Twitter, la nuova frontiera della pedofilia

La pedofilia sbarca su Twitter. L’Espresso in un’inchiesta a firma di Mauro Munafò va alla scoperta di un mondo sconosciuto per quanto esposto alla luce del sole, ovvero lo scambio di materiale pedopornografico su uno dei siti più famosi e frequentati del mondo. A partire da un account sospetto segnalato da un lettore.

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I MESSAGGI – Tutto parte da un profilo appartenente all’apparenza ad un bambino biondo di circa 8 anni di nome Michael. Un’immagine che nasconde in realtà un adulto che cerca materiale pedopornografico da scambiare su Twitter in modo quantomeno diretto:

«Ciao, hai qualche foto da scambiare?»

Tra i 270 milioni di utenti attivi nel social network amato da star e politici si trova quindi una rete di utenti il cui scopo è quello di scambiarsi foto e video di minori. Un network su cui, grazie al lavoro dell’Espresso che è riuscito a raccogliere centinaia di account, adesso è al lavoro la Polizia Postale diretta da Antonio Apruzzese.

LA RETE – Dal lavoro del settimanale è emerso che la ricerca dei pedofili su Twitter ricorda molto la fiaba di Pollicino. Briciola dopo briciola si arriva a destinazione:

Una volta trovato un account sospetto, basta andare a guardare chi segue e da chi è seguito per avere una più chiara immagine di quanto estesa sia la rete, composta dalle reciproche amicizie e dai retweet che gonfiano il volume del network. I membri di questa comunità tendono tutti a somigliarsi.

Come accaduto con Michael, gli utenti che affollano Twitter con questo genere di attività

si presenta spesso come un bambino, fornisce una descrizione di fantasia delle proprie abitudini citando scuole, videogiochi o gruppi musicali, mette una foto a volte ammiccante e altre molto esplicita e segue solo altri profili simili al suo. Tanti specificano sin dal proprio nickname di essere (o comunque di identificarsi) in dodicenni, quattordicenni e anche ragazzi più giovani. Una sorta di slogan pubblicitario per far capire, a chi ha orecchie per intendere, che tipo di materiale si può ottenere da quella persona. Un vero e proprio codice condiviso da chi conosce il giro.

Non esiste un unico codice di comportamento. Tutto dipende dalle caratteristiche degli utenti, tra i quali non sembra siano coinvolti italiani:

Ci sono persone che condividono con frequenza foto e video con immagini molto esplicite e c’è chi invece preferisce ritwettare gli altri o lasciare commenti, in genere in inglese, arabo o spagnolo. C’è anche chi dopo aver attivato il profilo e aver inserito alcune foto, rimane in silenzio ad aspettare e a guardare i contenuti degli altri. Almeno a un primo sguardo però, non sembrano coinvolti profili di chiara origine italiana, effetto forse della minore diffusione del social network nel nostro Paese.

NESSUN PUDORE – Molti degli utenti e dei contenuti sono visibili sia agli utenti sia su Google. Solo una parte dei criminali nasconde i suoi scatti e deve approvare personalmente i suoi “follower” prima che possano accedere a questi materiali. Molti anzi non sembrano per niente intimoriti dal tenore delle immagini che postano:

La scarsa preoccupazione per la segretezza è dimostrata anche dall’uso di immagini esplicite nella foto profilo e nella copertina (una grande immagine orizzontale usata sulle pagine personali di Twitter) e non è raro imbattersi in veri e propri hashtag usati dalla comunità dei pedofili per segnalarsi l’un l’altro i contenuti per loro di valore. L’hashtag non è altro che una parola chiave, preceduta dal simbolo del cancelletto (#), usata sul social network per identificare alcuni contenuti e renderli più facilmente ricercabili all’interno della rete. È possibile così cliccare su queste parole per raggiungere grandi quantità di contenuti illegali diligentemente catalogati da altri.

L’algoritmo di Twitter diventa poi complice della rete di pedofili in quanto è organizzato in modo tale da proporre utenti simili, allargando così la comunità on-line con persone che s’interessano a soggetti simili. Una forma di reclutamento a costo zero assolutamente efficace.

