Amedeo Matacena: «Mai pensato di andare in Libano»

13/05/2014 di Alberto Sofia

Da mesi Amedeo Matacena è latitante a Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, dove non esiste l’estradizione. Condannato in via definitiva a 5 anni di reclusione per concorso esterno in associazione mafiosa, ma fuggito dal nostro Paese nel giugno 2013. Intervistato da «Piazza Pulita» via Skype, in merito all’inchiesta «Breakfast» che ha portato in carcere sette persone, compresi la moglie Chiara Rizzo e l’ex ministro Claudio Scajola (accusato di aver favorito la sua latitanza), l’ex parlamentare di Forza Italia si è difeso dalle accuse a suo carico. Tanto da considerarsi una sorta di “perseguitato politico”, per aver militato nel centrodestra: «Di sicuro io non sono in torto. Hanno cominciato ad indagarmi nel 1988 e non hanno più smesso, ma la legge non può essere interpretata per gli amici e applicata per i nemici». Ma non solo: l’imprenditore reggino ha smentito di aver intenzione di trasferirsi in Libano, come hanno invece ricostruito le carte dell’inchiesta.  Oltre a spiegare di aver pensato al suicidio: «Se non ci fossero stati i figli, forse l’avrei fatta finita», ha spiegato.


Videocredit: Corriere.it

L’INTERVISTA DI AMEDEO MATACENA A «PIAZZA PULITA» – Berlusconi aveva affermato di non ricordarsi di lui, temendo contraccolpi per il proprio partito, già crollato nei sondaggi al terzo posto, dietro al MoVimento 5 Stelle. Eppure Amedeo Matacena è stato parlamentare di Forza Italia per sette anni, prima di essere escluso dalle liste per le politiche del 2001. E alla sua appartenenza alle file berlusconiane ha legato i suoi problemi giudiziari: «Basta fare il conto di quanti parlamentari del centrodestra sono stati colpiti dalla magistratura rispetto a quelli del centrosinistra per capire la sperequazione a favore del centrodestra», si è difeso il latitante. La moglie, Chiara Rizzo, è stata interrogata dalle autorità francesi, per poi essere trasferita nel carcere di Marsiglia, in attesa dell’udienza per l’estradizione. Prevista per mercoledì. Matacena ha difeso la consorte: «Non è stata arrestata, è andata spontaneamente. Io le avevo suggerito di non farlo, di aspettare che gli avvocati leggessero bene le carte. Ma lei voleva chiarire subito ed è andata davanti ai giudici», ha spiegato Matacena.

«NON VOLEVO ANDARE IN LIBANO» –  Sull’intenzione di trasferirsi in Libano – dove è fuggito e poi stato arrestato anche Marcello Dell’Utri, ndr – , Matacena ha negato tutto. Spiegando i motivi per i quali, in base alla sua versione, lo spostamento sarebbe stato controproducente: «Io non ci ho mai pensato. In quel Paese esiste un accordo di estradizione con l’Italia che mi avrebbe messo in una condizione di rischio maggiore». In realtà, dalle indagini, questo scenario era già stato ribaltato. Come si leggeva nell’ordinanza del Tribunale di Reggio Calabria, «la necessità del Matacena di trasferirsi dal territorio degli Emirati Arabi era generata dal timore che il 20 febbraio 2014 fosse emessa la sentenza del procedimento pendente a Dubai, cui sarebbe potuta conseguire l’espulsione da quel paese, con il rischio di essere tratto in arresto e trasferito in Italia per scontare la pena». Nel corso dell’intervista con «Piazza Pulita», Matacena ha spiegato di «avere fiducia nella realtà giuridica»  vigente a Dubai e negli Emirati Arabi Uniti. «Lavoro, a differenza di quello che lei possa pensare. Ho sempre lavorato e a Dubai faccio il maître in un albergo», ha continuato, rivolto alla giornalista.

«NON CONOSCO GEMAYEL E SPEZIALI» – Ha poi negato di conoscere l’ex presidente libanese Amin Gemayel (considerato il personaggio che avrebbe dovuto  garantire la latitanza dell’imprenditore calabrese), così come Vincenzo Speziali (anche lui indagato e individuato da Scajola come intermediario). «Dell’Utri lo conosco, in quanto mio ex collega, ma non lo sento da anni. Delle altre persone non ho mai sentito parlare». Sui contatti tra la moglie e Scajola, ha aggiunto di essere «legato da una profonda amicizia» con l’ex ministro dell’Interno. Intanto, entrambi sono finiti in manette: «Spero che risolveranno in modo veloce le cose», ha replicato. Per poi definire la sua condanna una «sentenza politica». Anche l’ex collega Dell’Utri è stato condannato per il suo stesso reato, concorso esterno in associazione mafiosa. «Questo tipo di reato è applicabile a chiunque, è come l’elastico: lo estendi quanto vuoi», ha continuato a difendersi. Ma intanto rimane a Dubai latitante: «Mia moglie è riuscita negli ultimi giorni a strapparmi la promessa di tornare in Italia, qualora il ricorso straordinario in Cassazione e quello in Corte europea non dovessero andare bene», ha concluso.

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