Parla Scancarello: La mia vita distrutta dalla furia giustizialista

La storia di Rignano Flaminio e del “massacro” mediatico subito dagli imputati dell’ormai famoso per pedofilia che ha sconvolto la vita di un paese alle porte di Roma, rimarrà probabilmente nella storia di malagiustizia di questo paese.

La vita di alcuni persone fu letteralmente trascinata nel fango da parte di un pezzo di magistratura e dell’informazione italiana. Il tempo sta dimostrando che quelle accuse infamanti erano completamente inventate. Oggi Libero intervista uno di questi ex “mostri”, Giancarlo Scancarello.

E lei, Gianfranco Scancarello, chissà quante ne ha combattute in questi otto anni da presunto “orco”. Accuse di pedofilia, l’arresto, il carcere, processi mediatici e giudiziari, l’assoluzione. Il momento peggiore?

«Sera del 24 aprile 2007, cella di isolamento a Rebibbia. Sono appena stato arrestato. Buio, silenzio. Da fuori, improvvisamente, sento urlare il mio nome da più persone. Una, due volte. Insulti. Minacce. “A’ Scancare’, con la tua testa ce giocheremo a palla”. “Te veniamo ad acchiappa’ mostro de regazzini”. La mattina dopo – pum pum – vengo svegliato da strani rumori: sono i sassi e la terra lanciati dal campo di calcio contro la finestra a piano terra. E i miei vicini di isolamento, gente agli infettivi, urlano tra loro: “Sai che fine je faranno fare a questo?”. Ma non solo».
Cioè?

«Oltre alla preoccupazione per la mia incolumità ho avuto paura per i miei figli. Tra il 12 ottobre 2006 e il 24 aprile 2007 via Flaminia è stata tappezzata di minacce: “Morte ai pedofili”. Durante l’arresto mi hanno concesso di fare una telefonata: ho chiamato Marcello, allora 23enne, e gli ho detto di prendere le sorelle e portarle via di casa».

Scancarello torna sul giudizio dei magistrati che lo hanno assolto. In maniera piena. Partendo però dall’esatto contrario di quanto dovrebbe accadere in uno stato di diritto. Cioè dover dimostrare lui, la propria innocenza. L’ònere della prova che passa sulla testa dell’imputato.

Ti svegli una mattina, dei bambini ti accusano di essere un pedofilo e devi essere tu a dimostrare il contrario. Capisce? È come essere ucciso da un colpo di P38 alla testa. Ci hanno radiografato tutto: casa, conti in banca, internet, telefoni. E non hanno trovato nulla. Bastava questo, forse, per immaginare che dei genitori di mezza età non potessero diventare improvvisamente pedofili e mettere su una banda criminale con tanto di bidella e cingalese. Servivano otto anni per capirlo?».

Approfondiamo. Tre giorni fa sono stati depositati i motivi della sentenza di appello che ha confermato le assoluzioni. Si legge: “I minori furono influenzati dai genitori e gli stessi genitori intrecciarono le loro esperienze sino a determinare un inestricabile reticolo”.

«Già, un reticolo. Bastava scorrere le denunce e saltava fuori come si era arrivati alle accuse. Con condizionamenti a catena e i genitori riuniti che interrogavano i figli. Un contagio collettivo».

E poi. “L’accusa non ha trovato alcuna conferma, e pur tuttavia ha proseguito nell’iter giudiziario via via ridimensionandosi nelle imputazioni, negli imputati…”.

«“Tuttavia”. Ecco, in questa parola c’è tutto. Dovevano dimostrare a tutti i costi qualcosa. Il problema è il metodo. Se ho dei dati, li verifico e formulo un’ipotesi. Nel caso di Rignano invece si è partiti da una teoria e si è fatto qualsiasi cosa per cercare di dimostrarla».

Ancora. “…le dichiarazioni dei minori spesso sono incompatibili tra loro; talvolta sono prive d’intrinseca credibilità e coerenza, facendo riferimento a fatti inverosimili, che suscitano dubbi in ordine alla capacità dei piccoli di discernere tra fantasia e realtà”.

«Mi chiedo. Se i bimbi fossero stati davvero drogati e seviziati per un anno – come si diceva nelle accuse – quando ogni giorno alle 16 tornavano a casa, i loro genitori come facevano a non accorgersene?».

Un calvario che Scancarello ricorda tramite le violenze subite dalla moglie.

Ha subìto violenze fisiche o psicologiche?

«C’è stato un accanimento sul corpo di mia moglie: le hanno mappato i nei dei seni per verificare i racconti dei bambini. E ha subìto una visita ginecologica dopo che gli avvocati avevano detto di non farla. Cosa cercavano nell’utero di una donna in galera da 16 giorni? Qualcuno me lo deve spiegare».

Gianfranco, ultima domanda. Se un giorno incontrasse una delle mamme che l’hanno accusata cosa le direbbe?

«Una frase che prendo in prestito da mia moglie: “Dei figli bisogna occuparsi, non preoccuparsi”».

 

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