L’AIUTO DELL’ALGORITMO DI TWITTER – Iniziando a seguire alcuni di questi profili, infatti, sono gli stessi algoritmi di Twitter a “suggerire” all’utente di interessarsi anche ad altri soggetti simili, portando al paradosso di poter costruire in pochi clic una pagina che riceve in automatico gran parte di questi materiali e senza alcuno sforzo. Un effetto collaterale della funzione, in altre circostanze molto utile, che tutti i social network hanno introdotto per aiutare gli utenti a stringere amicizie o a coltivare i propri interessi. E che si attiva anche quando gli interessi sono devianti. Sorprende anche la scelta di Twitter, un social network più «pubblico» e nato per la condivisione dei contenuti.

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I PERCHÉ DI TWITTER – Elvira D’Amato, vicequestore aggiunto e responsabile del Centro nazionale per il contrasto della pedopornografia online (Cncpo), l’organo di Polizia che si occupa della prevenzione e del contrasto del fenomeno e coordina le indagini sul tema in Italia, spiega a questo proposito:

«il numero di segnalazioni di pedofili e pedopornografi attivi sui social network è direttamente proporzionale al loro successo.Queste persone hanno spesso un social network, un sito o una app preferite per scambiarsi materiale o adescare minori, ma nella gran parte dei casi usano più strumenti. Non è quindi impossibile ricevere segnalazioni di scambio di materiale pedopornografico anche su Twitter»

A segnalare questi scambi sono cittadini, istituzioni, associazioni di tutela del minore. Queste portano all’apertura di indagini o all’inibizione dei contenuti, anche grazie alla collaborazione internazionale tra le forze dell’ordine, i provider e i gestori dei social network.

L’INCHIESTA DEL 2012 – Nel 2012 un’inchiesta del giornale inglese «Sunday Mirror» aveva denunciato la presenza di centinaia di account usati per adescare minori o per scambiarsi foto e video. Continua L’Espresso:

L’eco di quell’indagine aveva portato a un’ondata di segnalazioni da parte degli utenti e a una caccia al pedofilo on line lanciata dal gruppo di hacker di Anonymous. Passata quella ondata però, le cronache delle azioni di contrasto alla pedofilia e alla pedopornografia on line hanno raramente interessato il social cinguettante, mentre si hanno molte più notizie dell’interessamento delle forze dell’ordine per altri lidi e, di recente, per il cosiddetto “deep Web”, la parte più nascosta della Rete.

In teoria le regole di utilizzo di Twitter dovrebbero bastare a bloccare lo scambio e le condivisioni di fotografie pedopornografiche. I termini di utilizzo della piattaforma di microblogging, quelli che ogni persona deve accettare per usarlo, sono naturalmente severi e vietano la violazione delle leggi locali e l’uso di immagini oscene come foto profilo. A tali regole si aggiunge una politica specifica per quanto riguarda le immagini che ritraggono minori:

«Non tolleriamo lo sfruttamento sessuale minorile su Twitter», si legge nel documento: «Quando veniamo a conoscenza di link a immagini o contenuti che promuovono lo sfruttamento sessuale minorile, tali contenuti verranno rimossi dal sito senza preavviso e segnalati al Centro nazionale per i bambini scomparsi e sfruttati e sospendiamo definitivamente gli account che promuovono o contengono aggiornamenti con link allo sfruttamento sessuale minorile».

LE NUOVE FRONTIERE – Tuttavia con 500 milioni di tweet al giorno può capitare che scappi qualcosa, che ci siano delle falle nel sistema. Continua l’Espresso:

E se è vero che gran parte della rete di account segnalati da “l’Espresso” è stata rimossa poche ore dopo la nostra denuncia presso la Polizia Postale, alcuni profili sono sopravvissuti e altri utenti sembrano essersi premurati di creare identità multiple proprio per affrontare situazioni simili. Oppure hanno messo in atto altre precauzioni. Tanti profili pedopornografici, forse preoccupati dal possibile allontanamento da Twitter, rimandano infatti con un link dalla propria breve biografia ad altri luoghi virtuali in cui conoscersi meglio e, probabilmente, scambiarsi materiale illecito lontano da occhi indiscreti.

Per altri luoghi virtuali s’intendono i nuovi sistemi di messaggistica istantanea come Kik, Snapchat, Whatsapp, considerati erroneamente più sicuri e meno rintracciabili dalle forze dell’ordine. Così i contatti nati su Twitter, usato quasi come una vetrina, si spostano verso altre piattaforme. Andando ad alimentare un traffico di immagini e video che diventa sempre più difficile contrastare.

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