La Nigeria di Boko Haram vista dai nigeriani

15/05/2014 di Redazione

Economia devastata. Donne costrette ad impegnarsi in prima persona per la sicurezza dei villaggi. Famiglie timorose di intervenire nel caso di attacchi ai vicini. Crescente sfiducia nei confronti delle forze dell’ordine. Sono alcune delle drammatiche emergenze e toccanti storie raccontate in Nigeria e raccolte nell’ambito del Testimonial Archive Project, un archivio online che intende narrare il costo umano della violenza nel paese africano rispreso dal sito d’informazione Buzzfeed. Le testimonianze elencate sono spesso direttamente legate all’ondata di violenze di cui è responsabile l’organizzazione islamica Boko Haram, i terroristi che tengono sottoscacco il paese e che lo scorso 14 aprile hanno sequestrato oltre 200 studentesse in un dormitorio di Chibok, e presentano una Nigeria che in cui l’imperante povertà e disperazione si alterna alla paura di brutali attentati.

 

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FUGA DAI VILLAGGI Ahmed, un giovane di Maiduguri, città nel nord est della Nigeria, che ha perso due fratelli, racconta di uccisioni che vanno oltre il fanatismo religioso e che spesso avvengono senza un particolare pretesto. «Non possiamo sapere cosa sta esattamente accadendo nella mia zona», dice. «Ognuno è stato attaccato. Non c’è una discriminazione – prosegue – contro la religione, il sesso, o qualsiasi altra cosa. Hanno appena attaccato a caso». «Precedentemente il Nord era un posto tranquillo, ma questa cosa (Boko Haram, nda) ha colpito la nostra comunità drasticamente. La maggior parte del popolo di Borno è impegnato nel commercio o in piccole attività, la maggior parte di loro sono stati uccisio si sono trasferiti. La maggir parte di noi non è più a Borno», racconta invece Amina, una infermiera fuggita da Maiduguri. «Preghiamo Dio per ritornare nel nostro Stato», dice parlando delle difficoltà dei più poveri.

 

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TERRITORIO INDIFESO – Stesso leit motiv nelle parole di Hamid, altro abitante di Maiduguri, che spiega di recarsi dagli agricoltori fuori città per fornirsi di alimenti: «Affrontiamo gravi difficoltà nelle nostre attività commerciali, gli acquisti sono scesi. La gente in città e nei villaggi dipende solo da se stessa». Yusuf, intanto, un giovane attivista della stessa città, racconta di essersi adoperato per creare strutture di vigilanza contro gli attacchi. «I giovani – afferma – sono sotto pressione, penso che non hanno altra alternativa che unirsi (a Borno, nda) per cercare modi di rimanere in sicurezza». «Controllano l’afflusso di persone e guardano negli angoli dei loro quartieri per garantire che non ci siano minacce», dice Yusuf. I giovani, insomma, controllano il territorio segnalando comportamenti sospetti che probabilmente nemmeno le forze di sicurezza avrebbero segnalato. Allo scopo di ottenere più sicurezza contribuirebbero al lavoro dello scambio di informazioni anche le donne.

 

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POLIZIA INEFFICACE – Tentativi di difesa che spesso però fallisconi. Come quello raccontato da Hussaina. Lo scorso febbraio una donna ha perso sei figli nell’incendio della sua casa. Ha visto i suoi ragazzi bruciati e che non ha mai sentito il governo nè attenuto alcuna forma di sostegno o risarcimento. Lo scontro nel nord est della Nigeria tra musulmani e crisitani, questo è il senso della storia e di altre storia di abitazioni demolite nelle rivolte, ha generato l’assenza di ogni forma di istituzione e la mancanza di fiducia nelle forze di sicurezza. Troppi di loro hanno perso la vita e, se si chiede il loro intervento, spesso non si fanno vedere. C’è chi accusa che il governo è coinvolto nelle violenze e che nessuno possa o sappia informare correttamente di cosa stesse accadendo. «Tutti qui non dormiamo con emtrambi gli occhi chiusi», dice Halima, abitante dello stato di Adamawa, la cui casa è stata devastata. «Dormiamo con un occhio aperto e tutta la comunità è preoccupata», continua. «Nessuno verrà fuori e vi aiuterà, non importa quello che fai. Se urli è inutile. Se chiami la polizia, non viene. Nel momento in cui viene le persone (i ladri, nda) se ne sono già andate». È la diretta conseguenza della paura: «Anche se fosse successo qualcosa al mio vicino – dice Halima – non sarei andata. Avrei anche paura di chiamare la polizia, perché, prima di tutto, non sappiamo se sono quelli che ti stanno derubando». «Vivo nel mio quartiere da 35 anni. Non era mai successo niente di simile».

(Foto di Maiduguri da archivio LaPresse)

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