Jules Bianchi, Tom Pryce e gli appuntamenti col destino

Il mondo della Formula 1, e non solo, è in apprensione per la sorte di Jules Bianchi, il venticinquenne francese di origini milanesi pilota della Marussia e membro della Scuderia Ferrari, in lotta tra la vita e la morte dopo uno scontro con un mezzo di servizio nel corso del Gran Premio del Giappone.

Secondo le indiscrezioni provenienti dalla stampa nipponica, il ragazzo non sarebbe in grado di respirare da solo e la prognosi è tutt’ora riservata, per volere della famiglia. Per molti addetti ai lavori si tratta del primo grave incidente con rischi per la vita del pilota. Gli ultimi lutti in pista si ebbero infatti nel tragico weekend di Imola del 1994, quando morirono in 24 ore Roland Ratzenberger e Ayrton Senna. E le immagini della polizia giapponese che sequestrano la Marussia di Bianchi ed il mezzo di servizio impegnato a togliere la Sauber di Adrian Sutil riportano alla mente le brutte immagini di ormai 20 anni fa.

Alain Prost, campione del mondo e connazionale di Bianchi, ha parlato di un incidente non banale, avvenuto per colpa di un evento esterno. Non ci sono stati né malfunzionamenti nella Marussia del pilota francese, né urti con altri piloti. La macchina è uscita di strada a 203 chilometri orari a causa dell’acquaplaning in una delle curve più difficili di tutto il Mondiale di F1, la 7, chiamata Dunlop, impattando un mezzo di soccorso e rischiando di falciare gli otto commissari giapponesi impegnati a togliere la macchina di Adrian Sutil, che poteva rappresentare un pericolo.

Un evento esterno e del tutto imponderabile, quindi. Questo incidente ci riporta indietro nel tempo, per l’esattezza a Kyalami, il 5 marzo 1977, una gara funestata da un doppio lutto, quello del pilota Tom Pryce e del Marshall, commissario, Frederik Jansen van Vuuren. Alla fine del ventunesimo giro il compagno di squadra di Pryce, l’italiano Renzo Zorzi, si fermò sul manto erboso al lato del rettilineo dei box per un piccolo focolaio sulla sua Shadow a causa di un guasto al serbatoio. Due commissari attraversarono la pista con in mano degli estintori per spegnere l’incendio, con il pilota che aveva fatto in tempo ad allontanarsi.

La Safety Car non esisteva ancora e nel punto in cui si fermò Zorzi c’era un piccolo avvallamento che impediva la visuale ai piloti che sopraggiungevano. Mentre i due attraversarono arrivarono a bordo delle loro auto Hans Joachim Stuck, Jacques Laffite e Tom Pryce. Stuck evitò il primo commissario ma Pryce prese in pieno il secondo, Frederik Jansen Van Vuuren. Il ragazzo, 18 anni, colpito a 270 chilometri all’ora, morì sul colpo ed il suo corpo venne straziato dall’urto al punto da essere stato identificato ad esclusione.

Van Vuuren però aveva con sé un estintore da 18 chili. Questo finì sul casco di Pryce ed a causa della forza dell’urto, che ripetiamo avvenne a 270 chilometri orari, venne sparato in aria oltre le tribune danneggiando un’auto nel parcheggio retrostante. La forza dell’urto uccise probabilmente il gallese all’istante, mentre il casco venne violentemente danneggiato. La Shadow proseguì la sua corsa rallentando poco per volta fino ad uscire di strada alla curva Crowthorne. La macchina prima si appoggiò al guard rail sulla destra e dopo aver urtato un’uscita di emergenza tornò in pista colpendo la Ligier di Laffite. Le due macchine finirono sulle barriere in fondo alla via di curva.

Dopo Pryce morirono Ronnie Peterson, Gilles Villeneuve, Riccardo Paletti, Roland Ratzenberg e Ayrton Senna. Quella del gallese verrà però ricordata come una delle morti più assurde mai avvenute in Formula 1. Bianchi sta invece lottando per la vita e la speranza, nel cuore di molti, è che nonostante la violenza dell’impatto, possa riprendersi. La sicurezza nelle auto da corsa ha fatto passi da gigante ed oggi, come ha ricordato Alain Prost, il mondo della Formula Uno forse non è in grado di gestire un incidente così, nato dal caso e quindi imponderabile. Come quello che uccise Tom Pryce. (Nella foto di copertina Tom Pryce, photocredit Gettyimages)

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