, ha infatti vietato il 22 dicembre scorso la Third-party ownership (Tpo), ossia i diritti economici delle terze parti. Nel dettaglio il divieto entrerà in vigore il 1° maggio 2015, gli accordi esistenti continueranno ad essere validi fino alla loro scadenza e nuovi accordi firmati tra il 1° gennaio e il 30 aprile 2015 saranno vincolati a un limite di tempo, massimo un anno. Sembrerebbe una rivoluzione; in realtà si chiude un’era e se ne apre un’altra.

QUANTO E COME – Il lavoro dei fondi d’investimento – in particolar modo della Doyen Sport, la holding più ricca e più in vista negli ultimi tempi, proprietaria dei diritti sportivi o dei diritti d’immagine dei vari Neymar, Falcao, Morata, Brahimi, Felipe Anderson, Mangala, Negredo, Kondogbia –  fino alla tagliola della Fifa si è sviluppato in tre fasi: acquisto di quote di calciatori delle giovanili in vista della futura rivendita, finanziamento per l’acquisto di nuovi calciatori e anche qui percentuale sulle prossime cessioni, rifinanziamento del club in difficoltà economiche. In alcuni casi il fondo presta denaro a interesse come una qualsiasi società finanziaria – è successo al club spagnolo dell’Elche. «Ora siamo in una quarta fase: le terze parti decidono di entrare direttamente in campo attraverso propri club, club che controllano direttamente o attraverso uomini di fiducia» – ci dice Pippo Russo, giornalista autore di Gol di rapina, Il lato oscuro del calcio globale (Clichy editore, 15 €) – «Il principio rimane sempre quello: creare un mercato che privilegi calciatori appartenenti a determinate scuderie e alimentare un gioco al rialzo sulle compravendite di alcuni calciatori e sugli ingaggi». Cedere e acquistare compulsivamente permette con un pizzico di astuzia di creare plusvalenze e sistemare i bilanci: basta dare una valutazione generosa alla percentuale del calciatore che viene acquistata per far schizzare la quotazione di tutto il cartellino. L’importante è non stare mai fermi: «Radamel Falcao è il calciatore simbolo dell’agire delle terze parti e dei fondi d’investimento che investono non solo in un calciatore ma sulla sua futura vendita. Questo implica che ci si debba continuamente spostare da un club all’altro: un calciatore fermo è un investimento morto. Ecco spiegato il motivo per cui Falcao cambia maglia ogni stagione, anche quando è infortunato». Il giro d’affari delle Tpo è goloso: si parla di cifre vicine ai 3 miliardi di euro l’anno, chi investe ha redditività pari a circa il 50%. Un’economia parallela.

MASCARDI E CO. – I fondi d’investimento sanno bene come muoversi e hanno nuovamente anticipato la farraginosa burocrazia pallonara: già nel 2008 la Fifa aveva cambiato i regolamenti sul tema, invano. All’epoca furono i club stessi ad istituire dei fondi di loro proprietà aggirando il divieto. La mossa di Blatter insomma «è tardiva ed inefficace. Arriva infatti in un momento in cui le holding avevano già cominciato a muoversi ben prima che il colonnello Blatter decidesse di mettere al bando le Tpo. Si sono mosse comprando club minori per farvi transitare determinati calciatori o gruppi di calciatori» afferma Russo. Gli esempi di questa nuova fase non mancano: Gustavo Mascardi, «uno dei boss del calcio mondiale, l’artefice in Italia del passaggio di Iturbe dalla Roma al Verona tramite il Porto, ha appena acquistato l’Alcobendas Sport, terza serie spagnola. E ancora: un gruppo brasiliano, J Sport, di recente ha comprato il Leixoes, seconda divisione portoghese; sempre in Portogallo c’è l’Estoril (il cui presidente è Tiago Ribeiro, ex numero 1 della holding specializzata in marketing sportivo Traffic Sport, ndr). A che scopo vengono acquistati questi club? Per far circolare e controllare calciatori».

Juan Manuel Iturbe (Alfredo Falcone - LaPresse)
Juan Manuel Iturbe (Alfredo Falcone – LaPresse)

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LE CRITICITA’ – Il discorso relativo alle Tpo può far gola al tifoso, desideroso di campioni e vittorie, ma genera un’infinità di problemi, non solo etici o morali: i club perdono sovranità appaltando la gestione della società alle terze parti di cui diventano schiavi, il fair play finanziario nato per evitare posizioni dominanti e stimolare l’auto-sostenibilità va a farsi benedire definitivamente. «Ne aggiungo due. C’è innanzitutto un problema di concorrenza. I calciatori controllati dalle terze parti e dai fondi d’investimento avranno sempre maggiori possibilità dei calciatori non tutelati: ciò si chiama distorsione della libera concorrenza fra i lavoratori» – chiarisce Pippo Russo – «Un altro aspetto oggettivo è la tutela dell’integrità della competizione. Quando c’è un attore in grado di gestire un esercito di calciatori sparsi in diversi campionati se non addirittura all’interno dello stesso torneo, controllare allenatori e attraverso la leva finanziaria dirigere gli stessi club, questo attore è oggettivamente in condizione di influenzare le partite. Non abbiamo prove che siano successe cose simili, ma qualora questo attore volesse influenzare interi campionati sarebbe benissimo nelle condizioni di farlo». A ciò si aggiunge il velo di foschia che circonda questi fondi le cui connessioni e i cui meccanismi risultano ambigui: solo dopo mesi di accurate ricerche la testata Bloomberg ha svelato i nomi degli investitori di Doyen Sport.

gol di rapina

A CASA NOSTRA – Fino a poco tempo fa l’Italia sembrava fuori dal discorso: il fenomeno delle Tpo nasce in Portogallo, vola in Sudamerica poi torna in Europa sponda Spagna e ora Francia. Le cose però ultimamente sono cambiate: nel suo libro Pippo Russo cita un incontro avvenuto nel luglio 2013 a Taormina a cui partecipano l’ad di Doyen Sport Nelio Lucas e l’establishment del calcio italiano rappresentato da Galliani, Preziosi, Lotito, Pulvirenti e Pablo Cosentino vicepresidente del Catania ed ex agente, colui che ha portato in Sicilia un numero indefinito di calciatori argentini: «Quel meeting ha avuto poi delle conseguenze nel maggio 2014 quando in un’intervista al Sole 24 ore Lucas annuncia di aver pronti 200 milioni di euro da investire nel calcio italiano, non soltanto in diritti di calciatori ma anche in altri asset non meglio precisati. Sui calciatori si è fin qui minimizzato: si è sorvolato sull’affare Genoa-Lestienne, calciatore in mano ad un fondo d’investimento arabo, e lo stesso sta avvenendo con la Sampdoria e l’argentino Joaquin Correa che pare sia stato acquistato attraverso un fondo e sia sotto il controllo del Manchester City. La situazione comincia ad essere allarmante e estremamente opaca: i fondi d’investimento sono già tra noi, lo sbarco è già avvenuto».

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