Il riconoscimento facciale seppellirà l’anonimato?

La diffusione della tecnologia di riconoscimento facciale segnerà la fine dell’anonimato di tutti noi? La domanda non è banale e interessa parecchie aziende e ricercatori di tutto il mondo, attenti al crescente utilizzo e alle possibilità di impiego dei dati biometrici degli individui allo scopo risalire alla loro identità. Della questione si occupa in questi giorni anche il quotidiano britannico The Independent, che, in un articolo a firma di Kyle Chayka, comparso anche su Newsweek, racconta il progresso fino ad oggi raggiunto e i rischi per il futuro.

 

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L’UTILIZZO – Il giornale inglese ricorda innanzitutto che dal 2008 al 2010, come ha rivelato l’ex tecnico informatico della Cia Edward Snowden, la National Security Agency (Nsa) ha collaborato con la sede centrale per di comunicazione del governo britannico (Cghq) per intercettare le immagini di 1,8 milioni di utenti di Yahoo nel tentativo di individuare presunti terroristi e difendersi meglio da potenziali minacce, e precisa come il settore viva oggi una fase fondamentale di sviluppo. Negli ultimi dieci anni – spiega The Independent – il riconoscimento facciale ha rappresentato un mercato in rapida crescita, trasformandosi in una tecnologia diffusa in campo militare o governativo ad applicazione utilizzata nella vita di tutti i giorni.

I RISCHI – Essa è stata lanciata come soluzione per garantire sicurezza a tutti i cittadini (si pensi, ad esempio, alla possibilità di effettuare il check-in in aeroporto senza mai dover tirare fuori il passaporto e lasciandosi semplicemente inquadrare da una telecamera ), ma non mancano certamente i punti oscuri legati soprattutto ad un utilizzo eccessivo della stessa tecnologia. Il governo americano è in procinto di realizzare la più grande banca dati al mondo dei dati per il riconoscimento facciale, la quale potenzialmente rappresenta il via libera verso l’identificazione frequente delle persone in strada, al supermercato o in un centro commerciale. Uno scenario che molti ritengono preoccupante.

LA TECNOLOGIA – Ma come funziona la tecnologia? Le componenti sono soprattutto due: un algortimo che individua i punti del volto da tenere in considerazione per il riconoscimento, come la distanza tra gli occhi, e un database che conserva le informazioni. La mappatura della faccia rappresenta, dunque, una sorta di impronta digitale riconoscibile a determinati dispositivi (telecamere) che un giorno forse non troppo remoto potremmo trovarci di fronte più volte nell’arco della stessa giornata. Le persone, insomma, potranno essere lette come un libro aperto, a colpo d’occhio.

LO SVILUPPO – Kevin Haskins, business manager presso l’azienda Cognitec, sostiene che già oggi la tecnologia è in grado di riconoscere un profilo demografico delle persone, ovvero la loro etnia, grazie a dati come la distanza tra le orecchie, sugli occhi e sul naso, e sostiene altresì che il software della sua azienda vanta un tasso del 98,75% nella capacità di riconoscere le persone, con un tasso di crescita di oltre il 10% negli ultimi diecin anni. Facebook, che pure utilizza, ma non in Europa, la stessa tecnologia, stima invece al 97,25% il suo tasso di precisione.

L’AFFARE – Numeri destinati a salire, considerando che il voume d’affari si prevede salirà a 20 miliardi di dollari nel 2020, come riferisce Janice Hephart, fondatrice della Siba, la Secure Identity and Biometrics Association, l’associazione che raggruppa le aziende del settore come Cognitec e Animetrics. Secondo Hephart il riconoscimento facciale, utilizzato di recente in campo militare in Iraq e in Afghanistan, se solo fosse stato sviluppato qualche anno prima, avrebbe potuto evitare l’attentato dell’11 settembre. Ma non solo. Hephart sottolinea le capacità di protezione della tecnologia minimizzando i rischi per la tutela dei dati personali. «La gente scoprirà che la biometria offre privacy e sicurezza allo stesso tempo», dice.

I DATABASE – Parole ottimistiche, che si contrappongono agli interrogativi rimasti inevasi. Cosa succede se si crea una falla nel sistema del riconoscimento facciale? Le conseguenze, in quel caso, potrebbero essere devastanti. Potrebbe, ad esempio, verificarsi il furto d’identità. Oppure una persona essere scambiata per un’altra. Sta di fatto che l’Fbi è giunta al quarto step del suo programma Next Generation Identification (Ngi) da 1,2 miliardi di dollati lanciato nel 2008 per costruire la più grande banca dati al mondo. Fino al 2013 il database ha archiviato 73 milioni di impronte digitali, 5,7 milioni di palmi della mano, 8,1 milioni di foto segnaletiche e 8.500 scansioni dell’iride.

LE LEGGI – Alla Electronic Frontier Foundation, organizzazione no profit di avvocati che si batte per la tutela dei diritti digitali e della libertà di parola nell’era digitale, non piace che i database non facciano distinzioni tra dati biometrici di potenziali o ex criminali e tutti gli altri. «Qualcuno potrebbe ritrovarsi a difendere la propria innocenza», ha spiegato, allarmato, uno dei legali. Le imprese del settore, intanto, hanno compiuto sforzi per assicurare che del riconoscimento non si faccia un utilizzo distorto. Un rapporto del 2012 raccomanda che prima di raccogliere e utilizzare dati biometrici le aziende devono ottenere consenso degli utenti. Paul Schuepp, cofondatore di Animetrics, ribadisce che è proprio sulle norme che si gioca la partita più importante. «Non è la tecnologia in sè il problema, ma come i dati biometrici vengono controllati», dice. La parola dunque spetta ai legislatori.

(Fonte foto: The Independent)

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