Stato-mafia, la verità di Napolitano: «Tememmo il golpe»

Si è concluso l’interrogatorio del Presidente della Repubblica da parte della Corte d’Assise di Palermo al Quirinale nell’ambito del processo sulla trattativa Stato-mafia. La deposizione era iniziata alle ore 10.40 ed è durata quindi circa tre ore. Il procuratore aggiunto Vittorio Teresi, il primo a porre domande al Presidente della Repubblica, ha ringraziato Napolitano visto che con le sue parole «ha dato un contributo importante alla verità». Il Quirinale ha auspicato infine che venga trascritta il prima possible la testimonianza di Napolitano così che possa essere diffusa agli organi di stampa. Napolitano ha detto di non aver mai conosciuto il generale Mori e il generale Subranni.

LA NOTA DEL QUIRINALE – Il Quirinale ha diramato una nota ufficiale relativa all’interrogatorio, riferendo come Napolitano, che «aveva dato la sua disponibilita’ a testimoniare, ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connessi alle sue prerogative costituzionali ne’ obiezioni riguardo alla stretta pertinenza ai capitoli di prova ammessi dalla Corte stessa». Il Quirinale auspica che «la Cancelleria della Corte assicuri al più presto la trascrizione della registrazione per l’acquisizione agli atti del processo, affinché sia possibile dare tempestivamente notizia agli organi di informazione e all’opinione pubblica delle domande rivolte al teste e delle risposte rese dal Capo dello Stato con la massima trasparenza e serenità».

NAPOLITANO PRONTO A RISPONDERE A TUTTO – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano nel corso della sua deposizione al processo per la trattativa Stato-mafia non si è sottratto a nessuna delle domande postegli dai Pm e dal difensore di Toto’ Riina, avvocato Luca Cianferoni. Anzi, in un paio di occasioni il capo dello Stato ha chiesto al presidente della Corte di Assise, Alfredo Montalto, di poter rispondere anche a domande del legale di Riina che la Corte non aveva ritenuto ammissibili. «Presidente, se lei permette voglio accontentare l’avvocato», ha detto Napolitano.  Ettore Barcellona, avvocato di parte civile, ha aggiunto: «quando si scantonava dal capitolato di prova, Napolitano ha ricordato che per dovere di riservatezza inerente alla sua figura di presidente della Repubblica non poteva entrare nel merito». Lo ha detto Ettore Barcellona, avvocato di parte civile.

MAI USATA LA PAROLA  «TRATTATIVA» – Un legale della difesa ha spiegato che il Presidente della Repubblica si è avvalso della facoltà di non rispondere ad alcune domande poste dalla Corte d’Assise di Palermo, in base alle prerogative del Capo dello Stato. Il legale ha poi aggiunto che il Presidente ha risposto ad altri quesiti e che la parola «trattativa» non è mai stata usata nel corso dell’interrogatorio. Napolitano ha anche risposto, sempre secondo la stessa fonte, ad alcune domande poste dal legale di Totò Riina.

IL TIMORE DI UN COLPO DI STATO DA PARTE DELLA MAFIA – L’avvocato del Comune di Palermo Giovanni Airo’ Farulla dopo la deposizione di Napolitano spiegò come i servizi segreti temessero un colpo di stato da parte della Mafia e come Napolitano, all’epoca Presidente della Camera, parlò di questo timore con l’allora Presidente del Senato Giovanni Spadolini: «Dopo gli attentati a Falcone e Borsellino, quando sono state interrotte le comunicazioni con Palazzo Chigi, i servizi segreti temevano il colpo di stato da parte della mafia perché, come ha detto il presidente Napolitano, i migliori colpi di stato cominciano con l’interruzione delle comunicazioni tra il centro e la periferia».Airò ha poi aggiunto che Napolitano «ha riferito come, al’epoca, non aveva mai saputo di accordi» tra apparati dello Stato e Cosa nostra per fermare le stragi. Napolitano, nel corso della deposizione, ha aggiunto sul tema: «Chi riveste un ruolo istituzionale non puo’ mostrare paura o farsi intimidire. Parisi -ex capo della Polizia, ndr- mi disse di continuare a fare la mia solita vita e quindi percepii che c’era un allerta ma non importante», ha detto Napolitano, e ha sottolineato che quando si reco’ in vacanza nell’isola di Stromboli in quella stessa estate del 1993, non fu più scortato dai Nocs.

