La generazione televisiva, quella che attacca senza conoscere

Certi giovani fanno perdere la calma. Perché da un giovane non te lo aspetti.

Ti aspetti coraggio, veemenza, entusiasmo. Passi anche la faccia tosta, se c’è la convinzione, se c’è la passione. Questo sì.
Perché è il bello e la forza dell’essere giovani. Perché le giovani generazioni si sono contraddistinte negli ultimi 50 anni proprio per questo e per l’indipendenza di pensiero che è stata il motore del cambiamento, di storiche riforme. Per la ribellione, la voglia di capire, di sapere e di non appiattirsi, che li ha resi acerrimi nemici del conformismo, che li ha fatti fuggire all’estero, in reazione alla stagnazione del pensiero nell’ultimo ventennio, all’imbarbarimento dei costumi, all’impoverimento culturale di cui sono stati spettatori.

Non ti aspetti invece un atteggiamento così chiuso né un linguaggio così serrato né un pensiero già sentito, un riassunto delle puntate precedenti. Come nell’intervento di Elisa Serafini, 26 anni, durante la puntata del nuovo approfondimento Announo, condotto da Giulia Innocenzi sul canale “La 7” e andata in onda lo scorso giovedì 5 giugno. In quei pochi secondi di discorso, tramutatosi in poco tempo in invettiva verso Marco Travaglio, si è palesato cosa voglia dire essere una generazione “televisiva”, dove per “televisiva” intendo cresciuta a pane e televisione, che ripete frasi fatte, preconfezionate, senza una conoscenza della materia.

Ecco i secondi cui faccio riferimento.

La ragazza, rivolgendosi a Travaglio: “Lei vive di antagonismo da troppi anni” “Non si può essere così disfattisti” “Ma lei vive solo di critiche?!”
Il tono saccente e incalzante fa scaldare il giornalista, che arriva a rispondere: “Hai idea di cosa sia un giornalista?” “Secondo te il giornalista è uno che lecca il culo ai politici?” “Io racconto quello che succede”.
Si difende nervoso e poi si scusa per il tono ma non rinnega il contenuto di quanto appena detto (ecco il video):
“Mi faceva cadere le braccia sentire in bocca a te degli argomenti stravecchi” “quelli di chi chiede ai giornalisti di dare le favole della buona notte, di raccontare che va tutto bene, che non dobbiamo preoccuparci” “vorrei stimolare uno spirito critico nella gente…”

Non mi interessa difendere Travaglio, né spiegare meglio le sue ragioni.
Nulla mi rattrista come questa gioventù, quando è così superficiale.
Si può discutere, anzi, è bello discutere, ma bisogna essere preparati sulla materia, aver metabolizzato e saper argomentare, come si faceva a scuola. Essere più umili e più educati. Non azzannare dalla prima battuta, senza un pensiero alla base che sia l’evidenza di un sapere.
Altrimenti si scade nella provocazione che mette a dura prova anche il più saldo sistema nervoso.

Quanto al ruolo del giornalista, non posso che concordare con Travaglio.
Seppur sia difficile oggi mantenere un’integrità professionale e un’autonomia di pensiero, la serietà e la rettitudine del giornalista sono un patrimonio che va difeso come una specie in via di estinzione. Si può dissentire, si può avere un’idea diversa dal pensiero prevalente, senza per forza dover essere tacciati di incoscienza, di faziosità, di “filogrillìsmo” o additati come portatori di iella.

Ammetto. La avrei persa anche io la calma.
Il potere va controllato, prima che servito. I giovani, soprattutto i giovani, questo non dovrebbero scordarselo mai.

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