Giulio Base “Credo in Dio. E in Platini. Ma non nella politica attuale”

La rubrica #showmustgoal, un incontro con tifosi atipici e famosi, curata da Stefano Discreti (@StefanoDiscreti) esordisce con Giulio Base (@BaseGiulioBase), in questi giorni in diverse sale cinematografiche con “Mio papà”, la sua ultima fatica da regista, in sala dal 27 novembre.

Qual è il tema centrale del film e quale messaggio vorrebbe che arrivasse al pubblico attraverso la pellicola?

E’ un film sulla paternità acquisita. Il “Mio Papà’” del titolo si riferisce a un padre non di sangue né di anagrafe, ma del cuore.

C’è un aneddoto o un particolare ricordo del lungometraggio che vuole regalare ai lettori?

Si. C’era una scena in cui il bambino doveva entrare in acqua, era inverno, tremava, ma l’ha fatto: un vero professionista.

Attore e regista, nella sua lunga carriera artistica lei ha ricoperto entrambi i ruoli. Potendo scegliere, qual è il ruolo che più preferisce svolgere?

Fare l’attore mi diverte tantissimo (in inglese recitare si dice ‘to play’, cioè giocare, come anche in francese si dice ‘jouer’ – un grande gioco), anche se forse ho più talento come regista.

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Secondo lei si possono associare i 2 ruoli rispettivamente a quello di calciatore e di allenatore?

Qualcuno ha fatto sia il calciatore che l’allenatore insieme, e allora perché no?

Calcio e spettacolo, pur essendo due mondi a volte assai vicini, non si sposano facilmente. Le pellicole sul football al cinema, infatti non hanno quasi mai funzionato, salvo qualche rara eccezione. Si è fatto un’idea in merito?

Il calcio è uno spettacolo irripetibile e difficilmente riproducibile in un’altra forma di spettacolo. Ma prima o poi verrà fuori un film che diventerà un caso e parlerà solo di calcio. Speriamo sia io a farlo.

Tornando al calcio, quello vero, quello giocato, il suo amore calcistico verso la Juve è ben noto, ma quando e perché è diventato juventino?

Grazie a mio papà, per l’appunto. E non voglio fare solo pubblicità al film, è proprio così. Lui amava la Juve di Sivori e Charles e mi ha trasmesso l’amore per la mia prima Juve da sfegatato che era quella Zoff Gentile Cabrini Furino Morini Scirea Causio Tardelli Boninsegna Benetti Bettega.

La fede sportiva tramandata di padre in figlio, credo che per moltissimi di noi valga la stessa cosa.  Nella sua lunga carriera da tifoso, qual è stata la sua più grande gioia e quale invece la più grande delusione?

Parlando di calcio in genere e non solo di Juve, ero allo stadio a Berlino nella finale 2006, sono cose che non capitano spesso nella vita. Un’emozione unica.
La più grande delusione è l’Heysel, anche se abbiamo la coppa, quel sangue rimarrà per sempre.

Heysel

Trentanove morti. L’Heysel, un dolore immenso e senza dubbio alcuno, una delle pagine più tragiche della storia del calcio italiano e della Juventus. Doveva essere la serata della consacrazione per Platini, verrà ricordata per sempre per quelle drammatiche immagini.
All’interno del libro “Gli anni del Re”  (ed. Ultra Castelvecchi) c’è un suo prezioso contributo in cui racconta che allo sbarco di “Le Roi” alla Juventus ebbe la sensazione che il calcio si fosse fermato a Torino. Cosa pensa dei calciatori ‘miti’ di allora rispetto a quelli di oggi e quanto la loro figura può esser importante e d’esempio per gli adolescenti?

Sono cambiati i tempi e sono cambiati i modi di adorare un campione, ma la sostanza è quella. Io vedo i miei figli: amano e cercano di imitare Pogba, Tevez, Marchisio come facevo io con i campioni che ho citato prima.

A proposito di “Le Roi” riuscirà secondo lei il Platini ‘politico’ a debellare il problema del razzismo dal mondo del calcio?

Platini può tutto. O quasi.

Razzismo. Anni fa è stato brillante attore protagonista di “Teste rasate”, film molto duro e crudo, diretto da Claudio Fragasso, in cui interpretava un inquietante e violentissimo capo di estrema destra.
Riusciremo mai a cancellare l’odio tra fazioni, razze e religioni?

L’odio è insito nell’uomo, purtroppo. Da milioni di anni è così e in forme diverse, debellarlo sarà impossibile.

Com’è invece il suo rapporto con la fede?

Credo in Dio. Fermamente.

Che sentimento prova allora quando il suo lavoro da regista si sposa anche con argomenti di fede, come ad esempio per “Maria Goretti”,  nel “Don Matteo” interpretato da Terence Hill o nel “Padre Pio” impersonato da Michele Placido?

Un senso di orgoglio. Raccontare temi così importanti per me è un privilegio.

L’anno scorso, nel libro “Le regole di Base” (edito Add), ha pubblicato le ‘sue’ norme. Tra tutte quante quelle elencate, quali sono le 3 che proprio non sopporta che vengano eluse?

Lavatevi. Sognate. Abbracciate.

Da papà, quali consigli si sente di dare ai genitori di oggi, risucchiati nel vortice dell’attuale società che sembra crescere sempre più in fretta e senza i profondi valori di un tempo?

Di andare a vedere “Mio Papà” così da avere un esempio di padre modello (ride ndr)

A proposito di padri. Il tuo, artistico, è stato nobilissimo, Vittorio Gassman. Quanto è stato importante nella sua vita avere un maestro artistico come lui?

Enormemente. Ero un suo fan sfegatato, poi sono stato suo allievo, poi un suo attore, poi suo amico, poi l’ultimo regista che l’ha diretto in un film. Poi… mio figlio si chiama Vittorio.

L’ha diretto ne “La Bomba”, simpatica commedia ambientata in America. Che ricordi ha di quella pellicola?

Di un’idea stupenda di un film fatto ‘troppo presto’, prima che il pubblico italiano tornasse a fidarsi del cinema italiano.

Attualità. Quanto tempo in media passa in genere sui social network e che rapporto hai con loro?

Qualche ora a settimana. Mi piacciono, li uso, mi informo, mi ci diverto, ci lavoro.

Pur seguendola spesso sui social, non ricordo suoi post che parlano di politica. E’ un argomento di cui preferisce non parlare?

Preferisco parlare di cose belle. In questo momento la politica non lo è.

La domanda più difficile gliel’ho ovviamente riservata per la fine. In questo appassionante duello tra Roma e Juve che fa molto anni’80, chi vincerà lo scudetto?

Credo che vinceremo ancora noi, siamo la squadra migliore. Anche se non si può vincere sempre. Fino alla fine…

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