SE D’AMBROSIO AVESSE SAPUTO, AVREBBE PARLATO AI GIUDICI – Napolitano nel corso della deposizione ha spiegato che Loris D’Ambrosio «viste le caratteristiche umane e professionali, avrebbe riferito all’autorità giudiziaria qualora ci fossero stati elementi di rilievo penale» circa accordi con la mafia. Secondo quanto riferisce l’avvocato Basilio Milio, difensore del generale Mario Mori. «Napolitano ha sottolineato di non avere nulla da aggiungere sulle ipotesi avanzate da D’Ambrosio. Escludo che il capo dello Stato si sia mai avvalso della facoltà di non rispondere. La sentenza di assoluzione in primo grado di Mario Mori, ha sviscerato a fondo la vicenda, e di fatto ha svuotato l’indagine sulla trattativa». Uno degli avvocati di Mario Mori ha poi aggiunto che Napolitano non ricorda di aver avuto copia e informazione della lettera dei detenuti inviata all’allora capo dello Stato Oscar Luigi Scalfaro. Il capo dello Stato avrenne poi detto ai giudici che D’Ambrosio non parlò con lui degli indicibili accordi a cui accennò invece nella lettera di dimissioni, del giugno 2012, poi respinte.

LE PAROLE DEL LEGALE DI NICOLA MANCINO – Nicoletta Piergentili, legale di Nicola Mancino, ha spiegato che nel corso dell’interrogatorio il Presidente Napolitano ha riferito di non essere stato mai «minimamente turbato» delle notizie su presunti attentati alla sua persona nel 1993. Questo «perché faceva parte del suo ruolo istituzionale». L’avvocato ha poi riportato le parole di Napolitano nel corso dell’interrogatorio su Loris D’Ambrosio: «eravamo una squadra di lavoro». Quanto alle parole del defunto consigliere di Napolitano, Loris D’Ambrosio, che aveva espresso al capo dello Stato il timore «di essere stato considerato l’utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi», l’avvocato di Mancino ha detto: «E’ emerso che questa ipotesi era solo un’ipotesi non suffragata da alcun elememtno oggettivo. Anche Napolitano era sensibile ai problemi di coordinamento nell’ambito delle indagini».

IL COMMENTO DEL LEGALE DI TOTÒ RIINA – Luca Cianferoni, legale di Totò Riina, ha aggiunto uscendo dal Quirinale che Napolitano, nel corso del suo interrogatorio «ha tenuto sostanzialmente a dire che lui era uno spettatore di questa vicenda». Inoltre Cianferoni ha spiegato che la Corte non ha ammesso la domanda a suo dire più importante, quella sul colloquio tra il Presidente Napolitano e l’ex Presidente Oscar Luigi Scalfaro quando pronunciò il famoso «non ci sto!»: «Questa domanda non ha trovato il diniego di Napolitano ma quello della Corte che non l’ha ammessa. Si vede che i tempi non sono maturi». Cianferoni lancia anche un’accusa precisa alle modalità dell’interrogatorio: «Napolitano ha consultato delle carte durante la deposizione: lui ha avuto modo di avere quelle carte che il 15 ottobre sono arrivate dai pm di Firenze e che a noi parti private hanno richiesto una certa attività. Questo un teste normale non puo’ farlo». Le accuse riguardano anche la Corte: «Napolitano è stato difeso dalla Corte. Percio’ la sua udienza e’ interessante al 51 per cento. Quattro o cinque volte la Corte non ha ammesso domande a Napolitano». Su D’Ambrosio, continua Cianferoni, «Napolitano ha difeso la memoria di Loris D’Ambrosio che d’altronde era una persona perbene. Quello che però è venuto fuori è che D’Ambrosio possa aver capito dopo che mentre lui lavorava in buona fede qualcuno a sua insaputa facesse questi accordi».

LE RIFLESSIONI DEI LEGALI DI DELL’UTRI E CIANCIMINO – Giuseppe Di Peri, avvocato di Marcello Dell’Utri, ha commentato la deposizione del Presidente della Repubblica ritenendo come le parole di Napolitano, sereno e più che disponibile «non siano utili come ritenevano i Pm. Come prevedevo, tanto che avevo chiesto la revoca della testimonianza». Ettore Barcellona, legale di parte civile, ha poi aggiunto: «Nessuno ha fatto a Napolitano una domanda specifica sull’esistenza di una trattativa” tra lo Stato e la mafia». Roberto D’Agostino, legale di Massimo Ciancimino, tornando sulla lettera di D’Ambrosio, ha spiegato che a suo dire «il presidente ha risposto a tutte le domande, solo in alcuni momenti, in particolare quando gli è stato chiesto della lettera di D’Ambrosio, lo ha fatto in modo laconico evidenziando i limiti dati dal suo diritto alla riservatezza nelle conversazioni con i suoi collaboratori».

I TEMI DELL’INTERROGATORIO – L’interrogatorio si è svolto nella sala del Bronzino, dove il Presidente della Repubblica ha rilasciato la sua testimonianza davanti a circa 40 persone rispondendo, come riportato dall’Ansa,  dei dubbi e delle preoccupazioni del suo consigliere, Loris D’Ambrosio, che temeva in una lettera scritta al Presidente nel 2012 «di essere stato considerato solo un ingenuo e inutile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi». Previste inoltre domande sull’allarme attentati lanciato dal Sismi nel 1993 contro lo stesso Napolitano e Giovanni Spadolini.

