MH370 – Il volo dei misteri

23/07/2014 di John B

E’ innegabile che nella storia della navigazione aerea e navale abbondino misteri veri o presunti, principalmente dovuti al fatto che le immensità dei cieli e dei mari facilmente possono inghiottire qualsiasi cosa senza lasciare tracce e allora è la fantasia a colmare la curiosità e le domande di chi vorrebbe capire cosa è successo. Da anni, però, la scienza e la tecnologia hanno permesso di realizzare sistemi in grado di tracciare la posizione e di registrare gli eventi di qualsiasi mezzo navale e aereo ed è per questo che riesce difficile immaginare che un aereo di linea possa sparire nel nulla.

Foto: Rufus Cox/Getty Images
Foto: Rufus Cox/Getty Images

IL MISTERO DEL VOLO MH370 – Eppure, è quanto accaduto al volo MH370 della Malaysia Airlines, un modernissimo Boeing 777 infarcito della più avanzata strumentazione elettronica disponibile sul mercato civile: decollato da Kuala  Lumpur poco dopo la mezzanotte (ora locale),  con 239 persone a bordo tra passeggeri ed equipaggio, avrebbe dovuto atterrare nelle prime ore del mattino dell’8 marzo 2014 all’aeroporto di Bejing ma non è mai arrivato a destinazione, sparendo senza lasciare traccia. La sua rotta programmata passava attraverso il Vietnam e il Mar Cinese Meridionale. Nei primi giorni e settimane dopo la scomparsa, le ricerche sono state piuttosto confuse e funestate da segnalazioni che si sono rivelate del tutto sbagliate. A determinare gli errori sono stati alcune immagini satellitari di rottami e la ricezione di segnali radio che apparivano compatibili con quelli delle scatole nere, circostanze che hanno portato a ampie ma infruttuose ricerche sia al largo dell’Australia che nel Mar Cinese. Man mano che si rendevano disponibili i dati forniti dai vari sistemi radar e di comunicazione che coprivano le aree sorvolate dal velivolo, si è compreso che bisognava cercare altrove.

IL TRANSPONDER SPENTO – Nel frattempo però, assieme alle informazioni qualificate e verificate, le testate giornalistiche diffondevano anche una serie di notizie del tutto errate, come quella secondo cui il velivolo avrebbe continuato a trasmettere dati relativi al funzionamento dell’apparato motore per almeno quattro ore dopo il suo ultimo rilevamento ufficiale, lasciando intendere che l’aereo aveva raggiunto chissà quale misteriosa destinazione distante migliaia di chilometri dalla rotta prevista. In realtà i dati accertati sono pochi ma molto significativi. Quando l’aereo si trovava a circa metà percorso tra la Malesia e il Vietnam, sulle acque del Golfo della Tailandia, tre quarti d’ora dopo il decollo, ha effettuato un cambio di rotta abbandonando il suo percorso programmato e dirigendo verso Ovest. Quindi ha spento il transponder. Il transponder è una specie di ripetitore radio montato su tutti gli aerei che consente ai radar di stabilire con precisione la posizione e l’identità di un velivolo. Quando il transponder viene spento (e solo i piloti possono farlo) l’aereo sparisce dagli schermi dei radar ma può ancora essere rilevato se si trova in un’area coperta dai radar civili e militari. Anche con il transponder spento, infatti, il corpo metallico dell’aereo riflette le onde radar da cui è colpito e questo segnale riflesso (che in gergo tecnico si chiama “primario”) può essere ricevuto, rilevato e analizzato (questa procedura è normale nei sistemi militari, in quanto è verosimile che un velivolo ostile si guarderebbe bene dal manifestare la sua presenza con il transponder).

L’AEREO È PRECIPITATO. MA DOVE? – Dai segnali primari del volo MH370 si evince che i piloti, dopo aver spento il transponder, sono saliti di quota, ben al di sopra di quella prefissata, per poi scendere velocemente. E’ verosimile che siano scesi quanto basta per sparire anche dai radar primari, perché più aumenta la distanza tra il bersaglio e il radar, più aumenta la quota minima alla quale il radar può riuscire a vederlo, a causa della curvatura della superficie terrestre. Da quel momento in poi, gli unici dati sicuri a disposizione riguardano le comunicazioni via satellite che il computer di bordo dell’aereo ha effettuato automaticamente con una stazione ricevente a terra. Da questi dati si evince che effettivamente l’aereo ha continuato a volare per oltre sette ore dopo il decollo. A quel punto, secondo i calcoli degli esperti, ha esaurito le riserve di carburante e ciò spiega la ragione per cui non ci sono stati ulteriori contatti automatici.  Non v’è dubbio quindi che l’aereo si sia schiantato da qualche parte. Ma dove? I contatti via satellite non riportano la posizione del velivolo, tuttavia in base alle caratteristiche tecniche degli apparati satellitari e della loro copertura, gli esperti hanno stimato una rotta e secondo questa stima, accreditata anche dalle autorità australiane, l’aereo dopo l’ultimo contatto sul Golfo della Thailandia avrebbe puntato verso Sud, grosso modo in direzione dell’Australia, e si sarebbe inabissato in qualche punto a circa 2000 km a Ovest di Perth, in pieno Oceano Indiano.

I SOSPETTI SUL PILOTA – E’ in quell’area che ora si stanno concentrando le ricerche. Non c’è dubbio, in ogni caso, che alla base della tragedia c’è stato un cambio di rotta intenzionale, per cui le due sole possibili spiegazioni sono che il velivolo sia stato dirottato o che sia stato portato al disastro dai suoi stessi piloti. E in effetti i sospetti delle autorità malesi si appuntano proprio sul pilota, il capitano Zaharie Shah. Nella sua abitazione gli investigatori hanno trovato un simulatore di volo e hanno verificato che l’uomo si era addestrato a volare in direzione sud e ad atterrare su un isolotto di fantasia in pieno Oceano Indiano.  Inoltre hanno scoperto che Zaharie Shah non aveva preso alcun appuntamento o impegno sociale dopo l’8 marzo. E’ possibile che l’uomo abbia tentato di raggiungere qualche isola al largo dell’Australia o che abbia deciso di suicidarsi portando con sì tutti i passeggeri e l’equipaggio? Non sarebbe la prima volta che succede (uno dei casi più noti è quello del volo Egypt Air 990). Solo il recupero della scatola nera potrà dare le risposte a tali quesiti e si tratta di risposte necessarie sia ai fini della sicurezza del trasporto aereo in generale, sia per dare conto alle famiglie delle vittime, sia per perseguire le responsabilità connesse a un’eventuale azione di natura terroristica, che al momento non può essere esclusa.

IL COMPLOTTO È SERVITO – Nel frattempo fioccano le teorie complottiste. Un 10% circa di americani pensa che il velivolo sia stato prelevato dagli alieni (c’è da augurarsi che buona parte di essi si sia burlata dell’intervistatore…) , poi c’è chi sostiene che l’aereo sarebbe stato dirottato dagli israeliani intenzionati a mettere a segno un finto attentato terroristico come quelli dell’11 settembre, chi parla di abbattimento, chi di dirottamento elettronico a distanza, c’è perfino chi ha chiamato in causa l’HAARP (il sito di ricerca americano in Alaska) e ovviamente non poteva mancare la CIA. Forse qualche giornalista italiano che ha rimestato a lungo nei misteri veri o presunti della tragedia di Ustica potrebbe approfittarne per una trasferta in Malesia, sicuramente avrebbe materiale per scrivere per non meno di un decennio…

(Photocredit copertina: ASIT KUMAR/AFP/Getty Images)

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