Stato-mafia: Il giorno dell'interrogatorio di Giorgio Napolitano
(Foto di Paolo Giandotti – Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

PARTECIPERANNO 40 PERSONE – All’udienza dovrebbero partecipare circa 40 persone: i giudici, la cancelliera, cinque Pubblici Ministeri, gli avvocati delle sette parti civili e dei dieci imputati non ammessi dalla Corte a partecipare direttamente o in videoconferenza alla testimonianza. La Presidenza della Repubblica ha chiuso ogni accesso alla stampa, che non potrà seguire l’udienza neanche a distanza. I giudici avevano dato il nulla osta alla presenza dei media, almeno in remoto. Il Quirinale, tuttavia, ha regolamentato l’accesso al palazzo. Vietati inoltre cellulari, tablet, pc e strumenti di registrazione. L’udienza verrà verbalizzata secondo le regole ordinarie. I verbali verranno mandati poi alla Corte e saranno disponibili per le parti nei giorni successivi, previa trascrizione.

 

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LE DOMANDE SU LORIS D’AMBROSIO – Il primo a porre domande al Presidente sarà il procuratore aggiunto Vittorio Teresi. La prima parte della deposizione, come anticipato, riguarderà i dubbi e le preoccupazioni espresse in una lettera inviata nel giugno 2012 al Presidente della Repubblica da Loris D’Ambrosio, consigliere giuridico di Napolitano, morto per un infarto un mese dopo aver spedito la missiva. D’Ambrosio nella lettera, diffusa dal Quirinale, evocava il timore di

essere stato considerato solo un ingenuo e inutile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi

tra 1989 e 1993, anno in cui l’ex consigliere era all’Alto commissariato per la lotta alla mafia e poi al ministero della Giustizia. Napolitano ha già fatto sapere in una lettera inviata alla Corte che sul caso D’Ambrosio non ha niente da dire.

L’ALLARME ATTENTATI DEL 1993 – A seguire toccherà al Pm Nino Di Matteo che cercherà di capire cosa è avvenuto nel 1993, a partire dall’allarme attentati a Giorgio Napolitano e Giovanni Spadolini lanciato dal Sismi il 29 luglio 1993. All’epoca il Presidente della Repubblica era presidente della Camera. A tal proposito le «riservate» dei Servizi sono state acquisite al processo. Il Pm vuole capire se Napolitano all’epoca sapesse qualcosa e se vennero davvero aumentate le misure di sicurezza nei suoi confronti. Probabilmente verrà chiesto al Presidente se fu informato della nota della Dia e di quella dello Sco che, nell’agosto del 1993, parlarono per la prima volta di un tentativo di destabilizzazione posto in essere da Cosa nostra per avviare una trattativa volta a stemperare il 41 bis.

NESSUNA NOTIZIA SUI TEMPI – Il Secolo XIX parla di una ventina di domande ma in realtà non è dato sapere con esattezza quali e quanti saranno i quesiti che proporranno i Pm al Presidente della Repubblica. Contestualmente, sembra impossibile poter definire la durata totale della deposizione. L’unica cosa che sembra certa è che i tempi saranno lunghi. Bisogna tenere infatti conto sia delle domande, della durata delle risposte, di eventuali opposizioni da parte dell’avvocatura dello Stato e del Presidente della Repubblica. Tuttavia l’ultima parola spetta al Presidente della Corte.

IL LEGALE DI RIINA INTERROGHERÀ NAPOLITANO? – Una volta concluso l’operato dei Pm, sarà la volta dei controesami dei legali. Toccherà tra gli altri al legale di Totò Riina. Il boss si è dichiarato «dispiaciuto» di non potere assistere dal carcere in cui è detenuto all’udienza in videoconferenza. Il legale ha chiesto ed ottenuto di potere interrogare Napolitano su un tema più ampio e relativo «a quanto accadde nel 1993 e nel 1994». Non è detto però che il difensore riesca a fare oltre al controesame l’esame. Il suo turno dovrebbe essere tra alcuni mesi. La Corte ha però ricordato nell’ultima udienza che l’esame del Presidente della Repubblica è subordinato alla sua disponibilità, ricordando che Napolitano potrebbe revocarla in qualsiasi momento.

«RIINA? UNA VITTIMA» – L’avvocato del boss, Luca Cianferoni, intervistato da Radio 2 sull’incontro tra i magistrati di Palermo ed il Presidente della Repubblica ha sostenuto che la trattativa c’è stata e che Riina è la vittima di quanto accaduto. Il legale non ha anticipato i contenuti delle sue domande ma certo sembra determinato: «possono essere una, nessuna o centomila. Non si sa quante domande farò, perché se la cosa prende una certa piega può durare anche cinque o sei ore». Cianferoni chiederà del progetto di attentato contro Napolitano e Spadolini e rivendica a modo suo la necessità di trasmettere in televisione l’interrogatorio: «non si capisce perché il popolo italiano non dovrebbe essere presente in una situazione come questa. In un paese civile la stampa deve esser presente in casi come questo». (Daniele Leone / LaPresse)

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